L’economia risponde ai criteri delle scienze esatte? Da giurista che si occupa di cose economiche di sovente, negli interventi e nelle discussioni sulla crisi in corso, ho l’impressione che si proceda proprio da questo postulato.
L’economista, come il fisico, può sbagliare nella individuazione della legge stabilita dalla natura: l’errore è problema tecnico che l’appassionata ricerca degli scienziati può risolvere nella “verità”; il mercato è nella natura delle cose economiche; da ciò la dicotomia con la politica, potere invece influenzato dalle passioni e dagli interessi, dei quali l’uomo politico è facile
preda nella ricerca demagogica di esistere. Nel modello postulato il “buon politico” resiste alla seduzione del populismo, per seguire le regole tecniche del mercato, che lo scienziato gli individua.
Il postulato non ci consente di comprendere i fenomeni istituzionali creati dall’uomo, come è l’economia, che è politica, come il diritto che la conforma. Adam Smith e Friedrich List sono politicamente diversi; Luigi Einaudi e Raffaele Mattioli divergevano politicamente nel contrapporsi sulla stabilizzazione della lira nel secondo dopoguerra; Joseph Stiglitz è politicamente diverso dagli orientamenti della scuola di Chicago di Stigler; Paul Krugman, in The Conscience of a Liberal, è politico; così J. B. Taylor, Getting off Track: How Government Action and Interventions Caused, Prolonged, and Worsened the Financial Crisis. I protagonisti delle lobby delle banche d’affari Usa, attori del mercato, quando sono riusciti a convincere il governo ad abolire le regole di stabilità, hanno fatto il loro affare secondo una politica di mercato radicale, che l’ideologia dei tecnici aveva avvalorato, al punto che è difficile dire se il governo ha ceduto per interessi di amicizia o per visione politica coerente con l’impostazione degli interessi che rappresenta il partito repubblicano. Appunto, è politica la scelta degli interessi da soddisfare, se quelli diffusi o quelli di un gruppo elitario. L’argomento che la riduzione dell’onere fiscale alle fasce alte di reddito va a vantaggio della collettività per l’effetto di stimolo all’economia, copre una decisa scelta politica.
In Italia, se analizziamo attentamente la legislazione di privatizzazione, e poi il testo unico bancario, e quindi la nuova legge sulle società–con l’enfasi al fenomeno dei gruppi –piuttosto che andare al mercato, come si predicava, sembra che si sia riprodotta la tradizione dell’economia mista, con la variante importante che l’autorità d’intervento ha acquistato una veste che l’avvicina alla corporazione, avvalorando una tendenza che A. Cotta generalizza (Le corporativisme, stade ultime du capitalisme). La Rule of Law era meglio intesa nella tradizione dell’economia mista. Il mancato sviluppo delle azioni civili, anzi il loro affievolimento nella legge sulle società, e viceversa l’avere ricondotto la competenza sulle autorità cosiddette di mercato alla giurisdizione amministrativa, sono segni incoerenti con il mercato. L’esperienza di questi anni sta dimostrando, anche nell’asfittica Borsa, quanto poco mercato troviamo nella finanza. La sceltad el mercato, che condivido, è intensamente politica nel rivoluzionare il diritto e le istituzioni; la scelta di conservazione, che si è fatta, è politica.
Nelle scienze umane la razionalità non è un dato della natura da accertare, ma è metodo per assumere le decisioni. Anche la politica è scienza, se con ciò intendiamo il discorso razionale, cioè il metodo di commisurare i mezzi agli interessi perseguiti, dove gli interessi sono scelte politiche e i mezzi richiedono l’assunzione politica del rischio dell’incerto futuro. Il discorso coinvolge nell’argomentazione gli interessati alla decisione. In democrazia gli interessati sono tutti, coinvolti nell’argomentazione dei discorsi per persuadere la maggioranza al consenso della decisione. La persuasione può essere ottenuta con la razionalità o carpita con la seduzione della demagogia. La qualità dell’argomentazione sociale dà la qualità della politica.
Le istituzioni italiane (procedura elettorale, procedura legislativa, giurisdizione, governo, organizzazione e confronto di partiti, mass edia) sono assai lontane, ben più di altre democrazie, dal modello perfetto che ci indica l’utopia, sì che nella persuasione prevale il momento demagogico della seduzione sul momento razionale. Il divario profondo, che è andato crescendo, spiega la contrapposizione dell’irrazionalità della politica alla razionalità della scienza; ma non giustifica la conclusione che spetti alla tecnica fare la politica del proprio Paese. Se la politica ced eil passo alla tecnica questa diviene politica, di solito in sedi non appropriate.
La difficile strada è rifare le istituzioni affinché la demagogia ceda il passo al formarsi razionale del discorso politico, nelle sue sedi istituzionali. Non è questione di “buon politico”, ma di “buona politica”.
L’economia risponde ai criteri delle scienze esatte? Da giurista che si occupa di cose economiche di sovente, negli interventi e nelle discussioni sulla crisi in corso, ho l’impressione che si proceda proprio da questo postulato.