È un duello inedito quello che in Francia stanno per ingaggiare Emmanuel Macron e Marine Le Pen nei prossimi 15 giorni: per la prima volta tra i due candidati al ballottaggio presidenziale nessuno appartiene a uno dei due partiti tradizionali della politica francese e perché nessuno dei due candidati è stato mai eletto prima.
Il voto del 23 aprile è corso sul filo rosso delle posizioni antisistema. “La sfida [al ballottaggio] non sarà votare contro qualcuno”, ha detto Macron un paio d’ore dopo la vittoria, “ma rompere con un sistema che si è rivelato incapace di rispondere ai problemi del nostro paese negli ultimi trent’anni”. Quasi sconosciuto un anno fa quando ha lanciato il suo movimento En Marche!, il candidato-fenomeno, quello che è spuntato, dicono, come un fungo è arrivato primo con il 23,75 per cento. Le Pen, seconda con il 21,53 per cento, rappresenta l’estrema destra che lotta contro tutto ciò che i governi negli ultimi decenni hanno rappresentato, a cominciare dall’Europa.
Il risultato è stato anche una scelta tra l’ottimismo del candidato del nuovo e più giovane candidato alla presidenza mai, Macron, e la paura leitmotiv di Le Pen, che tuttavia non è riuscita a conti fatti a fare diventare centrali i suoi temi: immigrazione, identità, terrorismo, frontiere, globalizzazione.
Il candidato “non di sinistra né di destra” ha lasciato parlare Le Pen per prima per usare poi nel suo discorso con maestria i concetti del messaggio lepenista. “Voglio diventare il presidente di tutto il popolo della Francia, dei patrioti, di fronte alla minaccia dei nazionalisti”.
Nel suo discorso dal tono già presidenziale, Macron ha insistito sui temi cari a Le Pen: ”Abbiamo capito i dubbi, la collera del popolo della Francia e abbiamo capito la voglia di cambiamento che l’ha portato a scartare i due grandi partiti che lo governano da trent’anni”.
Macron ha massicciamente raccolto il voto dei socialisti – Benoît Hamon ha ottenuto un disastroso 6,35 per cento – e dei conservatori moderati de Les Républicains, 19,91 per cento, rappresentati da un François Fillon inciampato sui propri scandali. Entrambi subito nella serata hanno chiesto ai loro elettori di votare Macron nel secondo turno, come quasi tutta la classe politica ad eccezione di Jean-Luc Mélenchon.
Il candidato e i militanti della nuova sinistra dura e pura de La France insoumise sono rimasti molto delusi, anche se con il 19,64% diventano un’importante quarta forza. A caldo, nel discorso ai sostenitori in serata, Mélenchon è stato più grillino che mai. Non ha riconosciuto i risultati fino a quelli definitivi nella notte ed è l’unico candidato a non avere chiesto il voto per Macron al secondo turno. Molti osservatori non hanno capito perchè, considerando che l’oppositore di Macron è il partito dell’estrema destra, il Front national. “Non voteremo mai per l’estrema destra di Le Pen”, è sembrata arrampicarsi sui vetri la responsabile del suo programma Charlotte Girard parlando alla stampa: “Il fatto è che saranno i 450.000 sostenitori della sua candidatura a decidere in rete sull’indicazione da dare per il secondo turno”.
Macron invece, molto presidenziale e conciliatorio, ha salutato tutti gli altri candidati suscitando un forte applauso dei suoi sostenitori nella grande hall del Parco delle esposizioni a Porta di Versailles. “Grazie di averli applauditi, è un gesto che vi è consono”, ha detto prima di ringraziare Hamon e François Fillon per il sostegno.
Le Pen e Macron sono una coppia di duellanti ideali, perché i loro temi sono in perfetto contrasto. Sono due visioni politiche opposte: costruire o lasciare l’Europa, frontiere aperte o “libera circolazione dei terroristi”, globalizzazione contro protezionismo, uno Stato provvidenziale contro un liberalismo protettivo.
L’Europa post Brexit ha tirato un sospiro di sollievo, da Sigmar Gabriel e Martin Schulz in Germania che vedono Macron come un trampolino per rilanciare un’Europa più fresca. Persino l’euro si è rafforzato all’apertura di Tokyo prima e nei mercati europei dopo.
Trump, pro Le Pen fino a ieri, per ora non si è pronunciato – né ha twittato, ma ciò sembra importare poco alle opinioni pubbliche non nazionalistiche né di destra davanti all’opportunità, tutt’altro che garantita finora, di preservare le idee europee e il ruolo dell’Europa come polo di stabilità nel mondo.
Il discorso di Macron è stato presidenziale anche la sua insistenza sul cosiddetto “terzo turno”, vale a dire, le elezioni legislative di giugno che potrebbero polverizzare nuovamente il suo capitale politico. Per portare avanti le sue riforme, Macron ha bisogno che non si sfaldi con un voto di riscoperta dei socialisti o dei repubblicani – “La forza del raggruppamento sarà determinante per governare la Francia” a favore di chi vuole “innovare, intraprendere e lavorare” e crede in un progetto di rinnovamento della vita politica, di sicurezza, del lavoro e per la scuola, che “permettere a ciascuno, da dovunque egli provenga, di progredire nella società rilanciando la costruzione europea”.
Contro questo obiettivo rema una pressione nei due partiti tradizionali perché riprendano il loro ruolo. Inoltre, Macron dovrà fare i conti in Parlamento con quattro blocchi di cui uno nettamente opposto e tutt’altro che minoritario.
Le Pen potrà pescare tra i partiti minori sovranisti, tra i repubblicani timorosi di ciò che di sinistra c’è nel programma di Macron, come la politica per l’immigrazione, e tra gli Insoumis (letteralmente ”quelli che non si sottomettono”) nazionalistici che hanno le stesse idee sull’Europa e su un forte ruolo dello Stato nell’economia e nel sociale, oltre a quelli che come Le Pen indicano a Macron come un uomo della finanza e del Partito socialista.
La corsa frenetica ai sostenitori per il ballottaggio è quindi cominciata già nella stessa serata elettorale con lo sguardo sulle legislative di giugno. Saranno 15 giorni cruciali per tenere in carreggiata la Francia, e quindi l’Europa, e il suo ruolo nel mondo, e i suoi valori…