Per la Belloni è il coronamento di una carriera che l’ha vista diverse volte candidata, con un profilo tecnico, anche per diverse cariche politiche
REUTERS/Max Rossi
Quando nel maggio ’91, per la prima volta, Giulio Andreotti nominò un diplomatico di lungo corso come Francesco Paolo Fulci alla segretaria del Cesis (ora Dis) molti si domandarono cosa mai c’entrasse un ambasciatore in mezzo alle “barbe finte”. Un “innesto” che non fu certo indolore e che oggi Fulci ricorda come un incubo (“mi venne pure il fuoco di Sant’Antonio dallo stress” confessa).
Molto meno traumatico il passaggio di un altro ambasciatore ai “servizi” come Giampiero Massolo nel 2012. Massolo aveva frequentato per anni i palazzi romani e ne conosceva pregi e difetti; sapeva, soprattutto, stare prudentemente alla larga dalle mille insidie che inevitabilmente contengono.
Ora l’ambasciatore Elisabetta Belloni andrà da lunedì 17 in Piazza Dante a sostituire il generale Gennaro Vecchione in un contesto diverso non solo dal ’91 ma anche dal 2012 e con molte meno criticità di una volta. L’interazione di diplomatici con la catena di comando del “comparto” intelligence è diventato già da tempo un modus operandi, come ben si è visto durante l’era Conte a Palazzo Chigi con il consigliere diplomatico ambasciatore Piero Benassi a colloquio spesso con il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Robert O’Brien, si trattasse di 5G e Cina oppure di Russiagate. Forse ora la nuova direttrice del Dis, Elisabetta Belloni, potrà interagire direttamente con il giovane consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden, Jake Sullivan, senza dover ricorrere all’intermediazione del consigliere diplomatico di Draghi, ambasciatore Luigi Mattiolo. Senza contare che tra i suoi counterpartners la Belloni potrebbe avere anche un’altra donna, Avril Haines, che dal 21 gennaio scorso negli Stati Uniti guida la Intelligence Community, ente federativa che controlla 17 agenzie e organizzazioni di spionaggio, una sorta di “mega Dis”.
I rapporti con gli uomini della sicurezza la Belloni li curava da tempo, da quando all’unità di crisi erano suoi interlocutori quotidiani così come quelli della Protezione civile e delle Organizzazioni non governative. La sua educazione professionale e la sua cultura di dirigente statale hanno subito l’influenza diretta oltre che della scuola della Farnesina del rapporto col marito Giorgio Giacomelli, un grande diplomatico amante dell’Africa con posti di responsabilità nelle agenzie delle Nazioni Unite e con all’attivo azioni anche coraggiose, come quando su una zattera riuscì a portare in salvo alcuni missionari italiani in pericolo di vita nelle zone remote del Congo. Competenza e umanità che facevano (e non da oggi) della Belloni il candidato ideale per dare ai “servizi” quel volto di affidabilità e stabilità che è spesso mancato in passato.
È vero che la Belloni si è dovuta fare strada in un mondo di uomini in 36 anni di carriera, prima donna all’Unità di crisi, così come alla Cooperazione allo Sviluppo, ancora a capo del gabinetto di Gentiloni e infine alla segreteria generale della Farnesina. Il suo credo lo ha esplicitato bene parlando alla conferenza degli ambasciatori. “Essere servitori dello Stato – ha detto la Belloni – significa solo una cosa: farlo con lealtà, con indipendenza, al di là di ogni logica di appartenenza, avendo come stella polare la difesa dei valori delle istituzioni, in primo luogo la Costituzione”.
Un incondizionato spirito di servizio che, secondo la Belloni “ha bisogno del Governo per navigare, abbiamo bisogno di conoscere la rotta e meglio la conosciamo meglio possiamo lavorare”. Forse questa sarà la sfida più grande della sua carriera ma lei la prende con tranquillità. Senza rinunciare ai suoi weekend in campagna, alle sue camminate veloci sul Lungotevere di prima mattina. E soprattutto senza rinunciare ad abbracciare i suoi cani.
Esigente con sé stessa, prima che con gli altri: a capo dei servizi segreti sarà per la Belloni l’ennesima prima volta, ancora una volta in un mondo di uomini, che è abituata a coordinare. Sarà forse più ferrata nell’attività di intelligence che riguarda l’estero piuttosto che la minaccia interna, ma non è un marziano catapultato a piazza Dante, è piuttosto il coronamento di una carriera che l’ha vista diverse volte candidata, con un profilo tecnico, anche per cariche politiche: da Ministra degli Esteri a Presidente del Consiglio. Nei suoi cinque anni a capo della struttura della Farnesina, Belloni ha maturato relazioni con tutti i suoi omologhi dei Paesi alleati, ma non solo: puoi chiamarla al cellulare e ascoltare una segreteria agganciata alla rete telefonica di un Paese arabo o africano. Una coincidenza. Anche i rapporti fra Belloni e Washington sono ottimi e costanti.
Per la Belloni è il coronamento di una carriera che l’ha vista diverse volte candidata, con un profilo tecnico, anche per diverse cariche politiche
Quando nel maggio ’91, per la prima volta, Giulio Andreotti nominò un diplomatico di lungo corso come Francesco Paolo Fulci alla segretaria del Cesis (ora Dis) molti si domandarono cosa mai c’entrasse un ambasciatore in mezzo alle “barbe finte”. Un “innesto” che non fu certo indolore e che oggi Fulci ricorda come un incubo (“mi venne pure il fuoco di Sant’Antonio dallo stress” confessa).
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