La Brexit sta già facendo danni nel Regno Unito, è invece modesto l’impatto sulla Ue. Un messaggio chiaro e forte per chiunque altro avesse in mente una sortita.
Il 23 giugno la popolazione britannica ha ignorato il consiglio della stragrande maggioranza dei leader politici nazionali e internazionali, degli istituti economici e finanziari, dell’élite imprenditoriale e di gran parte dei media votando per uscire dall’Ue.
Nel Regno Unito questa scelta ha già avuto tre effetti decisamente negativi, mentre le conseguenze paventate per l’Europa non si sono manifestate.
Innanzitutto, il voto per uscire dall’Ue ha prodotto un clima di grande incertezza nella politica britannica. Sebbene il vuoto di potere derivato dalle dimissioni di Cameron sia stato riempito più in fretta del previsto, il nuovo primo ministro, Theresa May, è alle prese con questioni potenzialmente irrisolvibili.
Non sorprende che la premier si sia recata per prima cosa a Edimburgo per incontrare il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon, che ha promesso di indire un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia. Tenere insieme il Regno Unito è infatti una priorità per la May. Poi è stata la volta di Berlino e Parigi, dove il messaggio è stato chiaro: l’Ue vuole mantenere buoni rapporti ma non intende permettere alla May di indirizzare a suo piacimento l’agenda europea; l’accesso al mercato unico e il passporting (indispensabile affinché l’industria finanziaria britannica continui a operare liberamente in Europa) verranno concessi a condizione che sia garantita la libera circolazione delle persone. Le negoziazioni non partiranno fino a quando il Regno Unito non avrà invocato l’Articolo 50, attivando un conto alla rovescia della durata di due anni. Il Paese si trova tra l’incudine e il martello.
Da un lato, Theresa May ha dichiarato il suo impegno per la Brexit e proposto di invocare l’Art. 50 all’inizio dell’anno prossimo. Dall’altro, in vista di elezioni cruciali nei Paesi Bassi, in Francia e in Germania nel 2017, è improbabile che l’Ue si dimostri flessibile. Il Parlamento Europeo, che dovrà approvare i termini dettati dalla Commissione, terrà nuove elezioni nel 2019 e una delle priorità è stabilire un accordo entro questa data. Concordare la separazione delle attività e delle passività (obblighi pensionistici inclusi) in questo lasso di tempo è possibile, ma giungere a un accordo commerciale personalizzato ed esaustivo senza cadere negli estremi del caso norvegese (ovvero rinunciando all’influenza) o di un “non-accordo” (OMC e basta) è impensabile.
Inoltre, il mercato non ha gradito l’esito del referendum e l’incertezza che ne è derivata. Gli investitori hanno cominciato a dubitare della capacità del Regno Unito di attirare investimenti e prestiti esteri per correggere il forte disavanzo delle partite correnti e la sterlina è calata più del 10%. Il settore immobiliare è particolarmente vulnerabile e vari grandi fondi d’investimento hanno sospeso i prelievi dai propri fondi immobiliari. I mercati europei, invece, tengono duro. Gli spread dei titoli sovrani periferici, ad esempio, si sono mossi a malapena.
Infine, l’economia britannica ha assistito a un rallentamento repentino. Gli investimenti sono bloccati e alcune indicazioni suggeriscono che le esportazioni stentino a riprendere malgrado la svalutazione della sterlina. All’inizio di agosto la Bank of England ha abbassato dal 2,3% allo 0,8% le stime sul Pil per il 2017 e tagliato i tassi d’interesse dello 0,25%. Ha inoltre introdotto un piano per far sì che la riduzione dei tassi d’interesse si traduca in nuovi prestiti e annunciato un ulteriore Quantative Easing.
Queste misure, unite a un regime fiscale più soft, serviranno ad attutire il colpo. Ma alla UniCredit Research crediamo che l’economia britannica subirà una battuta d’arresto e probabilmente entrerà in recessione nel corso dei prossimi 12-18 mesi. Nel breve periodo stimolare la domanda aiuterà: il Regno Unito potrebbe presto ricorrere a una inaspettata pioggia di liquidità (helicopter money), dato che la nuova mandata di Qe servirà a sanare un deficit pubblico più alto del previsto compensando l’ulteriore finanziamento del debito. Ma il problema di base è di natura strutturale: quale sarà il regime di scambi e investimenti del Regno Unito in relazione ai suoi partner commerciali in Europa e nel resto del mondo? Per scoprirlo bisognerà aspettare diversi anni.
Mentre questi effetti erano stati ampiamente previsti per il Regno Unito, molti hanno esteso anche all’Europa le loro preoccupazioni, che si sono rivelate ingiustificate.
In Europa si è assistito all’opposto del tanto temuto effetto domino, in base al quale altri Paesi sarebbero usciti dall’Ue. Le elezioni spagnole all’indomani del voto sulla Brexit hanno sorpreso tutti con una chiara virata sui partiti tradizionali pro-Ue. La posizione di tali partiti, stando ai sondaggi, è stabile o si è consolidata in quasi tutti i Paesi europei nonostante gli attacchi terroristici ‒ eventi che tendono ad accrescere la popolarità dei partiti nazionalisti.
Le prospettive economiche europee si sono deteriorate di poco. Un rallentamento delle esportazioni e degli investimenti nel Regno Unito è l’unico risvolto negativo previsto dalle imprese.
La scioccante decisione del Regno Unito di uscire dall’Ue è ancora fresca, ma le conseguenze sono chiare: il Paese è economicamente e politicamente più debole di quanto non fosse prima del 23 giugno. Ci sarebbe da sperare in un dietrofront da questa scelta avventata, ma ciò richiederebbe uno stravolgimento del panorama politico britannico che al momento appare del tutto improbabile.
Traduzione di Teresa Ciuffoletti.
La Brexit sta già facendo danni nel Regno Unito, è invece modesto l’impatto sulla Ue. Un messaggio chiaro e forte per chiunque altro avesse in mente una sortita.