Tolti i riflettori, spenti i microfoni, partite le delegazioni, a Sharm El Sheik si fanno i conti: quanti contratti sono stati siglati nella conferenza – 13/15 marzo – in cui Abdel Fattah Al Sisi ha spiegato il futuro del suo Egitto, chiedendo agli investitori internazionali un impegno a sostenere una sfida che è al tempo stesso economica e politica?
A conclusione dell’evento, chiamato solennemente “Egypt the Future”, il presidente, pilastro della lotta all’islamismo militante, ha detto che il Cairo ha bisogno di tanti investimenti, dai 2 ai 300 miliardi di dollari, per sviluppare la propria economia e rispondere alle aspettative dei novanta milioni di egiziani.
A Sharm, dove erano presenti uomini d’affari, finanzieri e i rappresentanti di più di cento Paesi, è stato messo il primo tassello: secondo il ministro per gli Investimenti, Ashraf Salman, l’Egitto ha firmato contratti per un totale di 33 miliardi di dollari ed impegni di finanziamento per 92 miliardi. La parte del leone l’hanno fatta, come si attendeva, le monarchie sunnite del Golfo (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi), ma anche le major occidentali hanno concluso intese di un certo peso. I contratti siglati hanno riguardato soprattutto il settore energetico, mentre sono stati presentati grandi progetti in campo infrastrutturale, a partire dalla discussa costruzione di una nuova capitale amministrativa, ad Est del Cairo (la cui popolazione raddoppierà nei prossimi quarant’anni), destinata ad accogliere almeno quattro milioni di persone.
Nel solo primo giorno, in cui la Banca Mondiale ha annunciato un sostegno di 400 milioni di euro per combattere la povertà, dal Golfo Persico sono arrivate promesse di aiuti ed investimenti per 19,3 miliardi di dollari (anche l’Oman ha contribuito, con 500 milioni di dollari, da distribuire nei prossimi cinque anni). D’altronde, sono stati i denari degli sceicchi – frutto di una strategia geopolitica, che indica il nemico nei Fratelli Musulmani – ad avere tenuto in piedi il Paese nell’era al Sisi, perché gli investimenti stranieri nell’ultimo anno fiscale si sono fermati a 4,7 miliardi di dollari.
L’Italia, che è stata rappresentata addirittura dal premier Matteo Renzi, oltre che dal vice ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, è stata tra i Paesi occidentali più attivi. Calenda ha parlato di accordi – in via preparatoria, non ancora del tutto definiti – per 2,5 miliardi di dollari: a Sharm si è lavorato soprattutto sul metodo, in particolare su finanziamento e garanzie. Una grande intesa, però, c’è stata. L’ha firmata l’Eni, e prevede investimenti per circa cinque miliardi di dollari, nei prossimi quattro anni, finalizzati allo sviluppo di 200 milioni di barili di petrolio e 37 miliardi di metri cubi di gas. L’azienda di San Donato Milanese è presente nel Paese dagli anni Cinquanta e questo accordo-quadro, che comprende anche l’estensione delle concessioni in alcune aree, rafforza ulteriormente il ruolo della major italiana.
L’Egitto, del resto, ha bisogno di colmare il proprio gap energetico: negli anni Duemila il Cairo è diventato importatore netto di petrolio, sia perché è cresciuta la domanda interna, sia perché gli impianti sono vecchi. Se si scorre l’elenco di contratti e memorandum siglati a Sharm, ci si accorge di quanto i temi energetici siano preponderanti. La British Petroleum ha siglato una grande intesa con il governo egiziano, 12 miliardi di dollari, per estrarre il gas naturale scoperto poco tempo fa nel Delta del Nilo. La Masdar, azienda saudita, ha firmato un memorandum of understanding (quindici miliardi di dollari) con l’Egyptian Electricity Holding Company, per sviluppare progetti di produzione a partire da gas naturale e fonti rinnovabili, in primo luogo il solare e l’eolico. L’obiettivo dell’Egitto, infatti, è quello di allinearsi alle ambizioni europee e raggiungere una quota del venti per cento di energia rinnovabile entro il 2020.
E ancora: i britannici della BG investiranno quattro miliardi di dollari in due anni. La General Electric finanzierà con 200 milioni di euro la costruzione di un centro, manifatturiero e di formazione, a Suez. I tedeschi della Siemens hanno firmato intese (tra accordi vincolanti e memorandum) per 10,5 miliardi di dollari, allo scopo di espandere la rete elettrica egiziana. E poi c’è il gas contenuto nel bacino del Mediterraneo: di qui il memorandum siglato tra Egitto e Cipro per lo sviluppo e lo sfruttamento del giacimento di Afrodite.
La General Eletric non si è limitata al progetto di Suez. Il suo settore healthcare ha firmato un accordo di partnership con il Ministero della Salute egiziano, che prevede, tra l’altro, la costruzione di un centro di eccellenza in campo biomedico. A fare notizia, però, sono stati i grandi progetti infrastrutturali. Il raddoppio del Canale di Suez, di cui si parla da tempo. Il grattacielo più alto del Paese, da intitolare alla memoria dello sceicco degli Emirati, Zayed bin Sultan Al Nahyan. La costruzione – con capitali del Golfo, si suppone – della nuova capitale amministrativa, che dovrebbe ospitare ministeri, ambasciate, un business district e un enorme parco a tema, “quattro volte Disneyland”.
Segnali di gigantismo, questi, che indicano la volontà di guardare sul medio e lungo periodo. Al Sisi ha detto di non essere aggrappato al potere, ma le sue ambizioni sono evidenti. Non tutte le intese firmate a Sharm sono vincolanti, e molti impegni dipenderanno dalla capacità del presidente di stabilizzare il Paese. La conferenza, però, resterà la vetrina del nuovo Egitto, a tal punto che, stando agli annunci presidenziali, si tornerà sul Mar Rosso ogni anno.
Tolti i riflettori, spenti i microfoni, partite le delegazioni, a Sharm El Sheik si fanno i conti: quanti contratti sono stati siglati nella conferenza – 13/15 marzo – in cui Abdel Fattah Al Sisi ha spiegato il futuro del suo Egitto, chiedendo agli investitori internazionali un impegno a sostenere una sfida che è al tempo stesso economica e politica?
A conclusione dell’evento, chiamato solennemente “Egypt the Future”, il presidente, pilastro della lotta all’islamismo militante, ha detto che il Cairo ha bisogno di tanti investimenti, dai 2 ai 300 miliardi di dollari, per sviluppare la propria economia e rispondere alle aspettative dei novanta milioni di egiziani.