Un’enorme isola galleggiante di rifiuti, talmente grande ed estesa da sembrare un sesto continente. Questa la suggestione dell’ultimo lavoro teatrale di Daniel Pennac. Nell’oceano incontaminato galleggiano tonnellate di buste di plastica, imballaggi, telefonini rotti, computer di vecchia generazione, automobili, vestiti, spazzolini, mobili, cavi elettrici. Pennac immagina una montagna di spazzatura alla deriva, una montagna puzzolente che rende possibile l’illusione della pulizia e dell’ordine nel mondo abitato.
Ogni processo produttivo comporta degli scarti, che vano smaltiti, resi innocui se nocivi, oppure trasformati in energia o in nuova materia prima.
Per molti di noi questo è un processo astratto che non ci coinvolge. Compriamo i pomodori al supermercato, il contenitore di plastica finisce nel bidone della spazzatura e poi nel cassonetto, fine della nostra preoccupazione. Stessa cosa per la carne: viene cucinata, mangiata ma non sappiamo cosa sia successo alla carcassa, al sangue, alle ossa. In alcuni mattatoi ci sono dei batteri che ripuliscono il materiale organico di scarto, in altri invece il sangue si rapprende e diventa cibo per mosche e altri insetti.
“In una reazione chimica nulla si crea, nulla si distrugge, tutto ciò che c’era prima si trova anche dopo” (Antoine-Laurent de Lavoisier, Parigi, 26 agosto 1743 – Parigi, 8 maggio 1794, chimico, biologo, filosofo ed economista francese, morì alla ghigliottina, denunciato dal suo ex discepolo) è un principio della chimica moderna antico di 200 anni, di cui gli economisti si sono dimenticati. L’Olanda importa spazzatura per generare energia elettrica, e Napoli paga fino a 223 euro a tonnellata per smaltire a Varese i suoi rifiuti. in occidente possedere un iphone o un mac di ultima generazione è uno status symbol, in Africa e in India i mac diventano inquinamento e malattia per i disperati che tentano di recuperare i metalli preziosi utilizzati in quantità infinitesimali.
La spazzatura cambia i paesaggi, produce colline squadrate dove non crescono alberi, circondate da nuvole di gabbiani urlanti, i fiumi cambiano odore e colore. Il volume d’affari legale prodotto dallo smaltimento dei rifiuti è di oltre 400 miliardi di dollari, quello dei traffici illegali è il doppio se non il triplo. Un mare di soldi, di opportunità, di posti di lavoro, di occasioni per economie in crisi, come attualmente l’Occidente.
Un paese ricco si riconosce anche dalla quantità di rifiuti che produce, i paesi poveri ne producono molti di meno, ma sono più esposti, nelle strade, nelle campagne, nei boschi.
L’Africa e l’Asia sono cosparsi di sacchetti di plastica sottile e nera, che si impigliano nei rami degli alberi, intasano le poche fognature e sporcano le spiagge.
Le discariche sono luoghi dove vivono bambini abbandonati e adulti disperati che vivono rivendendo le lattine di coca cola, il rame estratto dai cavi elettrici, e si vestono con quello che trovano tra i rifiuti. In natura tutto si trasforma, nulla sparisce.
Ignorare questo principio equivale a condannare una parte sempre più estesa del mondo a vivere in un’enorme pattumiera di rifiuti altrui. nelle migliaia di discariche si riproducono milioni di zanzare, mosche, batteri, virus, e nessuno di loro ha mai fatto distinzioni di ceto o di classe sociale prima di aggredire un uomo.
Un’enorme isola galleggiante di rifiuti, talmente grande ed estesa da sembrare un sesto continente. Questa la suggestione dell’ultimo lavoro teatrale di Daniel Pennac. Nell’oceano incontaminato galleggiano tonnellate di buste di plastica, imballaggi, telefonini rotti, computer di vecchia generazione, automobili, vestiti, spazzolini, mobili, cavi elettrici. Pennac immagina una montagna di spazzatura alla deriva, una montagna puzzolente che rende possibile l’illusione della pulizia e dell’ordine nel mondo abitato.
