Il 2022 si è chiuso con 114 Paesi (il 95% del Pil del pianeta) che stanno esplorando l’istituzione di una moneta virtuale. Un salto nel futuro è previsto, nel 2023, anche per la moneta unica europea: l’euro digitale, una valuta elettronica – garantita dalla Bce – accessibile a tutti i 20 Paesi dell’Eurozona
Se il 2022 ha visto crollare le criptovalute, con il tonfo rovinoso della Borsa Ftx di Sam Bankman-Fried e l’effetto domino sulle altre divise virtuali, il 2023 potrebbe avere le carte in regola per far segnare, invece, un passo avanti per le monete digitali. Ma, beninteso, quelle delle Banche centrali: le “Central Bank Digital Currencies” (Cbdc). L’Europa, già in discreto ritardo rispetto ai suoi principali competitor globali, non vuole farsi trovare impreparata. Entro il primo semestre dell’anno, la Commissione Ue metterà sul tavolo di governi ed Europarlamento una proposta legislativa in grado di fornire il quadro regolamentare per il futuro euro digitale, una forma di valuta elettronica accessibile a tutti nell’Eurozona (che da quest’anno nella sua famiglia accoglie il membro numero 20, la Croazia). In precedenza, la Banca centrale europea (Bce) aveva indicato nel prossimo ottobre il momento della verità per una decisione concreta sull’avanzamento del dossier. Un salto nel futuro per la moneta unica, a poco più di vent’anni dalla sua adozione, per evitare che i nuovi orizzonti per il denaro si sviluppino lontano dal Vecchio continente. E a fronte di una rapida corsa globale verso l’adozione di una Cbdc. E chi primo arriverà, avrà la possibilità di definire le regole del gioco.
Una moneta digitale emessa da una Banca centrale
Ecco che abbiamo davanti un percorso a tappe serrate per fare della Bce una delle pioniere assolute fra gli istituti monetari globali nella corsa alla creazione di un inedito: una valuta virtuale con corso legale garantito da una istituzione pubblica. La moneta digitale emessa da una Banca centrale ha, infatti, un requisito ulteriore che manca alle criptovalute, come Bitcoin e Ethereum, le cui quotazioni sono decisamente volatili: nessuna delle monete virtuali attualmente disponibili sul mercato è emessa o supportata dalla reputazione di un potere pubblico statale o sovranazionale con il potere di preservare il valore della valuta. Al contrario, essendo una passività della Banca centrale, la moneta virtuale non presenterebbe rischi di alcun tipo, siano essi di mercato, di credito o di liquidità. Insomma, nulla di diverso dalle comuni banconote, di cui avrebbe lo stesso valore.
Del resto, come ampiamente chiarito nelle lunghe settimane di braccio di ferro tutto italiano sul nuovo tetto al contante, il cash − usato in Europa per circa il 59% delle transazioni nei negozi fisici, un dato in calo ma comunque molto alto, secondo le più recenti rilevazioni della Bce − non è destinato a sparire di colpo. Anzi, l’Eurotower si dimostra estremamente cauta, pure nelle sue comunicazioni ufficiali, per quanto Francoforte stimi che “i pagamenti non in contanti effettuati nell’Eurozona siano aumentati del 12,5% nel 2021, per un valore totale di 197 trilioni di euro”. Un euro digitale avrebbe però “il potenziale per apportare numerosi vantaggi ai consumatori e alle imprese” poiché “fornirebbe un’alternativa di denaro pubblico ai mezzi di pagamento digitali privati, ha detto Valdis Dombrovskis il vicepresidente esecutivo della Commissione europea responsabile della supervisione sui portafogli economici, parlando alla conferenza congiunta della Bce e dell’esecutivo Ue sul nuovo progetto di moneta virtuale, a inizio novembre scorso. “Sarebbe un mezzo di pagamento digitale sicuro, istantaneo ed efficiente che tutti potrebbero utilizzare”. E a basso costo, proprio come il contante.
