Dopo 9 anni, domenica i libanesi voteranno per rinnovare il parlamento. Le elezioni si giocheranno su pochi seggi e dovrebbero far segnare una lieve avanzata del blocco di Hezbollah. Nulla che debba turbare il compromesso nazionale su cui si regge il Paese, sfidando pressioni esterne e tensioni comunitarie
Beirut – Il prossimo 6 maggio il Libano tornerà a votare per le elezioni parlamentari, a nove anni dall’ultima volta. Tra il 2009 e il 2018, i 128 deputati hanno esteso il proprio mandato per tre volte, adducendo da un lato la necessità di preservare il Paese dall’instabilità derivante dal conflitto in Siria – che ha generato l’afflusso di 1.5 milioni di rifugiati -, e dall’altro il mancato accordo sulla legge elettorale.
A giugno 2017 l’intesa tra i partiti è stata faticosamente raggiunta, con l’adozione di un sistema proporzionale. Sono 583 i candidati per questa tornata, disseminati su 77 liste elettorali, in corsa in 15 distretti. Il Parlamento riserva un numero preciso di seggi ad ogni comunità: la ripartizione prevede 64 seggi per i cristiani e 64 per i musulmani ed i drusi. Nello specifico, 34 seggi nel campo cristiano sono riservati ai maroniti, 14 ai greco-ortodossi, 8 ai melchiti, 5 agli armeni ortodossi, ed uno a testa per le altre minoranze. Nel campo musulmano, 27 seggi sono riservati ai sunniti, 27 agli sciiti, 8 ai drusi e 2 agli alawiti.
La narrazione diffusa sul Libano tende a mettere l’accento sulle tensioni confessionali, in particolare sul rapporto tra cristiani e musulmani. Ciò contribuisce ad aumentare la percezione di precarietà, acuita dall’esposizione di alcune anime politiche libanesi all’influenza di attori esterni, come nel caso dell’Iran per Hezbollah e dell’Arabia Saudita per il premier Hariri. In realtà, se il Libano rimane sensibile alle pressioni esterne, il quadro interno è cambiato rispetto agli anni passati, rendendo alcune categorizzazioni obsolete.
Esiste oggi un certo grado di integrazione comunitaria, che se da un lato è una spia perpetua dell’imprevedibile riacutizzarsi di attriti in parte sopiti, dall’altro – sopratutto se si guarda fuori dai confini – rende il Libano un piccolo miracolo di convivenza. La storica frattura tra zona est cristiana e zona ovest musulmana nella capitale Beirut, per esempio, è sempre più sfumata e soccombe alla reciproca compenetrazione. Molti villaggi, poi, sono oggi caratterizzati da un certo equilibrio demografico, uno scenario diverso dalla divisione in roccaforti religiose dei decenni scorsi. I dissidi religiosi, lentamente, stanno lasciando il posto a quelli politici.
E’ vero che i partiti hanno una natura e spesso una postura confessionale: tuttavia, non esprimono unicamente candidati della stessa comunità religiosa e non ricevono voti solo dai membri di essa, grazie ad un sistema politico progettato per ridurre al minimo le tensioni settarie e favorire la cooperazione inter-confessionale. Chi corre per un seggio riservato ai sunniti, per esempio, si scontra ovviamente con altri candidati sunniti, che possono però essere sostenuti da partiti cristiani o sciiti e ricevere voti decisivi da elettori di altre confessioni.
Così, il principale partito cristiano maronita del Paese, il Fpm, presenta candidati sopratutto cristiani ma in alcune circoscrizioni ne sostiene altri sciiti – nella Beqaa – o sunniti – nel’Akkar. Hezbollah, espressione della comunità sciita, sostiene a Beirut ovest – a maggioranza sunnita – dei candidati sunniti di Ahbash, un movimento di orientamento sufi, e in altri distretti dei candidati drusi. Il movimento Futuro, sunnita, ha tra le sue liste candidati cristiani, sia maroniti che ortodossi. Chi vuole essere eletto deve attirare il voto anche dei non-correligionari, anche se ciò è meno valido nel caso di alcuni distretti più omogenei dal punto di vista demografico.
