Dopo una delle campagne elettorali più polarizzate dall’inizio degli anni Novanta, il Likud di Netanyahu stravince le elezioni ottenendo 30 seggi alla Knesset, contro i 24 dell’Unione Sionista di Hergoz e Livni, e puntando al quarto esecutivo.
Il risultato delle urne indica la correttezza dell’investimento politico realizzato lo scorso dicembre dallo stesso Netanyahu, quando, licenziando i ministri di area moderata, Lapid e Livni, mise fine al suo terzo esecutivo, convinto di potersi rafforzare elettoralmente con nuove elezioni.
L’investimento gli frutta oggi un Likud mai così forte dai tempi di Ariel Sharon del 2001 e gli garantisce la formazione di un governo di stampo nazionalista, ideologicamente omogeneo perchè costituito dagli altri partiti di destra, dai partiti religiosi e, molto probabilmente, anche dal partito transfugo dell’ex Likud Moshe Kahlon, che è riuscito a ottenere il 7,4% dei voti e 10 seggi.
Se Netanyahu ha stravinto queste elezioni, è evidente che ad averle perse siano stati Herzog, Livni e la loro Unione Sionista, data leggermente in vantaggio sull’avversario fino a quattro giorni prima del voto.
Per l’Unione Sionista ventiquattro seggi non sono sufficienti a spezzare l’egemonia conservatrice sul Paese e, numericamente, non costituiscono un’alternativa alla politica di Netanyahu, soprattutto in un quadro politico che offre pochi alleati progressisti e una lista unica di partiti arabi – la terza più grande in Israele, con l’11% dei voti e 14 seggi alla Knesset – dichiaratamente non interessata a entrare in un governo con partiti sionisti.
Richiamandosi al Sionismo laico, Herzog e Livni hanno provato ad unire la forza elettorale del partito laburista HaAvoda a quella del partito centrista Hatnuah, proponendo un programma politico che faceva dei temi socio-economici la chiave per risolvere tutte le criticità del Paese, dal rapporto con i propri alleati internazionali al conflitto israelo-palestinese.
L’esperimento, per quanto sia riuscito a polarizzare una parte dell’elettorato, ad entusiasmare chi sperava in un cambiamento e a far temere il peggio a Netanyahu sino agli ultimi giorni della campagna elettorale, è risultato non sufficiente, per non dire fallimentare.
Dopo sei anni di Netanyahu caratterizzati da due guerre contro Hamas a Gaza, dall’incrinatura dei rapporti con l’amministrazione Obama, da numerosi scandali che hanno coinvolto la famiglia del primo ministro, dal blocco del processo di pace con i palestinesi e da una politica tutta incentrata sulla difesa e non curante delle emergenze economiche, sociali e culturali della società israeliana, i ventiquattro seggi ottenuti dall’Unione Sionista, tre in più rispetto alla somma dei risultati ottenuti dai singoli partiti HaAvoda e Hatnuah alle elezioni del 2013, sono una sconfitta netta.
All’Unione Sionista è probabilmente mancata una leadership in grado di parlare in modo semplice a tutta la società israeliana, e un programma chiaro non solo sui problemi socio-economici ma anche sulla difesa.
Herzog non è riuscito a cancellare il sentimento di disillusione che molti israeliani provano ancora nei confronti della sinistra israeliana dal giorno del fallimento degli Accordi di Oslo; mentre Livni, fino a tre mesi fa ministro del terzo esecutivo Netanyahu, non ha mai convinto del tutto l’elettore medio israeliano.
Netanyahu ha ripetuto la strategia degli ultimi anni, basando il proprio programma politico interamente sulla difesa, presentandosi come l’unico leader in grado di difendere gli interessi di Israele in una regione oramai sconquassata dalle guerre civili, dal terrorismo islamico e dal rischio di un Iran dotato di tecnologia nucleare. Bibi, com’è chiamato dalla stampa locale, si è rivolto agli elettori tradizionalmente di destra, chiedendo il voto utile per rafforzare il Likud, radicalizzando la posizione del partito su temi come il conflitto israelo-palestinese e, di fatto, svuotato il bacino elettorale dei suoi alleati più a destra – Avigdor Lieberman (Yisrael Beytenu: 5,2% e 6 seggi) e Naftali Bennett (HaBayit HaYehudi: 6,4% e 8 seggi).
Con un Likud forte, l’assottigliamento dei suoi alleati tradizionali e dei partiti religiosi permetterà a Netanyahu di tenere strette le redini di un governo in cui le concessioni maggiori verranno probabilmente date all’ex compagno di partito Moshe Kahlon, oggi segretario del partito Kulano deciso a spostare il focus della politica nazionale dalla difesa ai problemi socio-economici della popolazione.
Herzog ha ammesso la propria sconfitta, mentre Netanyahu si è detto pronto a formare un governo entro la prima settimana di Aprile.
Israele avrà presto un governo forte, ma il rischio è che il Paese si isoli ancora di più internazionalmente, alienandosi alleati importanti – USA e EU in primis – per la dichiarata intenzione di Netanyahu a non riprendere il negoziato di pace con i palestinesi e a opporsi a qualsiasi soluzione che comporti la nascita di uno Stato palestinese a ovest del fiume Giordano.
@alexdimaio
Dopo una delle campagne elettorali più polarizzate dall’inizio degli anni Novanta, il Likud di Netanyahu stravince le elezioni ottenendo 30 seggi alla Knesset, contro i 24 dell’Unione Sionista di Hergoz e Livni, e puntando al quarto esecutivo.
Il risultato delle urne indica la correttezza dell’investimento politico realizzato lo scorso dicembre dallo stesso Netanyahu, quando, licenziando i ministri di area moderata, Lapid e Livni, mise fine al suo terzo esecutivo, convinto di potersi rafforzare elettoralmente con nuove elezioni.