Prima volta storica alle ultime elezioni che hanno sancito la vittoria del partito cosiddetto nazionalista. La leader Michelle O’Neill: “Si accetti il voto democratico e il ritorno al sistema del potere condiviso”. Quali implicazioni nel rapporto tra Regno Unito e Ue?
Una prima volta storica alle ultime elezioni in Irlanda del Nord, che hanno sancito la vittoria del Sinn Féin sul Democratic Unionist Party, la formazione fedele alla Corona. Non era mai accaduto in 101 anni che il partito cosiddetto nazionalista, ovvero pro unificazione con il resto dell’isola, acquisisse più seggi a Stormont, l’assemblea parlamentare con sede a Belfast. Fatto che pone Michelle O’Neill del Sinn Féin in pole position per diventare First Minister.
I sogni di gloria di O’Neill dovranno fare i conti con Jeffrey Donaldson, guida politica del Dup, che ha affermato la sua intenzione a non partecipare all’esecutivo (sostanzialmente il Governo nord-irlandese) finché Londra non prenderà “azioni decisive” sul protocollo per l’Irlanda del Nord. In questo frangente si uniscono molteplici problematiche: gli strascichi della Brexit e le decisioni per Belfast e l’obbligatorietà, prevista dagli Accordi del Venerdì Santo, di power sharing.
Parliamo della condivisione dei poteri a livello di esecutivo, che viene richiesta — come in questo caso — quando non c’è una coalizione decisa precedentemente alle elezioni. O’Neill Prima Ministra e il Dup espressione del Deputy First Minister: questo dovrebbe essere il quadro dell’assetto politico, così come deciso dal Good Friday Agreement e ribadito con l’accordo New Decade, New Approach del 2020. Ma le parole di Donaldson lasciano pensare a un rallentamento nella formazione del nuovo esecutivo, motivo che ha spinto la leader del Sinn Féin a intervenire pubblicamente per la richiesta di “rispetto per il risultato democratico”.
“Non ci faremo tenere in ostaggio a causa del protocollo, non saremo un danno collaterale del game of chicken con l’Unione europea”, ha detto O’Neill. Per la First Minister in pectore, la responsabilità per trovare una soluzione al protocollo e assicurare la sua implementazione è di Boris Johnson e dell’Unione europea. A questo punto, la situazione rischia di diventare incandescente, in particolar modo per le posizioni di O’Neill sull’avvicinamento a Dublino e per la posizione che avrà Londra sul rischio, per quanto remoto, di perdita dell’Irlanda del Nord.
Come fatto notare da Fintan O’Toole, giornalista irlandese del The Guardian, “in un sistema di Governo normale, la caduta e l’ascesa dei partiti non sono accompagnate da implicazioni esistenziali. Ma l’Irlanda del Nord non è mai stata normale. È stata creata per assicurare un grande imperativo: permettere a quanti protestanti possibile di rimanere nel Regno Unito ed escludere loro stessi dallo Stato irlandese. I suoi confini sono state creati appositamente affinché ci sia un’area che garantisca una maggioranza permanente ai protestanti, che significa, ovviamente, che la popolazione cattolica formi una perenne minoranza”.
Ma la questione è persino più complessa: per Charles Grant del Centre for European Reform, la vittoria del Sinn Féin indurirà la posizione britannica nelle negoziazioni. Questo perché rende meno sicura la partecipazione del Dup al Governo, che rischia di portare a una crisi che, nel lungo periodo, potrebbe mettere a repentaglio il Good Friday Agreement. Un altro problema causato dalla Brexit e dagli accordi sulle relazioni tra Londra e Bruxelles, che non sarà semplice da risolvere, in un contesto internazionale fin troppo saturo di escalation.
Prima volta storica alle ultime elezioni che hanno sancito la vittoria del partito cosiddetto nazionalista. La leader Michelle O’Neill: “Si accetti il voto democratico e il ritorno al sistema del potere condiviso”. Quali implicazioni nel rapporto tra Regno Unito e Ue?