Anche da un punto di vista partitico, sta evaporando la cesura tra l’alleanza filo-siriana dell’8 marzo e quella anti-siriana del 14 marzo, emersa dopo l’assassinio di Rafiq Hariri. Si potrebbe sostenere che oggi la comunità più politicamente conflittuale è proprio quella cristiana, in particolare a partire dall’intesa del 2006 tra il Fpm ed Hezbollah, che ha creato tensione tra i primi e gli altri partiti cristiani, come i Falangisti e le Forze Libanesi, più vicini al movimento Futuro e ostili all’egemonia del movimento filo-iraniano. La comunità sciita sembra la più unita, in grado di esprimere due formazioni radicate sul territorio, anche grazie alla diffusa fornitura di servizi, come scuole e ospedali.
In queste elezioni, non a caso, solo Amal ed Hezbollah hanno presentato liste condivise a livello nazionale. Tutti gli altri partiti hanno formato liste congiunte a livello locale, scontrandosi invece in altri distretti, e contribuendo a delineare un quadro paradossale, quasi schizofrenico. Ciò accade perché fuori da città come Beirut e Tripoli, nei villaggi e nelle cittadine di cui il Libano è disseminato, le elezioni parlamentari si giocano su temi locali, portando talvolta formazioni rivali sul piano nazionale ad allearsi.
Il partito Futuro di Hariri ed il Fpm di Aoun – con i primi fondatori nel 2005 del fronte “14 Marzo” anti-siriano, in risposta a quello “8 marzo” in cui sono confluiti i secondi – si presentano insieme in alcuni distretti e sono rivali in altri. Il Fpm si presenta poi con Hezbollah e Amal nel distretto di Baabda, mentre corre contro di loro, insieme al movimento Futuro, a Nabatiyeh.
Il principale partito druso, il Psp di Walid Jumblatt, appoggia candidati delle Forze libanesi (Lf) di Samir Geagea in due distretti e allo stesso tempo appoggia candidati, rivali delle LF, in liste sostenute da Amal ed Hezbollah in altri due nel sud. Il duo sciita sostiene nel distretto del Jabal Lubnan un candidato druso del Partito democratico libanese guidato da Talal Arslan, competitor del Psp di Jumblatt, che a sua volta si presenta a Nabatiyeh insieme al Fpm e al movimento Futuro, contro i due partiti sciiti. I Falangisti di Gemayel corrono da soli ovunque tranne che in quattro distretti, nei quali si presentano con le LF. Opportunismo politico, quando non trasformismo puro, plasma alleanze labili e alimentano rivalità personali, contingenti o di lunga data.
Il sistema proporzionale alimenterà la frammentazione, che da una parte apre all’ingresso in parlamento di uno o più candidati indipendenti della lista “Kulna Watani”; dall’altra, gioverà ai principali partiti del blocco 8 marzo – Hezbollah, Amal e l’Fpm – che secondo gli osservatori uscirà rafforzato.
Il rafforzamento del blocco 8 marzo sarà speculare al leggero declino del partito Futuro di Hariri e del fronte “14 marzo”, meno coeso e più esposto a divergenze. Sopratutto dopo il caso delle dimissioni forzate, e poi ritirate, dello stesso Hariri lo scorso novembre da Riad, che hanno certificato la sua debolezza nei confronti dei suoi sponsor sauditi e, di riflesso, ristretto il gap di popolarità nei confronti dei suoi rivali interni: l’ex primo ministro Najib Mikati e l’ex ministro della Giustizia Ashraf Rifi, che a Tripoli, uno dei distretti dall’esito più incerto, lo sfideranno da posizioni opposte. Il primo puntando sul pragmatismo, il secondo su un approccio più populista, e sui sentimenti anti-Hezbollah della comunità sunnita tripolitana, sensibile agli avvenimenti in Siria.
La questione delle milizie di Hezbollah – definite un anno fa dal presidente Aoun come “complementari all’Esercito libanese” – e quella della loro partecipazione al conflitto siriano è comunque rimasta escluse dalla campagna elettorale, a conferma dell’impressione che il ruolo dominante del movimento filo iraniano venga dato sempre più per scontato: da chi volentieri e da chi meno.
