La riunificazione è impensabile, una federazione soft potrebbe tranquillizzare gli investitori interessati ai ricchi giacimenti dei litigiosi ciprioti.
Il Muro di Nicosia resterà in piedi ancora a lungo: nemmeno gli ultimi ottimisti fautori della riunificazione si illudono che Greco-Ciprioti e Turco-Ciprioti possano presto riabbracciarsi. Nonostante gli sforzi di Espen Barth Eide, ex ministro degli Esteri norvegese e consigliere speciale di Ban Ki-moon su Cipro, la diplomazia internazionale è in piena impasse. E il sogno di ricchezza legato ai giacimenti di gas naturale scoperti pochi anni fa a sud dell’isola, anziché riproporre la ricerca di una soluzione che finalmente stabilisca lo status legale delle due comunità e dunque apra la strada allo sfruttamento del gas, sembra invece aver rilanciato l’astio reciproco.
Nell’ottobre scorso i greco-ciprioti hanno interrotto i colloqui di pace dopo che Ankara aveva spedito la nave Barbaros dotata di attrezzature per prospezioni marittime nella Zona economica esclusiva, i cui diritti di sfruttamento Nicosia ha già in parte concesso a un consorzio che raggruppa l’italiana Eni e la sudcoreana Kogas. Anche la francese Total ha ottenuto permessi di estrazione.
Il governo cipriota ha definito il comportamento turco “minaccioso e arrogante”, sottolineando che a Cipro non resta altra scelta che difendere i suoi diritti. Ankara ribatte che i giacimenti appartengono a tutta l’isola e che la loro sorte deve essere discussa al tavolo dei colloqui. Della stessa opinione è anche Espen Barth Eide, ma quando l’uomo dell’Onu ha sottolineato il concetto, ha ottenuto solo di far arrabbiare ancora di più i greco-ciprioti.
Il Presidente greco-cipriota Nikos Anastasiades ha ribadito che “le ricchezze appartengono allo Stato e la responsabilità di gestirle appartiene al governo, nell’interesse di tutti i residenti legali del Paese”. L’aggettivo “legali” ha irritato oltre misura i Turco-Ciprioti, perché dal loro punto di vista è come un invito ad abbracciare lo Stato cipriota e abbandonare l’entità del Nord, la Repubblica turca riconosciuta solo da Ankara.
Il disaccordo è tale che anche le aziende petrolifere potenzialmente interessate esitano a sbilanciarsi. L’ultima a segnalare con forza che in questa situazione non si possono fare investimenti robusti è stata la Russia: durante la visita di Putin ad Ankara il dicembre scorso, il capo della diplomazia di Mosca Sergej Lavrov ha ribadito al governo turco che le aziende di Stato e il Ministero dell’Energia non sono interessati ai progetti sul gas naturale di Cipro, quanto meno fin tanto che la situazione resterà così ingarbugliata.
Accordi in vista, insomma, al momento non ce ne sono. E difficilmente le elezioni presidenziali a Cipro Nord, previste per il 19 aprile, sbloccheranno la situazione, quale che ne sia il risultato. L’attuale Presidente, il conservatore Derviş Eroğlu, sostiene di poter negoziare un accordo migliore per i Turco-Ciprioti. Il capo di Stato uscente è considerato il favorito: un sondaggio di fine 2014 gli attribuiva poco meno del 27%. Ma anche se gli avversari si fermavano sotto il 20%, è presto per considerare il risultato acquisito. Il liberale Kudret Özersay, accademico e già protagonista dei negoziati internazionali, è considerato un outsider ma la sua campagna punta proprio sull’esperienza al tavolo delle trattative internazionali per accreditarsi come unico in grado di arrivare davvero a un’intesa.
Buone possibilità potrebbe avere Sibel Siber, speaker del Parlamento, in passato prima donna Premier di Cipro Nord. Sostenuta dai repubblicani del CTP, si è candidata in nome di una “Cipro federale”, puntando quindi su quelli che ancora sperano in una riunificazione. Apparentemente, è la rivale più pericolosa per Eroğlu. Ma c’è anche il socialdemocratico Mustafa Akinci, popolarissimo ex sindaco di Nicosia, tornato all’attività politica dopo l’assenza di una decina di anni in cui si era dedicato alla famiglia.
Per i diversi candidati alla presidenza il sogno della riunificazione sembra essere quasi una rivendicazione obbligatoria, ma alla fine poco convinta. E le difficoltà dei negoziati hanno lasciato spazio a ipotesi che in passato apparivano solo esercizi di fantasia, prima fra tutte l’idea di una federazione “leggera”.
Gli analisti dell’International Crisis Group suggeriscono apertamente quest’idea. Si tratterebbe di un riconoscimento della situazione fattuale, che in oltre 40 anni non è cambiata, con Cipro Nord che potrebbe far parte in futuro dell’Unione europea per conto suo, come Stato autonomo sia da Nicosia che da Ankara. In cambio del “via libera” di Cipro, che è già membro Ue e dunque ha diritto di veto sull’ingresso di nuovi paesi, la Repubblica turca di Cipro Nord potrebbe fare offerte interessanti: la restituzione di territori contesi (per esempio l’inquietante villaggio fantasma di Varosha sulla spiaggia vicino a Famagosta), la partenza delle truppe turche, le compensazioni per le proprietà dei Greco-Ciprioti e magari anche l’abbandono di ogni pretesa sui giacimenti di gas che stanno nelle acque meridionali.
Una soluzione di questo tipo potrebbe garantire risultati positivi a tutte le parti: ai Turco-Ciprioti garantirebbe l’autonomia desiderata e la possibilità di archiviare finalmente l’isolamento internazionale ed entrare nell’Unione, i Greco- Ciprioti vedrebbero sparire i maggiori ostacoli per un rilancio pieno dell’economia, stremata dalla crisi finanziaria.
E un accordo del genere potrebbe essere considerato un nuovo passo avanti per la Turchia, in vista di un possibile futuro accesso alle istituzioni europee.
La riunificazione è impensabile, una federazione soft potrebbe tranquillizzare gli investitori interessati ai ricchi giacimenti dei litigiosi ciprioti.