Quando ho assunto l’incarico di direttore di eastwest.eu, la linea editoriale tracciata nel rituale articolo programmatico d‘inizio mandato si poteva riassumere in un vago imperativo categorico: sconfineremo. Ora che lascio il timone, è arrivato il momento di tirare le somme
Quando ho assunto l’incarico di direttore di eastwest.eu, ormai sedici mesi fa, la linea editoriale che ho tracciato nel rituale pezzo programmatico d’inizio mandato si poteva riassumere in un vago imperativo categorico: sconfineremo. Ora che con la fine dell’anno il timone passa a Giuseppe Scognamiglio (grazie per avermelo affidato da editore e in bocca al lupo per la nuova avventura da direttore), oltre a mettere in fila alcuni ringraziamenti, mi tocca anche tirare le somme.
Abbiamo puntato su giochi senza frontiere per onestà professionale, oltre che per la convinzione che una società che si arrocca non si protegge, ma si condanna al declino. Perché è illusorio il tentativo di rinchiudere gli interessi di una monolitica comunità nazionale entro confini resi porosi da vecchi e nuovi legami, che siano scambi economici, contaminazioni culturali, infrastrutture o altre vie dove circolano liberamente idee, merci, persone.
La frontiera tra Messico e Stati Uniti per esempio – nuovamente al centro di uno psicodramma politico che paralizza la macchina governativa Usa – attraversa una macroregione con una lingua e una cultura in buona parte condivise, interdipendenze economiche rafforzate dal Nafta e anche grandi città bi-nazionali (Ciudad Juarez – El Paso e Tijuana-San Diego) che scavalcano la frontiera, murata o meno che sia. Non basta un presidente a far saltare questi legami. Magari però sbarrando le porte può dirottare verso sud, nella ora fiorente “Ciudad Creativa Digital” di Guadalajara, quei cervelli in arrivo dall’oriente che fino a poco fa fecondavano la Silicon Valley. Più vicino a noi, sconfinando oltre il nostro immaginario limes nord-sud, l’energia solare prodotta nel Sahara marocchino potrebbe finire nelle nostre case attraverso una rete che in parte già unisce le sponde del Mediterraneo passando dallo stretto di Gibilterra, nei pressi della prima costa europea che si blindata per respingere i migranti.
Questo dice l’indagine giornalistica, che a differenza della politica o dell’ideologia, non può litigare con la realtà. Lo spirito del tempo, però, soffia in un’altra direzione.
L’allarme che lanciavamo sedici mesi fa dal nostro minuscolo osservatorio ha trovato le peggiori conferme proprio in Italia. Stiamo riuscendo nell’impresa di stringerci d’assedio da soli, isolandoci dal mondo in un risentito soliloquio che non promette nulla di buono. Così di fronte alla crescente sensazione di asfissia, la linea editoriale di questo piccolo giornale è diventata anche un invito allo sconfinamento rivolto ai lettori più giovani. Oggi è amaro ma necessario l’elogio della fuga – termine usato oggi in modo ricattatorio e colpevolista – se serve a realizzare i propri talenti e perseguire il proprio diritto alla felicità.
È anche pensando a questi itinerari esistenziali che abbiamo provato a dare una bussola e qualche coordinata al nostro sforzo di mappare il mondo, cercando in primo luogo segnali d’innovazione e di rottura, concentrandoci su ciò che vibra e cambia. La traccia è stata quasi sempre geopolitica (il nostro core business), ma lo svolgimento per quanto possibile trasversale, incrociando economia, politica e cultura, diplomazia e difesa, pensiero strategico e accorgimenti tattici, dati e voci. Per vocazione e necessità abbiamo sperimentato un giornalismo lento. Ci siamo scoperti dotati di una discreta falcata e di una buona attitudine all’immersione.
Se e quando siamo riusciti nei nostri intenti – il giudizio spetta a voi – lo dobbiamo a quella famiglia allargata di collaboratori freelance senza i quali oggi non si racconta il mondo, tanto più se si è a bordo di un piccolo naviglio. E si racconta anche molto bene, perché c’è in giro una nuova generazione di reporter-ricercatori italiani di grande talento e coraggio, con una capacità di fare giornalismo di approfondimento spesso sconosciuta ai fratelli maggiori, inviati o corrispondenti dei grandi giornali.
Niente pacca sulla spalla, me la morderebbero. La paga è quasi sempre insufficiente – un boomerang per tutti, perché trasforma la professione in un hobby per viaggiatori benestanti – il pagamento rimandato, i giornalisti spesso privi anche di quella minima protezione garantita da una lettera d’incarico o da un accredito, che in alcuni contesti può fare la differenza tra libertà e galera, o peggio. Di tutto questo è corresponsabile anche chi sta in redazione, e deve farsi carico di cambiare le cose.
A eastwest.eu ho ritrovato compagni di strada incrociati in precedenti avventure giornalistiche, altri li ho conosciuti qui. Ad alcune delle nostre firme potrete ora associare una faccia, nel ritratto di gruppo che trovate in cima a queste righe di saluto. È un’estrema minoranza, per forza di cose: la famiglia allargata è diventata con il tempo molto numerosa. Ringrazio tutti – in primo luogo chi è stato molto vicino, quasi organico al progetto come Marco Cochi, Simone Pieranni, Massimiliano Sfregola, Matteo Tacconi – ma una menzione speciale, anzi una pubblica raccomandazione la voglio spendere per alcuni giovani colleghi di grande bravura ma ancora poco visibili. Se potessi, mi porterei in qualsiasi impresa giornalistica Simone Benazzo, Lorenzo Berardi, Marco Dell’Aguzzo, (un talento naturale che combina intuito sulla notizia, capacità d’inquadramento geopolitico e rapidità di esecuzione), oltre al veterano Fabio Bozzato, perché ogni suo pezzo ha una mezza dozzina di fonti (questo grande sconosciuto del giornalismo italiano) e scrive come un dio.
Ci tengo a ringraziare e molto la coppia Roberta Ceccarelli – Valentina Pascucci (poliziotto cattivo-poliziotto buono), la miglior mini-redazione che un direttore possa sognare. Abbiamo lavorato molto bene e credo che ci vogliamo anche bene, cosa rara in una redazione. Chiudono anche loro con me, beato chi le avrà in squadra. E ringrazio Luca Pizzato alias mister Google, che mi ha insegnato a leggere gli analytics e capire le oscure leggi dei motori di ricerca e della circolazione via social.
Seguire come fosse un figlio l’andamento di ogni singolo pezzo (che meraviglia, rispetto a quella guida bendata che impone la carta) aiuta anche a sfatare qualche mito: i lettori non vogliono robaccia, ti puniscono se sei banale, se ti accodi al plotone per paura del “buco” e tradisci la tua identità giornalistica, che spesso conoscono meglio di te. Se fai delle scelte e le rispetti, ti premiano. Ed è ai lettori – a voi – gli unici cui dobbiamo davvero rendere conto, che va come sempre il ringraziamento più grande.
@luigispinola