Tra i distretti in cui ci si aspettano i risultati più interessanti c’è proprio quello di Baalbek-Hermel, che esprime ben 10 seggi – sei sciiti, due sunniti, un maronita e un cattolico -: se i sei riservati agli sciiti andranno sicuramente ad Amal ed Hezbollah – che nella città di Baalbek è nato – gli altri quattro seggi potrebbero anche andare ai candidati sostenuti dal partito Futuro e dalle Lf. Le due formazioni si presentano insieme contro il blocco sciita, in un suo feudo, puntando sul malcontento per la mancanza di lavoro. E per alcune promesse non mantenute.
I rappresentanti locali di Hezbollah ed Amal non sono infatti riusciti a far concedere l’amnistia promessa ai migliaia di residenti dell’area condannati per traffico di droga, come testimoniato pochi giorni fa dal presidente del Parlamento – nonché leader di Amal – Nabih Berri, che ha rinviato del dossier amnistia a dopo il voto. Un certo numero di cittadini aveva formato nei mesi scorsi un comitato, minacciando l’astensione in caso di mancata concessione entro il 6 maggio. Uno scenario non ideale per Hezbollah ed Amal, che puntano sull’alta affluenza per l’en plein. Ad impedirlo può contribuire anche la candidatura – sostenuta da Hezbollah e Amal – dell’ex direttore della General Security, Jamil al Sayyed che, come è possibile immaginare, non è molto popolare in zona.
Infine, il distretto Nord III (Batroun, Bsharre, Zgharta), dove sono puntati gli occhi degli osservatori con uno sguardo di lungo termine. Qui, infatti, sonderanno la loro popolarità tre futuri aspiranti alla presidenza del Libano, riservata per legge ai cristiano maroniti, mentre il ruolo di premier è assegnato ai sunniti e la presidenza del Parlamento agli sciiti.
Gebran Bassil, genero del presidente Aoun, leader del Fpm e attuale ministro degli Esteri, proverà per la terza volta di fila a farsi eleggere a Batroun. Sono solo due i seggi nella cittadina marittima, e contro di lui corrono altri due candidati forti: l’ex ministro Boutros Harb e l’ex segretario generale delle LF, Fadi Saad. Uno dei tre rimarrà fuori. Il leader del partito Marada, Suleiman Franjieh, proverà invece a “trasmettere” il suo seggio di Zgharta al figlio Tony. A Bsharre, non dovrebbe avere problemi a confermare il suo seggio Sethrida Geagea, moglie di Samir. Bassil, Franjieh e Geagea sono oggi i principali indiziati per la successione di Aoun, che nel 2022 avrà 87 anni.
Nonostante gli spiragli per gli indipendenti di Kulna Watani, la forza economica e mediatica dei partiti tradizionali rimane intatta ed esclude cambiamenti rilevanti. Secondo le stime di un’importante società di monitoraggio elettorale, citate dal quotidiano Daily Star, queste elezioni si giocherebbero su 38 seggi parlamentari, poiché l’assegnazione degli altri 90 sarebbe già decisa.
Fonti ministeriali citate dai media locali prevedono che il Movimento Futuro perderà sette parlamentari – oggi ne ha 32 in Parlamento -. Uno sviluppo importante, che non dovrebbe però pregiudicare la rinomina di Saad Hariri a primo ministro nel nuovo governo, che verrà formato entro tre mesi dal voto del 6 maggio. Anche perché non esistono reali alternative ad Hariri stesso, che è oggi l’unica figura funzionale alla continuità di un esecutivo su cui incombono dossier urgenti – acqua ed elettricità, debito pubblico, infrastrutture, rifugiati siriani – e ad un rinnovo di quel “compromesso nazionale” che permette al sistema politico tradizionale di sopravvivere e al Paese di tenersi in piedi.
Dopo 9 anni, domenica i libanesi voteranno per rinnovare il parlamento. Le elezioni si giocheranno su pochi seggi e dovrebbero far segnare una lieve avanzata del blocco di Hezbollah. Nulla che debba turbare il compromesso nazionale su cui si regge il Paese, sfidando pressioni esterne e tensioni comunitarie