Finalmente ce l’hanno fatta. Il Bharatiya Janata Party (Bjp) nel weekend ha nominato ufficialmente Narendra Modi come candidato alla premiership per il 2014. Una convergenza scontata ma particolarmente complicata.

Che il partito conservatore hindu puntasse tutto su NaMo era cosa nota e lampante, vista la campagna elettorale informale già partita a pieno regime da mesi in cui venivano esaltate le caratteristiche che dovrebbero fare del 62enne chief minister del Gujarat l’uomo giusto al momento giusto.
Punti a favore di Modi: il decisionismo. Diremmo in Italia “l’uomo del fare”, Modi ha spiccate tendenze all’accentramento del potere, usando la sua presenza fisica e pubblica per appropiarsi di meriti che lo differenzierebbero dal politico comune, il burocrate d’apparato mosso come una pedina dal Partito. La crescita del Gujarat, stato che governa da due mandati consecutivi, non è merito del lavoro del Bjp, ma esclusivamente suo. Stesso discorso per la finta operazione di salvataggio dei cittadini del Gujarat rimasti intrappolati nell’alluvione che la scorsa stagione monsonica ha colpito diversi luoghi di pellegrinaggio in Uttarakhand: Modi si recò personalmente nello stato disastrato dal fango e dalle piogge, facendosi riprendere dalle telecamere di tutto il paese mentre al fianco di un team militare sfidava la furia della natura munito di giubbotto di salvataggio. Alla fine dello stunt dichiarò di aver personalmente reso possibile l’aviotrasportazione di 15mila gujarati, una sparata senza arte ne parte che però contribuì ad alimentare il mito di Modi il Salvatore (oggi dell’Uttarakhand, domani dell’India).
Altro segno più: è un difensore della tradizione. Viene descritto come un fervente devoto di Vivekananda, il monaco hindu riformista del secolo scorso elevato dalla destra indiana come personalità di riferimento per un’India fondata sull’induismo, e proviene dai quadri della Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), forse l’organizzazione paramilitare dell’estremismo hindu più influente. Sposando i temi identitari della nuova destra – tradizione, crescita economica, difesa dall’Islam – Modi punta al voto della classe media nazionalista benestante, sia quella locale che gli indiani residenti all’estero, spesso i più strenui difensori dell’indianità tradizionale (un fenomeno interessante che avevo affrontato marginalmente lo scorso anno), ma anche a quello dei devoti ai margini della ricchezza, attratti da un politico in linea con i precetti religiosi.
La scelta di Modi, da parte del Bjp, è una presa di posizione molto forte e rischiosa. NaMo è sprovvisto di grandi doti diplomatiche, tende ad imporre la propria linea e a sbarazzarsi di comprimari troppo ingombranti, condizione che complicherà molto la trattativa delle alleanze elettorali. I dati parlano chiaro: solo coi voti hindu in India non si vince, occorre intercettare il favore dei musulmani (e Modi, coinvolto nei pogrom del Gujarat del 2002, non pare l’esponente in grado di dialogare con una minoranza religiosa del 25 per cento della popolazione, in crescita) e quello dei dalit, i fuoricasta, due bacini di voto determinanti in stati molto popolosi come ad esempio l’Uttar Pradesh.
Anche per questo, all’interno del Bjp, fino a pochi giorni fa continuavano i pesanti dissapori con LK Advani, uno dei principali leader del partito, che ha sempre preferito a Modi un esponente più d’apparato, che potesse essere manovrato più agilmente a seconda delle necessità politiche. Alcuni mesi fa Advani ha provato a sparigliare le carte minacciando di abbandonare il partito se non si fosse dato maggior peso alle sue titubanze, rientrando dilgentemente nei ranghi non appena appurato che sia nel partito che tra le organizzazioni politiche dell’hindutva le sue posizioni erano assolutamente minoritarie.
Ora che il candidato del Bjp è stato ufficializzato, si attende la mossa dell’Indian National Congress (Inc), partito attualmente al governo che ancora non ha indicato chi sarà il proprio cavallo vincente. I rumors indicano che stavolta potrebbe toccare al rampollo di casa Gandhi, Rahul, una faccia giovane (ha solo 43 anni) sulla quale costruire una campagna elettorale di rinnovamento anagrafico sempre strizzando l’occhiolino alle classi più deboli, core business della dinastia politica più potente del subcontinente indiano.
Ma Rahul rappresenta anche la continuazione della politica a gestione familiare dei Nehru-Gandhi, che dal 1947 hanno espresso ben tre primi ministri (Nehru, Indira e Rajiv) e che oggi, di fatto, con l’amministrazione affidata a un primo ministro “fantoccio” come Manmohan Singh continuano a tirare i fili del governo con Sonia Gandhi, presidentessa dell’Inc. Rahul sarebbe quindi un bersaglio troppo facile per la campagna del Bjp, incentrata sulla necessità di liberarsi della famiglia Gandhi (protagonista di diversi episodi eclatanti di corruzione, in passato) e di non lasciare il paese nelle mani di un meticcio come Rahul: figlio di Rajiv e Sonia, viene costantemente attaccato perché “italiano”.
Finalmente ce l’hanno fatta. Il Bharatiya Janata Party (Bjp) nel weekend ha nominato ufficialmente Narendra Modi come candidato alla premiership per il 2014. Una convergenza scontata ma particolarmente complicata.