Ogni processo produttivo comporta degli scarti, che vano smaltiti, resi innocui se nocivi, oppure trasformati in energia o in nuova materia prima.
Per molti di noi questo è un processo astratto che non ci coinvolge. Compriamo i pomodori al supermercato, il contenitore di plastica finisce nel bidone della spazzatura e poi nel cassonetto, fine della nostra preoccupazione. Stessa cosa per la carne: viene cucinata, mangiata ma non sappiamo cosa sia successo alla carcassa, al sangue, alle ossa. In alcuni mattatoi ci sono dei batteri che ripuliscono il materiale organico di scarto, in altri invece il sangue si rapprende e diventa cibo per mosche e altri insetti.
“In una reazione chimica nulla si crea, nulla si distrugge, tutto ciò che c’era prima si trova anche dopo” (Antoine-Laurent de Lavoisier, Parigi, 26 agosto 1743 – Parigi, 8 maggio 1794, chimico, biologo, filosofo ed economista francese, morì alla ghigliottina, denunciato dal suo ex discepolo) è un principio della chimica moderna antico di 200 anni, di cui gli economisti si sono dimenticati. L’Olanda importa spazzatura per generare energia elettrica, e Napoli paga fino a 223 euro a tonnellata per smaltire a Varese i suoi rifiuti. in occidente possedere un iphone o un mac di ultima generazione è uno status symbol, in Africa e in India i mac diventano inquinamento e malattia per i disperati che tentano di recuperare i metalli preziosi utilizzati in quantità infinitesimali.
La spazzatura cambia i paesaggi, produce colline squadrate dove non crescono alberi, circondate da nuvole di gabbiani urlanti, i fiumi cambiano odore e colore. Il volume d’affari legale prodotto dallo smaltimento dei rifiuti è di oltre 400 miliardi di dollari, quello dei traffici illegali è il doppio se non il triplo. Un mare di soldi, di opportunità, di posti di lavoro, di occasioni per economie in crisi, come attualmente l’Occidente.
Un paese ricco si riconosce anche dalla quantità di rifiuti che produce, i paesi poveri ne producono molti di meno, ma sono più esposti, nelle strade, nelle campagne, nei boschi.
L’Africa e l’Asia sono cosparsi di sacchetti di plastica sottile e nera, che si impigliano nei rami degli alberi, intasano le poche fognature e sporcano le spiagge.
Le discariche sono luoghi dove vivono bambini abbandonati e adulti disperati che vivono rivendendo le lattine di coca cola, il rame estratto dai cavi elettrici, e si vestono con quello che trovano tra i rifiuti. In natura tutto si trasforma, nulla sparisce.
Ignorare questo principio equivale a condannare una parte sempre più estesa del mondo a vivere in un’enorme pattumiera di rifiuti altrui. nelle migliaia di discariche si riproducono milioni di zanzare, mosche, batteri, virus, e nessuno di loro ha mai fatto distinzioni di ceto o di classe sociale prima di aggredire un uomo.
Un’enorme isola galleggiante di rifiuti, talmente grande ed estesa da sembrare un sesto continente. Questa la suggestione dell’ultimo lavoro teatrale di Daniel Pennac. Nell’oceano incontaminato galleggiano tonnellate di buste di plastica, imballaggi, telefonini rotti, computer di vecchia generazione, automobili, vestiti, spazzolini, mobili, cavi elettrici. Pennac immagina una montagna di spazzatura alla deriva, una montagna puzzolente che rende possibile l’illusione della pulizia e dell’ordine nel mondo abitato.
Ogni processo produttivo comporta degli scarti, che vano smaltiti, resi innocui se nocivi, oppure trasformati in energia o in nuova materia prima.
Per molti di noi questo è un processo astratto che non ci coinvolge. Compriamo i pomodori al supermercato, il contenitore di plastica finisce nel bidone della spazzatura e poi nel cassonetto, fine della nostra preoccupazione. Stessa cosa per la carne: viene cucinata, mangiata ma non sappiamo cosa sia successo alla carcassa, al sangue, alle ossa. In alcuni mattatoi ci sono dei batteri che ripuliscono il materiale organico di scarto, in altri invece il sangue si rapprende e diventa cibo per mosche e altri insetti.