Non una valuta alternativa, quindi, e nemmeno un mezzo di investimento, ma solo un (altro) mezzo di pagamento in euro in grado di rispondere alla crescente preferenza per le transazioni digitali. Per questo, ad esempio, potrebbero ipotizzarsi limiti allo stoccaggio (le ultime cifre ventilate parlano di 3mila euro).
Per i cittadini, un accesso più agevole ai pagamenti elettronici
Insomma, il progetto di euro digitale, pronto a ingranare la marcia nel nuovo anno, si affiancherebbe a quello fisico, senza tuttavia sostituirlo. Permetterebbe, invece, ai cittadini-utenti un accesso più ampio e agevole ai pagamenti elettronici, senza disintermediare le banche commerciali, che – sottoposte a vigilanza − continuerebbero a gestire pure i portafogli di moneta digitale. Questa è l’impalcatura attorno a cui Bruxelles costruirà la sua proposta legislativa, che dovrebbe presentare al Parlamento europeo e ai rappresentanti dei governi dei Ventisette riuniti nel Consiglio entro giugno. “Stabilirà per legge l’euro digitale e ne regolerà gli aspetti essenziali”, ha anticipato Dombrovskis. Nella sua proposta, la Commissione intende “preservare l’attuale ruolo delle banche come intermediari”, disegnare “una moneta digitale efficace, che possa essere utilizzata anche al di fuori dell’area dell’euro” e offrire “privacy e inclusione”.
Dopo un 2021 di analisi, raccolta di input e sperimentazione, che ha portato Francoforte all’avvio dell’istruttoria, la fase pilota si è sviluppata lungo tutto il corso del 2022, a stretto contatto con le varie parti coinvolte, puntando ad affrontare i nodi che riguardano la messa a punto tecnologica e la distribuzione stessa della valuta virtuale. Finora non è stata presa alcuna decisione operativa: Francoforte sta, semmai, esaminando i possibili rischi per la stabilità finanziaria e la trasmissione della politica monetaria che potrebbero emergere a seguito dell’introduzione di una Cbdc.
L’anno appena cominciato è quello che la Bce ha designato per la fase realizzativa, che comincerà – spiegano all’Eurotower – “solo se avremo la certezza che questo progetto funzionerà”. Poco distante dalla torre della Bce, è la Bundesbank, la Banca centrale tedesca, in particolare, a premere per una celere definizione del futuro della moneta digitale. E a chiedere (in compagnia di Italia, Francia, Paesi Bassi e Spagna, attraverso un documento di orientamento circolato dopo l’estate) che, oltre a fare bene, si faccia anche in fretta.
La Cina avanza con il renminbi digitale
Dopotutto, che l’attivismo europeo abbia acquisito velocità e risolutezza negli ultimi anni non è certo un caso. Senza una pronta offerta europea, altre valute digitali delle Banche centrali potrebbero dilagare. L’Ue, in particolare, guarda con preoccupazione alla corsa di Pechino, prima grande potenza a lanciarsi nella definizione di una divisa virtuale di Stato. La Cina sta già testando dal 2019 in una ventina di città del Paese (e pure nel villaggio olimpico in occasione dei Giochi invernali 2022) il renminbi digitale. Con l’espansione a buona parte del Dragone entro quest’anno, aspira a definire il nuovo standard mondiale delle Cbdc. Un’azione da first mover cui l’Europa non può davvero permettersi di assistere inerme: ne va della definizione stessa degli standard globali. “Se fosse emesso, l’euro digitale avrebbe conseguenze rilevanti sia su temi di carattere economico-finanziario, quali la trasmissione della politica monetaria, la stabilità finanziaria o il funzionamento del sistema monetario internazionale, sia su aspetti di ampia rilevanza come gli equilibri geopolitici globali e i diritti fondamentali degli individui, quale il diritto alla riservatezza”, ha spiegato infatti Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea con delega ai sistemi di pagamento, tra i principali responsabili dietro l’iniziativa volta alla creazione dell’ecosistema adeguato alla realizzazione di una moneta virtuale. Ma perché la valuta digitale si muova sul binario giusto, “l’Eurosistema deve mantenere il pieno controllo sulla sua emissione e sul regolamento degli intermediari che distribuiscono l’euro digitale agli utenti finali”.
