Giovedì 19 maggio si è concluso il conteggio dei voti che hanno interessato gli stati di Assam, West Bengal, Kerala, Pondicherry e Tamil Nadu, dove si votava per le elezioni del governo locale. L’esito del voto, senza grosse sorprese, delina una serie di elementi utili per capire il contesto politico indiano attuale, dove il Bharatiya Janata Party (Bjp) continua la sua parabola ascendente, i partiti locali stravincono negli stati più grandi e l’Indian National Congress (Inc) diciamo che non sta colando a picco, ma si è proprio messo a scavare. Anticipando un problema macroscopico di vuoto politico per le prossime nazionali del 2019.
I risultati, tagliati con l’accetta: il Bjp vince in Assam – dove non aveva mai vinto prima, ex roccaforte dell’Inc – e cresce sia in West Bengal sia in Kerala, due stati dove in passato era stato virtualmente inesistente; Mamata Banerjee (Trinamool) e Jayalalithaa (Aidmk) consolidano il proprio potere in West Bengal e Tamil Nadu, confermando il predominio dei partiti personal-populisti nel panorama politico locale, che a livello nazionale interessa per la leva politica che si guadagnano attori sostanzialmente localisti nel gioco delle alleanze; in Kerala, seguendo la tradizionale alternanza democratica tra formazioni di «sinistra», torna al potere il Left Front, battendo la coalizione dell’Inc; infine Pondicherry, dal peso politico e demografico microscopico, è stata riconquistata dall’Inc.
Questo quadro ha giustamente spinto la stampa indiana a una serie di necrologi per la fine dell’Era dell’Inc, non inteso come periodo al potere, bensì proprio come lasso di tempo dell’esistenza. Dalle scorse nazionali del 2014, la formazione politica che ha fatto la storia dell’India democratica – sempre saldamente controllata dalla dinastia Nehru-Gandhi – e che ora sta vivendo la stagione peggiore che la Storia ricordi.
L’Indian Express lo racconta affidandosi a un titolo brutale e veritiero: «Il Congress governa il 6 per cento dell’India», cifra calcolata dalla somma degli abitanti degli stati che attualmente sono amministrati dall’Inc, ossia Karnataka, Himachal, Manipur, Meghalaya, Mizoram, Uttarakhand e Pondicherry. Fanno poco più di 86 milioni di persone (di cui 61 solo in Karnataka), contro una popolazione complessiva indiana di 1,2 miliardi (record storico negativo per l’Inc). In India, cifre da partitino abbonato allo zero virgola nelle elezioni nazionali. E che invece ora conteggiamo per uno degli unici due partiti indiani dal respiro nazionale, che si sono contesi il governo centrale in tutte le elezioni del passato.
Davanti a questa debacle, la reazione dell’Inc restituisce un encefalogramma piatto, con Rahul Gandhi – vicepresidente del partito e, si dice, presidente in pectore viste le condizioni di salute precarie della madre, Sonia – che si limita a dichiarazioni di circostanza su «dispiacere» per la sconfitta e «impegno» a tornare a vincere.
Su come debba essere modulata questa presunta profusione di energie per invertire la marcia, all’interno dell’Inc pare esistano linee di pensiero divergenti: una frangia, fedele ai Gandhi e fino ad ora più influente nelle decisioni del partito, vuole continuare a insistere nel passaggio di potere su linee di sangue, affidandosi (come fatto finora, perdendo sempre) a Rahul o spingendo per un coinvolgimento maggiore della sorella Priyanka; altri – e Shashi Tahroor se ne è fatto portavoce in questa fase – invocando una terapia shock di cambiamento dei vertici, delle facce e dei quadri, in qualche modo ricalcando il ricambio imposto con successo da Narendra Modi nel Bjp.
Discorsi già fatti in passato ma che, come lamenta un grande vecchio dell’Inc, Digvijaya Singh, non sono stati ancora seguiti da azioni concrete. Tanto che, al posto di «introspezione», Singh parla della necessità di una «major surgery», utilizzando un termine chirurgico che ben si addice alla condizione del malato incancrenito Inc.
Stando così le cose, il grosso problema per il futuro del paese rimane l’enorme vuoto politico che un Inc impresentabile sta lasciando alla società indiana, venendo meno alla propria storia – non sempre lineare e di specchiata coerenza – di formazione attenta ai bisogni degli ultimi, laica, progressista e panindiana.
Un vuoto che chi ha a cuore l’idea nehruviana di India – repubblicana, laica, multiculturale, inclusiva e, un tempo, socialista – vorrebbe di nuovo occupato da una classe politica nella quale gli oppositori dell’ultracapitalismo hindu di Narendra Modi possano riconoscersi. E possano, magari, tornare a votare.
@majunteo
Giovedì 19 maggio si è concluso il conteggio dei voti che hanno interessato gli stati di Assam, West Bengal, Kerala, Pondicherry e Tamil Nadu, dove si votava per le elezioni del governo locale. L’esito del voto, senza grosse sorprese, delina una serie di elementi utili per capire il contesto politico indiano attuale, dove il Bharatiya Janata Party (Bjp) continua la sua parabola ascendente, i partiti locali stravincono negli stati più grandi e l’Indian National Congress (Inc) diciamo che non sta colando a picco, ma si è proprio messo a scavare. Anticipando un problema macroscopico di vuoto politico per le prossime nazionali del 2019.