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Eastwest compie 20 anni!


Eastwest compie 20 anni! Un compleanno importante, in un panorama editoriale che è cambiato tantissimo, molto di più dei vent’anni precedenti.

La carta continua a perdere terreno, anche se noi crediamo manterrà sempre una sua specialità, perché ti costringe a riflettere sui concetti e sulle informazioni, cosa che non avviene certo con i podcast e con la veicolazione via social media, che per definizione sono strumenti di consumo rapido e multi funzione.

Anche noi stiamo cercando di impadronirci delle attrezzature di questo millennio e trasformare in parte la nostra comunicazione, in un panorama internazionale come sempre complesso e pieno di contraddizioni.

La ritirata degli Stati Uniti dalle sue responsabilità di grande potenza aggrava le crisi e l’Europa non riesce proprio a riempire questo vuoto.

Quando abbiamo scritto in queste pagine che prevenire il conflitto russo-ucraino era più facile che risolverlo ora, non avevamo forse ragione? Così come risulta sempre più evidente che il player decisivo, mediatore tra Kiev e Mosca, non dovevano essere gli Stati Uniti, troppo lontani e disinteressati, ma l’Europa, che sta subendo il maggiore impatto dal conflitto, non solo economico ma anche politico e psicologico. Abbiamo avuto un decennio di tempo per capire che stava scattando la trappola di Tucidide, ma non avevamo e non abbiamo ancora una leadership a Bruxelles convincente, in grado di gestire queste crisi. E non basta la somma dei Macron-Merkel-Schultz-Meloni a comporre un’unica politica europea estera e di difesa.

Come se ne esce? Come sempre: sedendosi ad un tavolo negoziale, dove ciascuna parte concederà qualcosa, purtroppo dopo un milione di morti.

In Medio Oriente stiamo assistendo ad una escalation simile: è dagli accordi di Oslo, nel lontano 1993, che Stati Uniti e Israele hanno derubricato il rapporto con i Palestinesi ad una pratica burocratica, con connotati solo di sicurezza e non politici. È stata sistematicamente delegittimata l’Autorita Palestinese, nel timore che si costituisse uno Stato palestinese, contribuendo dunque all’affermazione degli estremismi e alla frustrazione di una popolazione che vive da decenni in condizioni non accettabili. Come si può rimanere sorpresi che questa condizione di degrado (chiunque sia stato a Gaza lo può testimoniare) abbia condotto a una ripresa delle ostilità? E ora, per quante decapitazioni dei vertici di Hamas e di Hezbollah possa portare a casa Tel Aviv, come si può pensare di non affrontare il conflitto nei suoi termini politici?

Finché non si costituirà uno Stato palestinese, questo conflitto non potrà mai essere avviato a soluzione. E i 50mila morti che Israele esibisce come bottino di guerra (contro i duemila israeliani) non sono funzionali ad una pace duratura.

Anche in questo caso, Washington distratta o incapace; Bruxelles inesistente.

La costruzione del processo per un’Europa federale prosegue inesorabile, ma a passi troppo piccoli per non rischiare l’implosione. La crisi del Covid ci ha finalmente imposto un debito comune europeo ma abbiamo bisogno di un salto di qualità decisivo in termini di governance.

Nel frattempo, la democrazia americana mostra un’usura preoccupante, non riuscendo più i grandi partiti a selezionare leadership all’altezza delle sfide. L’inadeguatezza culturale prima che politica di Trump è sotto gli occhi di tutti; così come è paradossale e imbarazzante il cambio di candidato in corsa da parte democratica.

In Italia, stiamo vivendo una stagione di straordinaria stabilità. In politica estera, non da questo Governo ma già da Draghi in poi, ci siamo allineati a Washington più di quanto la nostra tradizione non ci tramandi. Roma può e deve giocare un ruolo diverso, spingendo dentro le istituzioni europee per un protagonismo che ci trasformi da seguaci della linea americana a partner intelligenti.

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