Moncef Marzouki o Beji Caid Essebsi. Il primo ha ottenuto il 33,43% dei consensi al primo turno, e nel caso di vittoria, succederebbe a se stesso. Il secondo, che al primo turno ha raggiunto il 39,46%, ha già vinto le politiche di ottobre e nella partita di domenica prossima è ancora una volta favorito.

Saranno cinque milioni i tunisini che il 21 dicembre si recheranno alle urne per scegliere il presidente, mentre i residenti all’estero voteranno per tre giorni dal 19 al 21.
I toni della campagna elettorale per il ballottaggio hanno vibrato su corde tese, a tratti aspre, fino a raggiungere le cadenze dello scontro personale, più che politico.
La battaglia tra Marzouki ed Essebsi soprattutto in questi ultimi giorni si è ridotta a una contrapposizione superficiale tra il candidato “islamico” e quello di “vecchio regime”, giusto per evocare i due spettri di cui la Tunisia ha più timore: l’Islam nella versione più radicale e la politica di ancien régime. Nella visita di ieri a El-Kalaat Andalous, cittadina a ovest di Tunisi, Marzouki ha invitato le persone accorse ad ascoltarlo a votare per lui, per non vanificare gli sforzi della rivoluzione e impedire il ritorno del passato. Chi voterà per lui, dunque, lo farà per salvaguardare la memoria della rivoluzione e impedire che gli uomini di Ben Ali, arruolati da Nidaa Tounes, tornino al governo.
Ma Essebsi respinge le accuse al mittente: i vecchi funzionari presenti nel suo partito non sono mai stati coinvolti in scandali di abusi o corruzione, al massimo sono una garanzia di esperienza politica. Il voto per lui sarà dunque un voto per una Tunisia laica e moderna, commentano alcuni analisti, per i quali “Essebsi ha rassicurato laddove Marzouki ha inquietato”.
Ma la vittoria dell’uno o dell’altro è anche e soprattutto un gioco di equilibri politici. Non ha giovato al clima di tensione elettorale l’atteggiamento ambiguo del partito Ennahda, che non si è espresso a favore né dell’uno né dell’altro.
A parte l’ex primo ministro Hamadi Jebali, che sostiene apertamente Marzouki, Ennahda ufficialmente si è tenuto su una posizione super partes, probabilmente anche per continuare a coltivare il progetto politico, più volte paventato da Rachid Ghannouchi, di formare un governo di unità nazionale.
Progetto che invece Essebsi continua a escludere senza mezzi termini. Nessuna istruzione di voto dunque da parte degli islamici, gli elettori sono liberi di scegliere il candidato che ritengono più idoneo a guidare la Tunisia del futuro. Più netto invece il partito del Fronte Popolare, che pur senza sciogliere le riserve su Essebsi, ha invitato i tunisini “a partecipare massicciamente alle elezioni per sbarrare la strada a Marzouki”.
Intanto la comunità internazionale guarda la transizione tunisina con attenzione e con un soffio di preoccupazione, causata principalmente dall’instabilità libica proprio sul confine con la Tunisia, che potrebbe rischiare di risentirne.
L’Osservatorio Chokri Belaid sulla violenza politica, nato a settembre 2013 in memoria del leader del Fronte Popolare assassinato a febbraio dello stesso anno, nel corso di una conferenza stampa ha presentato i primi dati dopo un anno di monitoraggio del clima politico nel paese. E i risultati sono tutt’altro che rassicuranti.
Per Basma Khalfaoui, presidente della fondazione, la campagna elettorale per il ballottaggio ha visto un incremento della violenza del 131% rispetto alle politiche e al primo turno di presidenziali. Una media di trentotto episodi di violenza al giorno e un aumento del 125,8% di aggressioni fisiche. Per l’osservatorio la violenza scaturisce dal differente supporto mediatico dato ai vari partiti e si è consumata principalmente sui giornali, elettronici e cartacei, nelle televisioni, nelle radio e sui social network.
L’asprezza del dibattito talvolta è sfociata in vera e propria violenza fisica e le forze dell’ordine – dati alla mano – nell’88,5% dei casi sono state assenti oppure troppo lente nell’intervenire.
La responsabilità è dei media – spiega Khalfaoui – perché non hanno saputo tenere il dibattito su un piano moderato e hanno dato spazio a discorsi discriminanti e incitanti all’odio.
Occhi puntati sul processo post-elettorale, dunque, quando l’ufficializzazione del vincitore potrebbe causare una ulteriore escalation di violenza tra i simpatizzanti dell’uno e dell’altro, avverte l’osservatorio.
Moncef Marzouki o Beji Caid Essebsi. Il primo ha ottenuto il 33,43% dei consensi al primo turno, e nel caso di vittoria, succederebbe a se stesso. Il secondo, che al primo turno ha raggiunto il 39,46%, ha già vinto le politiche di ottobre e nella partita di domenica prossima è ancora una volta favorito.