Il candidato marxista Dissanayake, leader del Fronte popolare di liberazione, vince a sorpresa ed è il nuovo Presidente. Ha presentato un programma di trasformazione radicale del Paese, forte il consenso tra i giovani elettori.
La svolta è totale, il legame col passato è stato reciso in maniera drastica. Lo Sri Lanka ha scelto come suo nuovo presidente Anura Kumara Dissanayake, candidato marxista che non era ritenuto uno dei più favoriti alla vigilia delle elezioni di sabato 21 settembre. Tra i 39 candidati alla presidenza, tutti uomini, i nomi più caldi erano altri. A partire da quello di Ranil Wickremesinghe, il leader uscente entrato in carica al culmine del collasso economico del 2022.
L’ormai ex presidente è uomo di fiducia della potentissima dinastia politica dei Rajapaksa, costretta al passo indietro al culmine delle proteste di due anni fa per il tracollo economico. Wickremesinghe ha saputo in parte rialzare lo Sri Lanka, migliorando i numeri, ma lo ha fatto seguendo dure politiche di austerità imposte dal contestato piano di salvataggio del Fondo monetario internazionale. Ed è questo che lo ha punito, visto che si è fermato al terzo posto al 17,27% dei consensi.
Male anche anche Namal Rajapaksa, figlio dell’ex presidente Mahinda e ultimo rampollo della famiglia che ha dominato per anni la politica del Paese dell’oceano Indiano. D’altronde, la maggior parte del partito di famiglia, Fronte del Popolo dello Sri Lanka, aveva optato per sostenere la candidatura di Wickremesinghe. A nulla è servito il suo programma pieno di promesse sulla riduzione della pressione fiscale: troppo stretto il legame tra il suo ingombrante cognome e quanto accaduto negli scorsi anni. Così come il legame dello stesso Wickremesinghe, veterano della politica nazionale sulla scena già da oltre tre decenni. In ogni occasione, a partire dalla prima volta tra il 1993 e il 1994, era stato chiamato a governare in un frangente di grave crisi economica. Ma la sua fama da “aggiustatore” ed “equilibratore” non è bastata, perché il popolo dello Sri Lanka ha mostrato con chiarezza di aspirare al cambiamento.
Ed ecco allora che la vittoria è andata a Dissanayake, leader del Fronte popolare di liberazione, il più radicale tra i partiti strutturati in gara. Dissanayake, 55 anni, ha ottenuto il 42,31% dei voti, con la commissione elettorale che ha annunciato la sua vittoria dopo una intensa due giorni di spoglio visto che non è arrivato al 50% necessario per salire al governo al primo conteggio. Dopo l’esame delle preferenze, la sentenza che pareva comunque già scontata dopo il grande vantaggio rispetto ai rivali emerso già nella serata di sabato. Al secondo posto Sajith Premadasa, figlio del defunto presidente Ranasinghe Premadasa con un forte seguito tra la minoranza tamil. La sua proposta di una piattaforma socialdemocratica gli ha consentito di arrivare davanti a Wickremesinghe, con il 32,76% dei voti, ma lontano da Dissanayake.
“Questa vittoria appartiene a tutti noi. Insieme, siamo pronti a riscrivere la storia dello Sri Lanka, ha scritto il neo presidente X. Dissanayake, professione originaria avvocato, non ha mai nascosto quella che vuole essere l’etichetta sulle sue convinzioni politiche, vale a dire “marxista”. Aveva già sfidato Wickremesinghe nel 2022, quando il parlamento aveva dovuto nominare il successore di Gotabaya Rajapaksa, raccogliendo la miseria di tre voti.
Ben più forte il consenso raccolto tra gli elettori, soprattutto tra i giovani. Dissanayake ha saputo attirare l’attenzione su di sé quando ha partecipato attivamente alla caduta del governo Rajapaksa e negli ultimi due anni è stato in una sorta di campagna elettorale permanente, in cui ha accusato senza riserbo le mosse del governo e l’austerità imposta dal FMI. Da parte sua, Dissanayake ha presentato un programma in cui si parla di trasformazione sociale, economica e politica, con un rafforzamento del welfare, la lotta alla corruzione e un forte accento sulla digitalizzazione. Non è tutto. Sul fronte politico, propone l’abolizione del sistema presidenziale per tornare a una democrazia parlamentare. Un modo, a suo dire, per ridurre la possibilità che lo Sri Lanka finisca “ostaggio” di potentati quasi dinastici come i Rajapaksa. In campagna elettorale, Dissanayake ha anche promesso di affrontare la corruzione e di ridurre i privilegi della classe dirigente, come le generose pensioni e i permessi per le auto, e si è impegnato a riaprire tutti i casi di presunte violazioni dei diritti umani verificatisi durante la brutale guerra civile, terminata nel 2009.
Di certo, all’FMI chiederà di rinegoziare alcune condizioni del piano di salvataggio, per fare ricadere meno gli effetti collaterali sulla popolazione. In cambio, verrebbe messa in piedi una riforma fiscale. L’accordo originario, messo a punto nel marzo 2023, ha una durata prevista di quattro anni e sinora è arrivato circa un miliardo di dollari dei tre previsti in totale.
Da capire quale sarà l’approccio sul fronte internazionale. Il suo posizionamento ideologico potrebbe renderlo affine alla Cina, che negli anni ha già sviluppato importanti interessi nello Sri Lanka, a partire dalla controversa gestione del porto di Hambantota dopo che il Paese non era riuscito a ripagare i debiti accumulati per gli ingenti investimenti e prestiti promossi da Pechino negli anni. Nei giorni scorsi, uno dei massimi consiglieri del neo presidente, Anil Jayantha, ha però provato a dipingere una linea equilibrata tra Cina e India. “Il nostro partito e il nostro leader vogliono impegnarsi con Nuova Delhi. L’India è certamente un nostro vicino e una grande potenza. Recentemente siamo stati invitati dall’India per un vertice sull’agricoltura. Abbiamo visitato Delhi e il Kerala. Il nostro leader vuole trattare con tutte le grandi potenze per stabilizzare l’economia dello Sri Lanka”, ha dichiarato in un’intervista. Narendra Modi e Xi Jinping osservano con attenzione.
La svolta è totale, il legame col passato è stato reciso in maniera drastica. Lo Sri Lanka ha scelto come suo nuovo presidente Anura Kumara Dissanayake, candidato marxista che non era ritenuto uno dei più favoriti alla vigilia delle elezioni di sabato 21 settembre. Tra i 39 candidati alla presidenza, tutti uomini, i nomi più caldi erano altri. A partire da quello di Ranil Wickremesinghe, il leader uscente entrato in carica al culmine del collasso economico del 2022.
L’ormai ex presidente è uomo di fiducia della potentissima dinastia politica dei Rajapaksa, costretta al passo indietro al culmine delle proteste di due anni fa per il tracollo economico. Wickremesinghe ha saputo in parte rialzare lo Sri Lanka, migliorando i numeri, ma lo ha fatto seguendo dure politiche di austerità imposte dal contestato piano di salvataggio del Fondo monetario internazionale. Ed è questo che lo ha punito, visto che si è fermato al terzo posto al 17,27% dei consensi.