Dopodomani 12 milioni di persone andranno alle urne per votare il governo locale della capitale. Gli osservatori sono pronti a trarre conclusioni affrettate sull’esito elettorale, nel tentativo di prefigurare gli equilibri delle prossime nazionali. Iniziamo fin da ora a mettere le mani avanti, ché l’India e Delhi sono due cose molto diverse.

Il 4 dicembre tutti alle urne per votare i capi del potere locale dell’Impero. La rilevanza, a livello popolare e di fiducia nei partiti, che questa tornata a New Delhi avrà sulla politica nazionale è enorme, con schiere di sostenitori da varie parti pronti ad accanirsi sullo sconfitto.
Per la stampa indiana siamo davanti ad una corsa a due tra il Congress di Sonia Gandhi, che tenta la rielezione della chief minister Sheila Dikshit inizialmente alzata ad agnello sacrificale dopo lo stupro di gruppo della studentessa di Delhi, e i nazionalisti del Bjp, che nella capitale hanno deciso di candidare una faccia poco nota a livello nazionale ma di peso nelle alchimie locali: Harsh Vardhan, che prima di approdare al parlamento locale di Delhi negli anni ’90 si era fatto le ossa nell’onnipresente Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), una delle formazioni dell’estremismo hindu delle quali avevamo parlato a più ripetizioni.
Il terzo incomodo lo farà l’Aam Aadmi Party (Aap) di Arvind Kejriwal, che negli ultimi giorni ha divulgato dei sondaggi che lo darebbero intorno al 30 per cento delle preferenze, primo partito nella capitale. Si tratta probabilmente di cifre gonfiate – il resto dei sondaggi dà Kejriwal intorno al 10 – ma è indubbio che il Partito dell’Uomo Comune dopo l’8 di dicembre, quando si andrà alla conta dei voti, diventerà un fattore determinante a livello nazionale, seppur in misura esigua.
Al fianco dei problemi atavici comuni a tutta l’India (corruzione, occupazione, inflazione, crescita, ambiente, sicurezza), la campagna a Delhi si gioca sui fattori locali: abbassare le bollette della luce, migliorare il sistema di tubature per l’acqua, promettere soluzioni a medio termine per mitigare la diseguaglianza sociale di una metropoli che vede la convivenza di un’élite urbana strettamente interdipendente dall’esercito di lavoratori immigrati dal resto del paese che provvedono al funzionamento – o alla parvenza di – degli ingranaggi cittadini. Gente che guida i riksha, stacca i biglietti sull’autobus, porta il cibo a domicilio e la verdura nei mercati, pulisce gli uffici e tiene aperti i banchetti del té e a fine giornata torna a vivere negli slum.
L’avvento di un partito a dimensione cittadina pare abbia polarizzato il voto di gran parte di questa fetta di società, ma i meccanismi ben oliati dei pacchetti di voti a livello di quartiere – figli del ricatto o del clientelarismo – probabilmente risulteranno abbastanza saldi da assorbire il colpo di Kejriwal e i suoi.
L’esito delle elezioni, comunque, verrà preso (nelle varie varianti) come la conferma del Congress, l’inizio della scalata al potere del Bjp a livello nazionale o l’alba della rivoluzione anticorruzione di Aap. Si scriveranno chili di inchiostro e ci si sbizzarrirà coi sondaggi e controsondaggi, ma nell’aritmetica nazionale oggi in India contano solo gli accordi coi partiti locali, formazioni inesistenti a Delhi ma preponderanti in altri stati dal peso specifico elettorale enorme come il Trinamool in Bengala, il Samajwadi Party in Uttar Pradesh, l’AIADMK in Tamil Nadu…
Dopo aver sancito il vincitore a Delhi, tutti riprenderanno il pallottoliere in mano e da qui alla prossima primavera si apriranno le contrattazioni – sopra e sotto il banco – per assicurarsi il favore di questo o quel partito locale per arrivare ad una serie di accordi di massima in cambio di promesse da mantenere.
L’estenuante gioco di compromessi continuo sul quale poggia da decenni la più grande democrazia del mondo.
Dopodomani 12 milioni di persone andranno alle urne per votare il governo locale della capitale. Gli osservatori sono pronti a trarre conclusioni affrettate sull’esito elettorale, nel tentativo di prefigurare gli equilibri delle prossime nazionali. Iniziamo fin da ora a mettere le mani avanti, ché l’India e Delhi sono due cose molto diverse.