L’euro digitale dovrà ispirarsi ai valori europei
“L’Ue è consapevole che, rispetto al peso economico che ha nel mondo, la sua moneta è poco utilizzata negli scambi internazionali. Con l’euro digitale, vuole pertanto ristabilire la centralità della Bce in una economia sempre più cashless”, ha aggiunto l’italiano. E di fronte alla competizione con altre regioni del mondo, va da sé − come del resto emerso durante una recente consultazione pubblica della Bce −, che l’euro digitale dovrà ispirarsi ai valori europei. A cominciare dalla privacy e dalla protezione dei dati, ambiti in cui l’Europa ha già mostrato tutto il suo potere normativo e rispetto ai quali potrebbe aspirare a definire lo standard globale anche sul fronte delle Cbdc. L’Eurosistema non avrebbe alcun interesse – spiega la Bce – a raccogliere informazioni sui pagamenti dei singoli utenti, a tracciarne le abitudini o condividere questi dati con terzi. Tutt’altro: l’euro digitale ben potrebbe definire anche una soglia di perfetto “anonimato” per transazioni di piccolo taglio su brevi periodi di tempo (si ipotizza un limite di 50 euro per un ammontare complessivo di mille euro al mese). Un’esigenza, questa, ribadita per esempio dal ministro delle Finanze tedesco e leader dei liberali della Fdp Christian Lindner, convinto che “l’euro virtuale sarà accettato dalla gente solo se sarà paragonabile ai pagamenti in contante”. Anonimato compreso, a meno che la tracciabilità delle transazioni non sia necessaria per prevenire attività illecite come il riciclaggio di denaro o il finanziamento del terrorismo (per cui l’Ue è vicina all’adozione di una stretta normativa comune).
Tornando alla riservatezza, una moneta virtuale emessa dalle Banche centrali non cela, oltretutto, scopi commerciali per l’utilizzo dei dati dei consumatori, al contrario dei fornitori privati di servizi di pagamento. Ma rischia di essere veicolo predestinato per una sorveglianza ravvicinata da parte del governo, come hanno segnalato svariati esperti proprio con riferimento all’esperienza del Dragone, oppure per ovviare ai limiti imposti dalle sanzioni occidentali contro la Russia, le cui maggiori banche commerciali sono state “staccate” dal sistema di pagamenti internazionali Swift. Non solo rivalità sistemica con Pechino, però: il progetto di euro digitale rientra a pieno titolo nella cornice della corsa dell’Unione europea verso l’autonomia strategica, pilastro portante dell’agenda geopolitica di Bruxelles, in particolare nella sua accezione tecnologica. Che comprende pure una buona dose di indipendenza rispetto agli alleati tradizionali nel campo occidentale, a cominciare dagli Stati Uniti, vista la volontà non sottaciuta dell’Ue di affrancarsi dal ruolo dominante del dollaro nel sistema finanziario internazionale. Con Washington in fase di rincorsa nella definizione di una versione virtuale del dollaro, per il momento Usa vuol dire soprattutto Big Tech d’Oltreoceano. Il cui ingresso nel mondo dei pagamenti digitali, ha spiegato di recente la presidente della Bce Christine Lagarde “potrebbe aumentare il rischio di dominio del mercato e di dipendenza dalle tecnologie di pagamento estere, con conseguenze per l’autonomia strategica dell’Europa”. Dopotutto, “già oggi più di due terzi delle transazioni con carta sono gestite da società con sede al di fuori dell’Ue”.
