
Un testimone esperto riferisce di un’epidemia senza precedenti moderni.
L’attuale epidemia del virus Ebola scoppiata in Africa occidentale non ha precedenti in termini di aree geografiche coinvolte, casi registrati e tasso di mortalità. E’ la prima epidemia di questa malattia che coinvolge simultaneamente più Paesi, che colpisce le città e che conta un numero di casi e di morti tre volte superiore a quelli notificati globalmente nelle diverse epidemie riportate dagli anni Settanta a oggi.
L’alto numero dei contagi rende complicata la ricostruzione dei contatti avuti dalle persone infette, e quello che all’inizio sembrava un problema locale, si è trasformato in una crisi umanitaria internazionale che non ha colpito solamente il settore sanitario, ma ha sconvolto le società dei paesi coinvolti minandole profondamente.
Da quando l’Ebola si è manifestata, nei primi mesi del 2014, oltre 5.000 sono stati i decessi registrati e più di 13.000 il numero totale dei casi (confermati, probabili e sospetti) secondo i dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, novembre 2014). Dalla Guinea, dove l’epidemia è stata confermata per la prima volta il 22 marzo 2014, il virus si è rapidamente diffuso in Liberia, Sierra Leone e, con un’estensione contenuta, in Nigeria e Senegal. Travalicando il continente africano, Ebola è arrivata negli Stati Uniti, Spagna e Germania anche se con una trasmissione localizzata e casi sporadici.
La mia organizzazione, Medici Senza Frontiere (MSF), già presente in tutti i paesi colpiti dal virus, nel corso del 2014 ha costruito e gestito centri d’isolamento per il trattamento dei pazienti affetti dalla malattia, curando i malati per limitare la diffusione del contagio.
Ha supportato i Ministeri della salute locali nell’attività di sorveglianza epidemiologica, inviando i propri esperti tra le comunità locali per definire la mappatura dei contatti, sensibilizzare le comunità sulle misure igienico-sanitarie da adottare, e formare gli operatori sanitari locali.
Da marzo, le equipe di MSF hanno trattato complessivamente circa il 60% dei casi registrati. Hanno ricoverato più di 5.600 persone, di cui circa 3.500 sono risultate positive all’Ebola. Più di 1.400 sono guarite (dati aggiornati al 7 novembre 2014).
Più volte invocato nel corso dell’anno, MSF ha richiesto un intervento massiccio della comunità internazionale per tentare di arginare l’epidemia ed evitare che i già fragili sistemi sanitari collassassero definitivamente.
Purtroppo, la risposta internazionale ha cominciato a muoversi solamente ad autunno inoltrato, quando la maggior parte degli operatori sanitari non colpiti dal virus erano già fuggiti spaventati e le strutture, sia pubbliche che private, avevano chiuso per mancanza di personale. Come conseguenza, nemmeno le persone che si ammalano per altre malattie comuni avevano più accesso alle cure.
Il contagio si è diffuso più frequentemente proprio tra il personale sanitario per la mancanza di misure igieniche e di protezione (maschera, camice, guanti, occhiali) e tra i familiari del malato per l’elevata probabilità di contatti. Interi nuclei familiari sono stati annientati.
Il contatto diretto con i defunti durante le cerimonie di sepoltura ha avuto un ruolo non trascurabile nella diffusione della malattia nei paesi colpiti. Strutture sanitarie insufficienti, mancanza di controlli e di servizi di sorveglianza epidemiologica adeguati hanno fatto il resto.
Non esiste ancora alcun trattamento specifico per curare la malattia, né un vaccino che abbia un’efficacia comprovata sugli esseri umani e sia registrato per l’utilizzo sui pazienti. Organizzazioni come MSF riducono il tasso di mortalità curando i sintomi, aiutando il paziente a sviluppare una risposta immunitaria sufficiente per superare la malattia.
In mancanza di farmaci e vaccini la prevenzione si affida, quindi, al rispetto delle misure igienico-sanitarie, alla capacità di una diagnosi clinica precoce, all’isolamento dei pazienti e al tracciamento dei contatti ad alto rischio.
Per limitare l’epidemia e identificare la catena di trasmissione, si supporta la ricerca attiva di tutti gli individui entrati in contatto con i malati, sui quali viene istituita una sorveglianza sanitaria per 3 settimane successive all’ultimo contatto, a cui segue il ricovero e l’isolamento al primo segnale d’infezione. Anche in caso di semplice sospetto, il paziente viene isolato per essere testato.
L’epidemia e la sua sorprendente rapidità di diffusione sottolineano come la salute sia da considerarsi un problema globale. Sebbene il numero di nuovi casi di Ebola registrati in Liberia sia diminuito nelle ultime settimane, l’epidemia non è terminata, e nuovi focolai continuano a manifestarsi in tutto il paese, in Guinea e Sierra Leone.
Dopo ripetuti e a lungo sottovalutati appelli, la risposta internazionale si è finalmente messa in moto. Molti aiuti internazionali ora finanziano la risposta all’Ebola, soprattutto la costruzione di centri di trattamento su ampia scala. A Monrovia e in altre aree della Liberia e degli altri paesi colpiti, le unità d’isolamento hanno ora una capacità adeguata.
Oggi è necessario dare priorità a un approccio più flessibile che consenta sia di rispondere rapidamente a nuovi focolai, sia di rimettere in piedi il sistema sanitario locale per non minare i progressi fatti. La ripresa dei servizi medici di base è un elemento cruciale.
Molti ospedali e centri sanitari ancora aperti respingono i pazienti con febbre o vomito per paura che abbiano l’Ebola. Misure di controllo dell’infezione, come i punti di triage, devono essere implementate urgentemente all’interno delle strutture sanitarie ordinarie, in modo da ridurre la diffusione del virus e impedire che le persone muoiano di malattie prevenibili e complicazioni non trattate.
Un testimone esperto riferisce di un’epidemia senza precedenti moderni.