La Bosnia-Erzegovina domenica torna alle urne. La vittoria del nazionalista croato Covic e di quello serbo Dodik, pronti ad allearsi, rischia di paralizzare il Paese. Ma la rivolta contro il leader della Republika Srpska innescata dalla morte di un ragazzo può cambiare la scena politica
Belgrado – Domenica 7 ottobre i cttadini della Bosnia-Erzegovina saranno chiamati a votare alle ottave elezioni generali da quando il Paese è indipendente. Si rinnovano tutti i livelli del complesso apparato statale risultato dagli Accordi di Dayton del 1995: la presidenza tripartita, il parlamento centrale, i parlamenti delle due entità, così come la presidenza della Republika Srpska, una delle due entità – l’altra è la Federazione di Bosnia-Erzegovina -.
Nonostante i tre presidenti abbiano un potere limitato, questa posizione – tenuta a rotazione secondo il principio primus inter pares – garantisce la massima rappresentanza dei tre popoli costituenti del Paese. E a parte alcune parentesi di politici socialdemocratici, queste cariche sono sempre state ricoperte da rappresentanti dei principali partiti etno-nazionalisti.
I candidati e i sondaggi
Sul fronte bosgnacco, il Partito d’Azione Democratica del presidente uscente Bakir Izetbegovic – che conclude il secondo mandato – ha candidato Sefik Dzaferovic, preferito al presidente del partito nonché primo ministro Denis Zvizdic, probabilmente per puro calcolo politico. Qualora non si dovesse costituire una maggioranza nel parlamento di Sarajevo, Zvizdic potrebbe infatti mantenere la carica di premier ad interim. Tra i principali sfidanti per la rappresentanza dei musulmani di Bosnia ci sono anche Fahrudin Radoncic, imprenditore e presidente del Partito per un Futuro Migliore della Bosnia-Erzegovina, e Denis Becirovic, del Partito Socialdemocratico – una delle poche realtà non nazionaliste in Bosnia. Stando ad alcuni sondaggi ufficiosi, però, Dzaferovic sarebbe in netto vantaggio sui due concorrenti.
Per il seggio serbo, invece, i sondaggi riportano un serrato testa a testa tra il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik, candidato dell’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti, e l’attuale presidente Mladen Ivanic, del Partito del Progresso Democratico.
Infine, per la rappresentanza croata, la partita si giocherà tra l’attuale presidente Dragan Covic, della Comunità Democratica Croata BiH, e Zeljko Komsic, oggi leader del Fronte Democratico ma che ha già ricoperto la carica quando era tra le fila dei socialdemocratici. I sondaggi lo danno in leggero vantaggio su Covic e non è da escludere che anche questa volta possa godere del supporto di molti cittadini bosgnacchi, di fatto ingannando la logica etnica con cui vengono eletti i massimi rappresentanti bosniaci.
Una svolta in Republika Srpska?
Queste elezioni potrebbero però portare a nuove sorprese per la presidenza dell’entità serba. Da oltre sei mesi, infatti, il potere di Dodik è messo sotto accusa dalle proteste di Banja Luka portate avanti da Davor Dragicevic, padre di David, il ventunenne trovato morto in circostanze non ancora chiarite. Il padre accusa sulla pubblica piazza i vertici della polizia e del governo di complicità in quello che lui sostiene essere un omicidio. E questa sera, a due giorni dal voto, il gruppo Pravda za Davida (giustizia per David) terrà la terza manifestazione di massa a cui è prevista la partecipazione di decine di migliaia di persone provenienti da tutta la Bosnia. Al di là delle legittime richieste di giustizia, c’è da credere che queste persone rappresentino lo zoccolo duro dell’opposizione politica al padre padrone della Republika Srpska.
Dal canto suo, durante la campagna elettorale, Dodik ha attaccato pubblicamente sia i manifestanti che lo stesso Davor Dragicevic sostenendo che questi «si crede un figo perché dorme in piazza» e minacciando che da lunedì 8 ottobre, all’indomani del voto, dovrà disfare le tende e andarsene.
Le minacce di Dodik sembrano però più una difesa contro un timore reale. Il candidato del suo partito è l’attuale premier dell’entità Zeljka Cvijanovic. Tuttavia, dopo quasi vent’anni alla guida dei serbi di Bosnia, il partito teme la sconfitta in favore dell’Alleanza per la Vittoria, piattaforma dell’opposizione guidata da Vukota Govedarica.
Per ricompattare l’elettorato, Dodik è ricorso quindi alla politica estera, rinsaldando i legami della Republika Srpska con la Russia. Lo scorso 21 settembre, infatti, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov è volato in Bosnia mentre il 30 settembre lo stesso Dodik si è recato a Mosca dal presidente russo Vladimir Putin. Due visite che ufficialmente hanno riconfermato le partnership strategiche tra la Russia e la Republika Srpska, ma che hanno un retrogusto prettamente politico.
Possibili scenari
In conclusione, il futuro del Paese dipenderà molto dall’elezione dei seggi serbo e croato. Da mesi, infatti, si specula sulla possibile intesa tra Dodik e Covic – massimi esponenti dei relativi nazionalismi – in merito alla creazione di un’entità per i croati. Qualora venissero eletti, questa insolita alleanza rischierebbe di portare a uno stallo politico al più alto livello statale causando l’ennesima paralisi per mano di partiti nazionalisti. Il rischio, infatti, è che Covic possa ricambiare l’avallo di Dodik sulla terza entità sostenendo o non interferendo nei suoi piani secessionisti, che da sempre rappresentano la chiave del suo succeso politico.
Uno scenario che si fa ancor più complicato se si guarda al resto della regione. L’ipotesi portata avanti tutta l’estate tra Serbia e Kosovo di ridisegnare i propri confini potrebbe avere dirette conseguenze proprio sulla Bosnia che, in virtù di scambi etnici e compattezze nazionali, ha già sofferto abbastanza in passato. L’ennesima riconferma dei partiti nazionalisti non porterebbe nulla di nuovo e nulla di buono.
@Gio_Fruscione
La Bosnia-Erzegovina domenica torna alle urne. La vittoria del nazionalista croato Covic e di quello serbo Dodik, pronti ad allearsi, rischia di paralizzare il Paese. Ma la rivolta contro il leader della Republika Srpska innescata dalla morte di un ragazzo può cambiare la scena politica