Tra cinque giorni qui a New Delhi si torna alle urne per provare ad eleggere il governo locale della capitale. La campagna elettorale è entrata nel vivo, sviluppandosi lungo traiettorie dirette verso vette di assurdità forse ancora inesplorate. Un racconto politico che è meglio leggiate come se steste guardando una puntata di Dallas.

Ci avevano provato poco più di un anno fa, con una tornata elettorale che aveva visto l’esordio alle urne del partito della società civile Aam Aadmi Party (Aap) guidato da Arvind Kejriwal, ed era finita in farsa. Dal sostanziale pareggio tra Aap e Bharatiya Janata Party (Bjp), ne uscì un governicchio all’insegna delle “larghe intese” presieduto da Kejriwal e sostenuto da un Indian National Congress (Inc) in stato comatoso. Durò solo 49 giorni di “fantasia al potere”, con Kejriwal che un giorno faceva il chief minister e quello dopo l’agitatore di folle in strada.
Le sue dimissioni – presentate come “me ne vado perché non mi fanno fare la legge anticorruzione che avete votato”, quando la legge in questione non poteva passare a New Delhi senza che prima fosse approvata dal parlamento federale – furono prese come un tradimento della fiducia dell’elettorato, dimostrazione dell’inadeguatezza di Kejriwal quando si trattava di fare, governare, non parlare.
È passato un anno e il panorama politico nazionale è cambiato radicalmente: Narendra Modi e il Bjp sono al governo federale da otto mesi, in una luna di miele col popolo indiano alimentata da una copertura mediatica quasi totalmente schiava della propaganda di NaMo; l’opposizione al pensiero unico di Modi – rilanciare il paese attirando quanti più investitori stranieri possibili applicando un modello ultracapitalista già sperimentato in Gujarat – è inesistente; l’Inc della dinastia Gandhi sta vivendo una stagione di crisi totale, tra lotte intestine e l’incapacità di invertire la tendenza al suicidio politico rappresentata da Rahul Gandhi, prima giovane promessa del partito – e bello di mamma sua Sonia Gandhi – ora simbolo del fallimento dell’Inc; Arvind Kejriwal e Aap reduci dalla disfatta alle elezioni nazionali, dimenticati dai media e dai propri elettori.
In un contesto simile, con la performance di Modi avvinghiato all'”amico Barack” per due giorni da rotocalco rosa a margine della Festa della repubblica, per il Bjp riprendersi Delhi sarebbe dovuto essere un gioco da ragazzi. E invece: Kiran Bedi.
Kiran Bedi è un’ex ufficiale di polizia (la prima donna poliziotta indiana) che ha avuto il proprio momento di gloria durante la mobilitazione popolare di India Against Corruption (Iac), il movimento animato da Anna Hazare – ingiustamente descritto come il Nuovo Mahatma Gandhi da gran parte dei media internazionali – che vedeva tra i principali collaboratori anche Arvind Kejriwal. Quella stagione politica, ormai tre anni fa, si chiuse col dissolvimento del movimento e la seguente nascita di Aap, creatura di Kejriwal che raccoglieva elementi di Iac decisi a travasare il consenso della battaglia anticorruzione in un nuovo movimento politico (una genesi molto simile al nostro Movimento 5 Stelle).
Bedi, al momento della scissione, decise di rimanere fedele ad Anna Hazare, rifiutando l’invito di lanciarsi in politica ma continuando a fare una sorta di “opposizione extraparlamentare”. Opposizione a Modi, ovviamente.
Due settimane fa, evidentemente, Bedi ha cambiato opinione e – senza che nessuno dei quadri del Bjp a New Delhi ne fosse a conoscenza – è stata nominata a sorpresa come candidata del Bjp alla carica di chief minister di Delhi. All’inizio la mossa è stata interpretata come un colpo di grazia ad Aap, costringendo Kejriwal a fare campagna elettorale fronteggiando la sua nemesi Kiran Bedi, con la quale già non correva buon sangue all’epoca di Iac.
L’entrata di Kiran Bedi nel circo elettorale ha invece inasprito i malumori all’interno del Bjp, con decine di fedeli quadri di partito scavalcati nell’organigramma locale da una signora che fino all’altroieri attaccava un giorno sì e l’altro pure Narendra Modi e il Bjp. Dettaglio che non è passato inosservato alla stampa locale e soprattutto al giornalismo televisivo, che non appena ha avuto occasione ha inchiodato la nuova pasionaria del Bjp alle proprie responsabilità del passato.
Risultato: nel giro di una settimana, Kiran Bedi ha abbandonato a metà due interviste televisive, incapace di giustificare una metamorfosi così repentina davanti alle domande dei giornalisti (in particolare di un Arnab Goswami in trance agonistica).
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Le cose iniziano a mettersi male e al Bjp corrono ai ripari calando gli assi: Modi tiene un comizio qui a New Delhi esaltando la candidatura di Bedi e Amit Shah (presidente del Bjp e factotum al servizio di NaMo) richiama il partito all’ordine, la nostra candidata è Kiran Bedi, adeguatevi.
Nel mentre, abbassando il registro, si prova a buttarla in caciara. Il Bjp stamattina se ne esce con un manifesto/vignetta in cui ridicolizza Kejriwal, accusandolo di disonorare tutto il suo gotra, il suo clan. Ieri sera, l’uomo che il Bjp aveva affiancato a Kiran Bedi per aiutarla durante la campagna elettorale – Narendra Tandon – presenta le proprie dimissioni lamentando il piglio “dittatoriale” dell’ex poliziotta: qualcuno alza il telefono, spiega a Tandon come si sta al mondo, e oggi pomeriggio lo stesso Tandon dice “scusate tanto, ho scritto la lettera di dimissioni in un momento di fragilità emotiva, stavo scherzando, facciamo che rimango“.
Dopo le performance imbarazzanti di Bedi in tv, in una nota la candidata del Bjp dice di avere un tremendo mal di gola e che quindi non potrà più tenere alcuna intervista televisiva, solo comizi.
Ad Aap gongolano, Kejriwal invita più volte Kiran Bedi ad un confronto televisivo in stile americano, Bedi fa orecchie da mercante e non si presta al massacro.
Nel frattempo l’Inc risulta non pervenuto e si appresta probabilmente a prendere un’altra sberla alle urne. Le timide dichiarazioni di Rahul Gandhi vengono annientate da Amit Shah che, in sostanza, dice al ragazzino di stare al suo posto, che non può vedere i progressi fatti dall’India in questi otto mesi di gestione Modi poiché “indossa occhiali italiani”. Mancano solo le pernacchie.
A cinque giorni dal voto non si legge ancora un straccio di programma politico, i temi reali non esistono. Modi, addirittura, riesce a esortare la folla a votare per il Bjp perché lui “porta fortuna”.
Questo è quanto si muove intorno alle elezioni per il governo della capitale del secondo paese più popoloso al mondo.
Il divertimento non manca.
@majunteo
Tra cinque giorni qui a New Delhi si torna alle urne per provare ad eleggere il governo locale della capitale. La campagna elettorale è entrata nel vivo, sviluppandosi lungo traiettorie dirette verso vette di assurdità forse ancora inesplorate. Un racconto politico che è meglio leggiate come se steste guardando una puntata di Dallas.