Lo scorso venerdì 2 dicembre, il Gambia è stato scosso da un terremoto politico provocato dall’esito del voto popolare, che ha decretato vittoria a sorpresa di Adama Barrow ponendo fine a 22 anni di potere del presidente Yahya Jammeh.
La più piccola nazione dell’Africa continentale ha voltato pagina estromettendo in modo democratico un Presidente che in passato si era dichiarato pronto a governare il Paese per un miliardo di anni e fiero di essere etichettato come un dittatore.
Appena 29enne, nel 1994, Jammeh aveva conquistato il potere con un colpo di stato destituendo l’allora presidente Dawda Kairaba Jawara ed era stato rieletto tre volte di seguito, instaurando un regime monolitico che ha governato il Paese nel totale disprezzo dei diritti umani, come confermato dai numerosissimi casi, segnalati dalle organizzazioni umanitarie, di arresti arbitrari e crudeli torture nei confronti degli oppositori.
Per non parlare del fatto, che solo pronunciare in pubblico il nome di Jammeh poteva portare all’arresto e della grave situazione di pericolo in cui sono stati costretti a vivere omosessuali e transgender, soprattutto dopo l’approvazione nell’agosto 2014 della legge che ha introdotto il reato di “omosessualità aggravata”, per il quale è previsto addirittura l’ergastolo.
Il risultato delle elezioni ha posto fine a tutto questo e ha indotto Jammeh a riconoscere la sconfitta, accettando di cedere il prossimo gennaio il potere al nuovo Presidente eletto.
Il suo successore, Adama Barrow, è un facoltoso imprenditore, nato anche lui come Jammeh nel 1965, l’anno in cui il Gambia divenne indipendente dal Regno Unito. Barrow si è laureato in Real Estate a Londra, dove era giunto nei primi anni 2000. Per pagarsi gli studi, aveva lavorato come guardia di sicurezza in un negozio Argos a Holloway Road, a nord della capitale inglese.
Tornato nel 2006 in Gambia, ha sposato due donne: Fatou Bah e Sarjo Mballow, dalle quali ha avuto cinque figli. Fonda la Majum Real Estate e ne assume la carica di amministratore delegato, realizzando milioni di dollari di fatturato e imponendosi nel mercato immobiliare.
Fino alla sua designazione come candidato presidenziale del Partito democratico unito, Barrow era poco noto. Tuttavia, era stato descritto come “il candidato perfetto. Un uomo umile, gentile e laborioso che mantiene fede alle promesse”.
Nella sfida con il Presidente uscente, che Barrow ha definito “un dittatore senz’anima”, si è posto a capo di una coalizione di sette partiti e ha ottenuto la più insperata delle vittorie, in un continente dove alcune volte il Presidente in carica viola o addirittura fa cambiare la Costituzione per allungare la sua permanenza al potere.
Nella Repubblica democratica del Congo, il presidente Joseph Kabila ha rinviato ad aprile 2018 le elezioni che si sarebbero dovute tenere lo scorso 27 novembre, nella prospettiva di prendere tempo per modificare la Carta Costituzionale e ricandidarsi a un terzo mandato. Mentre in Burundi, la rielezione di Pierre Nkurunziza, avvenuta in aperta violazione dell’articolo 96 della Costituzione, ha trascinato il Paese in una guerra civile.
Il loro omologo dell’Uganda, Yoweri Museveni, salito al potere nel 1986 successivamente alla ribellione armata che cacciò Milton Obote, è attualmente al suo quinto mandato consecutivo, dopo aver vinto le elezioni dello scorso 18 febbraio. Lo stesso quinto mandato, conquistato il 10 aprile scorso, dal presidente del Ciad, Idriss Déby Itno, da 26 anni al potere in uno dei paesi più poveri del mondo.
L’elenco prosegue con Teodoro Obiang Nguema Mbasogo in Guinea Equatoriale, che, giunto al settimo mandato, detiene attualmente il record di longevità come capo di Stato, seguito a breve distanza dall’angolano Eduardo dos Santos, il quale lo scorso 2 dicembre ha annunciato che il prossimo anno lascerà la guida dell’Uganda.
Senza dimenticare, Paul Biya, che da 34 anni governa ininterrottamente il Camerun e Denis Sassou Nguesso, che lo scorso 24 marzo è stato rieletto presidente per un ulteriore mandato di cinque anni alla guida della Repubblica del Congo, che governa da 19 anni.
Tuttavia, non sempre il dinosauri africani riescono nel perpetuare il loro potere. Un esempio lampante è quello del Burkina Faso, dove nell’ottobre 2014, il presidente Blaise Compaoré è stato letteralmente cacciato dalle proteste di piazza dopo 27 anni di governo.
Secondo Steve Cockburn di Amnesty International, gli autocrati africani potrebbero rispondere all’uscita di scena di Jammeh in due modi: aprendosi un po’ per evitare la stessa sorte oppure, al contrario, inasprendo la repressione.
In questo clima continentale, il dittatore gambiano decide di rispettare la volontà del popolo e lascia la poltrona a Barrow, che ha già iniziato le consultazioni per la formazione del nuovo Governo, che dovrà portare avanti un processo di riconciliazione nazionale nell’interesse del Paese.
Il nuovo Presidente ha promesso di non ritirare Banjul dalla Corte penale internazionale e, cosa decisamente inusuale per l’Africa, ha spiegato che la sua sarà solo una transizione di circa mille giorni, propedeutica alla democratizzazione piena del Gambia e a nuove elezioni.