Giappone, India e Brasile
Se è fuor di dubbio che la Cina sia ad oggi il leder a livello globale quanto all’avanzamento del renminbi virtuale su una scala sufficientemente ampia, l’Ue non deve guardarsi solo da Pechino. Un’altra grande giurisdizione asiatica che sta facendo sul serio è il Giappone. La Bank of Japan ha in programma di testare la fattibilità dello yen digitale grazie a un progetto pilota in collaborazione con i principali istituti di credito del Paese: anche per Tokyo il 2023 sarà un anno di verifiche e valutazioni, mentre la decisione sull’effettiva emissione non sarebbe presa prima del 2026, e con ogni probabilità solo in seguito a un referendum popolare. Accanto al Dragone, fra i Paesi del blocco Brics, neppure altri due giganti vogliono rimanere indietro: India e Brasile. A inizio novembre, la Reserve Bank of India ha dato il via ai test sulla rupia digitale, in collaborazione con nove banche d’affari. Il Banco do Brasil conta invece di lanciare il suo real digitale nel 2024.
Il Central Bank Digital Currency Tracker del GeoEconomics Center dell’Atlantic Council mappa con regolari aggiornamenti l’avanzamento globale delle Cbdc: quasi tutte le economie del G20 hanno investito risorse sullo sviluppo di una valuta virtuale negli ultimi sei mesi, e si sono pure accordate rispetto alla necessità di collaborare sulla realizzazione di monete virtuali. Tutti i Paesi del G7 si trovano già in fase avanzata. In generale – e il dato è davvero eloquente −, il 2022 si è chiuso con 114 Paesi (il 95% del Pil del pianeta) che stanno esplorando a vario titolo l’istituzione di una moneta virtuale. Numeri che spiegano bene perché l’Europa non potrà perdere un solo giorno, in questo 2023 dedicato al varo della sua strategia per far approdare la moneta unica nell’ecosistema digitale.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/marzo di eastwest
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Se il 2022 ha visto crollare le criptovalute, con il tonfo rovinoso della Borsa Ftx di Sam Bankman-Fried e l’effetto domino sulle altre divise virtuali, il 2023 potrebbe avere le carte in regola per far segnare, invece, un passo avanti per le monete digitali. Ma, beninteso, quelle delle Banche centrali: le “Central Bank Digital Currencies” (Cbdc). L’Europa, già in discreto ritardo rispetto ai suoi principali competitor globali, non vuole farsi trovare impreparata. Entro il primo semestre dell’anno, la Commissione Ue metterà sul tavolo di governi ed Europarlamento una proposta legislativa in grado di fornire il quadro regolamentare per il futuro euro digitale, una forma di valuta elettronica accessibile a tutti nell’Eurozona (che da quest’anno nella sua famiglia accoglie il membro numero 20, la Croazia). In precedenza, la Banca centrale europea (Bce) aveva indicato nel prossimo ottobre il momento della verità per una decisione concreta sull’avanzamento del dossier. Un salto nel futuro per la moneta unica, a poco più di vent’anni dalla sua adozione, per evitare che i nuovi orizzonti per il denaro si sviluppino lontano dal Vecchio continente. E a fronte di una rapida corsa globale verso l’adozione di una Cbdc. E chi primo arriverà, avrà la possibilità di definire le regole del gioco.
Ecco che abbiamo davanti un percorso a tappe serrate per fare della Bce una delle pioniere assolute fra gli istituti monetari globali nella corsa alla creazione di un inedito: una valuta virtuale con corso legale garantito da una istituzione pubblica. La moneta digitale emessa da una Banca centrale ha, infatti, un requisito ulteriore che manca alle criptovalute, come Bitcoin e Ethereum, le cui quotazioni sono decisamente volatili: nessuna delle monete virtuali attualmente disponibili sul mercato è emessa o supportata dalla reputazione di un potere pubblico statale o sovranazionale con il potere di preservare il valore della valuta. Al contrario, essendo una passività della Banca centrale, la moneta virtuale non presenterebbe rischi di alcun tipo, siano essi di mercato, di credito o di liquidità. Insomma, nulla di diverso dalle comuni banconote, di cui avrebbe lo stesso valore.