Dopo la batosta elettorale di ieri il capo dell’Spd ha fatto sapere che andrà all’opposizione. Una mossa tattica oppure il preludio a una decisa sterzata a sinistra?
Era curioso assistere ieri sera alla “Berliner Runde”, cioè al tradizionale incontro tra i capi dei partiti che entreranno nel nuovo Bundestag. Lo sfidante socialdemocratico di Angela Merkel, Martin Schulz, sembrava non aver ancora realizzato che la partita ormai era chiusa e sonoramente persa. Ed è stata l’opinione anche di molti utenti di Twitter, i quali si chiedevano perché mai si svegliasse solo ora. In effetti Schulz ha attaccato Merkel ieri sera, come mai ha fatto durante tutta la campagna elettorale, arrivando a definirla “un’aspirapolvere delle idee altrui”. Una scena che riportava alla mente la “Berliner Runde” del 2005, allora era stato il cancelliere uscente, il socialdemocratico Gerhard Schröder a comportarsi in modo simile nei confronti di Merkel alla quale doveva passare la guida del Paese.
Al di là della retorica di circostanza, è probabile che nessuno dei socialdemocratici pensasse veramente di farcela, visti i sondaggi che davano da mesi il partito troppo distaccato dalla Cdu. Ma nemmeno pensavano di incassare una sconfitta del genere. Schulz, che tra gennaio e marzo era riuscito a portare il partito al sorpasso della Cdu, ieri ha portato a casa il 20,5%, un risultato peggiore di 5 punti rispetto a quello del 2013 di Peer Steinbrück, politico socialdemocratico inviso all’ala più radicale del partito, mentre Shulz in primavera è stato eletto con il 100% dei voti dai delegati di partito.
Schulz ne ha tratto immediatamente le conseguenze, annunciando poco dopo i primi exit poll che l’Spd non sarebbe più stata disponibile per una grande coalizione. Che avrebbe invece usato la legislatura entrante per rimettersi in sesto, per far si che centro sinistra e centro destra tornino a essere due opzioni distinte anche agli occhi degli elettori.
Viene ovviamente da chiedersi se questo sia il vero motivo della decisione di rifiutare di entrare di nuovo in una grande coalizione, oppure se non si tratti di una mossa astuta per mettere in difficoltà Merkel. Schulz stesso (riferendosi implicitamente ai nazionalisti dell’AfD che avranno 94 deputati al Bundestag e che hanno già fatto sapere “daremo la caccia a tutti”) spiegava che ora più che mai c’è bisogno di una opposizione responsabile e di una guida autorevole della stessa (se l’Spd restasse al governo, a guidare l’opposizione sarebbe, in quanto partito con più voti l’AfD).
Ciò nonostante rimane il sospetto che si tratti di una polpetta avvelenata lasciata in eredità. Sarà infatti tutt’altro che facile la costituzione di un nuovo governo. E Merkel stessa ha preso tempo, auspicando ieri la formazione del nuovo governo entro dicembre. La Kanzlerin uscente e riconfermata dall’esito elettorale – nonostante gli 8 punti percentuali persi rispetto al 2013, l’Unione (Cdu e Csu) resta con il 33% la formazione più forte – a questo punto avrebbe ormai solo un’opzione, cioè formare un governo con i liberali di Fdp e i Verdi, la cosiddetta coalizione Jamaica. Il condizionale è però d’obbligo, essendo le posizioni di questi due partiti minori piuttosto distanti. Ma sempre durante la trasmissione di ieri sera Schulz sarcasticamente rassicurava Merkel: “Lei pur di restare al comando, farebbe tutte le concessioni di questo mondo”. Dicendolo si dimenticava, però, che questa tattica Merkel potrebbe adottarla anche nei confronti suoi e dei socialdemocratici.
E se invece il passo indietro, fosse veramente dettato in primo luogo dalla necessità di rivoltare il partito dalle fondamenta, per tornare a distinguersi decisamente dall’Unione? Molti degli elettori intervistati nei giorni precedenti alla votazione e anche ieri hanno infatti lamentato che le promesse socialdemocratiche non si distinguevano poi veramente da quelle dell’Unione. Motivo per cui l’Spd non solo non è riuscita ad attirare nuovi elettori, ma ne ha persi un mezzo milione a favore dell’AfD. Transfughi che non si trovano però solo nei nuovi Länder, ma anche nella rust belt tedesca, cioè nel bacino della Ruhr, dove le miniere di carbone un tempo erano il combustibile dell’economia tedesca.
Ma cosa vuol dire ricostruire dalle fondamenta l’Spd? Interrogato in proposito, Olf Scholz, sindaco di Amburgo e membro del direttivo del partito, ha parlato di più donne in prima fila; della necessità di spiegare meglio e accompagnare nella transizione alla digitalizzazione i cittadini che la temono, di una politica più empatica. Risposte a dire il vero vaghe. Ma ieri era anche troppo presto per delineare una nuova linea politica. Per quanto il punto vero è da tempo un altro: se una grande coalizione non è più un’opzione per l’Spd, almeno come partner di minoranza, bisognerà finalmente chiarire il rapporto con la Linke, la Sinistra. Continuare a tenere cocciutamente chiusa la porta a questa forza politica che ha preso il 9,2% dei voti, equivale a un suicidio, visto che il neoliberismo alla Tony Blair e Gerhard Schröder pare non pagare.
E chissà, forse un primo passo in questa direzione potrebbe essere già fatto mercoledì, quando verrà comunicato ufficialmente il nuovo capogruppo parlamentare dell’Spd. Schulz ha detto che non assumerà questo ruolo e ieri per qualche ora è circolato il nome di Andrea Nahles. L’attuale ministra per il Lavoro è stata in passato a capo dell’ala di sinistra del partito. Resta infine l’incognita Schulz e del suo ruolo futuro. Ma è probabile che quella si sciolga solo a metà legislatura.
@affaticati
Dopo la batosta elettorale di ieri il capo dell’Spd ha fatto sapere che andrà all’opposizione. Una mossa tattica oppure il preludio a una decisa sterzata a sinistra?