Il sindacato dei medici in via Qasr al Aini 69 è quasi vuoto. Prima del colpo di stato del 3 luglio 2013, fervevano qui i preparativi di riunioni politiche della Fratellanza. «Ora sono tutti in prigione», sussurra Ahmed, giovane medico, appena nominiamo Mohammed al Qassas e Essam el-Arian, leader della Fratellanza vicini ai movimenti giovanili, in prigione e strettamente controllati dalle forze di sicurezza.

I sindacati professionali, roccaforte tradizionale degli islamisti, stanno tornando nelle mani degli uomini del vecchio regime. Ma non solo, l’intero Paese sembra proiettato di nuovo verso l’autoritarismo di regime.
Il presidente Abdel Fattah al-Sisi e l’aumento dei prezzi
Dopo un anno di presidenza ad interim del costituzionalista Adly Mansur e con l’elezione del nuovo presidente, con scarsa partecipazione al voto, lo scorso maggio, l’ex generale Abdel Fattah al-Sisi, la Fratellanza musulmana sta attraversando la più brutale repressione dagli anni Novanta. Eppure, soprattutto, nei quartieri popolari, gli islamisti sembrano non perdere il loro consenso in particolare dopo gli aumenti delle tasse introdotti dal governo dell’uomo dell’ex presidente Hosni Mubarak, Ibrahim Mahlab.
I prezzi di benzina, sigarette ed alcolici hanno subito aumenti superiori al 70% in Egitto. Stessa sorte per le bollette dell’elettricità i cui aumenti superano il 50%. Sono i primi effetti della revisione dei sussidi, voluta dal neo-eletto presidente. Secondo il ministero dell’Economia, questo è solo il primo, 44 miliardi di ghinee (4,5 miliardi di euro), di una serie di tagli alla spesa pubblica. Code per fare il pieno di benzina si sono registrate in ogni stazione di rifornimento al Cairo e in tutto il Paese negli ultimi giorni, fino alla vigilia degli aumenti, entrati in vigore ieri. Decine di tassisti si sono opposti ai rincari bloccando il traffico nel quartiere di Heliopolis.
Per la Fratellanza: un anno di arresti e condanne a morte
Per il momento, per il maggiore partito di opposizione in Egitto, non si prevede alcun ritorno alla partecipazione politica. Il principale strumento di intimidazione, dopo la strage di Rabaa al Adaweya, costata la vita a migliaia di persone, nell’agosto scorso, sono state arresti (grazie anche alla legge anti-proteste), torture e condanne a morte di massa.
Il tribunale penale di Minya, città dell’Alto Egitto, ha disposto la pena di morte, confermata in appello, per oltre 200 sostenitori della Fratellanza. Non solo, dieci tra queste condanne sono state confermate anche dal gran muftì di Al Azhar, massima istituzione dell’islam sunnita, che ha l’ultima parola per la concessione della grazia. Le condanne sono state emesse nell’ambito del processo che vede imputati 1200 affiliati al movimento per gli scontri che hanno avuto luogo nella città dopo il massacro di Rabaa. Sono stati condannati a morte anche i leader della Fratellanza, tra cui la Guida suprema, Mohammed Badie e il segretario di Libertà e giustizia, Mohammed el-Beltagy.
Il futuro «clandestino» della Fratellanza
Per la confraternita si apre la strada della completa esclusione politica. Il movimento è stato dichiarato gruppo «terroristico» dopo l’attentato alla stazione di polizia nella città di Mansura, lo scorso 24 dicembre. L’esclusione politica e delle attività sociali del movimento, per la prima volta nella storia egiziana, trasformerebbe l’accordo tra esercito e giudici in una sorta di alleanza tra «modernizzatori» per bandire un movimento definito come «anti-moderno». È possibile però che, considerando la bassa affluenza alle urne, l’esercito opti per una semi-esclusione della Fratellanza: la totale estromissione dalla sfera politica ma una parziale tolleranza delle sue attività civili. D’altra parte, sebbene non ci siano segni in questo senso, ma dopo l’acrimonia con cui sono stati trattati gli islamisti, potrebbe aprirsi una stagione di semi-esclusione del movimento, con una parziale partecipazione politica. Si riprodurrebbe così lo schema dell’ex presidente Hosni Mubarak che costringeva gli islamisti alla semi-clandestinità permettendo loro di partecipare alle elezioni come indipendenti. Infine, sebbene la Costituzione voluta dai militari lo vieti, si potrebbe profilare anche l’inclusione del movimento nel frammentato sistema politico egiziano, con un sostegno informale degli islamisti a candidati laici in vista delle parlamentari del prossimo autunno. In questa direzione va la legge elettorale, secondo la quale l’80% dei seggi andrebbero a candidati indipendenti, aprendo la strada alla fine del pluralismo politico e al partito unico.
Non è chiaro fino a che punto però l’esercito vorrà arrivare nella repressione delle attività caritatevoli del movimento. Ma i segnali non sono incoraggianti. I dirigenti di molte scuole vicine alla Fratellanza sono sotto controllo. La Commissione parlamentare, incaricata di congelare i beni della Fratellanza, ha sequestrato i fondi di cinque ong, affiliate al movimento. Lo scorso marzo, il comitato ha deciso il trasferimento del management di 22 ong (da agosto in tutto sono oltre mille) del movimento mettendole sotto il diretto controllo del governo. Nel gennaio 2014, i beni di 710 esponenti della Fratellanza sono stati congelati, incluse autovetture, proprietà terriere e aziende compartecipate. Infine, decine di scuole del movimento sono state sequestrate o chiuse.
Piccole marce e catene umane in tutto l’Egitto, con piazza Tahrir chiusa dall’esercito, hanno segnato il primo anniversario dall’arresto dell’ex presidente Mohammed Morsi. Eppure il potenziale rivoluzionario dei movimenti laici e islamisti sembra completamente svanito dopo il golpe del 3 luglio 2013 che ha dato il colpo di grazia alle aspirazioni democratiche di migliaia di attivisti in Egitto, motivati dalle imponenti rivolte del 2011. Non solo, ha favorito il ritorno o il consolidamento del potere di generali in altri Paesi del Medio oriente dalla Siria alla Libia fino all’Iraq, mettendo a dura prova le aspirazioni alla transizione democratica in questi Paesi.