Il progetto turkmeno di portare il suo metano in Europa via Iran è stato bocciato da Teheran. È l’ennesimo flop nel tentativo di sfruttare le immense riserve di gas. Mosca in Asia Centrale ha ceduto lo scettro energetico a Pechino, ma la geopolitica ancora taglia fuori la regione dal mondo
L’Asia Centrale post-sovietica è un corridoio geografico naturale tra est ed ovest, tra Asia ed Europa. L’assenza di sbocchi diretti sul mare e la distanza relativa sia tra i mercati asiatici che da quelli europei rappresentano però dei seri limiti alla sua connettività con il resto del mondo, soprattutto per quanto riguarda l’energia, gas naturale in primis – risorsa di cui la regione è molto ricca.
Il Turkmenistan può contare su riserve accertate pari a oltre 17mila miliardi di metri cubi (tcm) – il 9,3% dell’ammontare globale – la quarta dotazione mondiale dopo quelle dell’Iran, della Russia e del Qatar, l’Uzbekistan di riserve pari a 1,1 tcm e il Kazakistan di 1 tcm. La capacità produttiva annua delle tre repubbliche centro asiatiche, però, si discosta vistosamente da questi dati: il Turkmenistan nel 2016 ha prodotto solamente 66,8 miliardi di metri cubi (bcm) di gas naturale, l’Uzbekistan 62,8 bcm e il Kazakistan 19,9 bcm.
Avere un forziere energetico pieno non basta. La costruzione dei gasdotti deve tenere conto di fattori di natura geopolitica, oltreché commerciali e di natura finanziaria, che possono rendere complesso se non addirittura impedirne del tutto la realizzazione. E proprio considerazioni di natura strategica hanno indotto il Turkmenistan a proporre all’Iran – con cui condivide un confine di oltre 1.000 km – un accordo di scambio (swap in gergo tecnico) per portare il proprio gas in Turchia, dove potrebbe essere pompato nel gasdotto Tanap (Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline), attualmente in costruzione, che mira a trasportare flussi di metano in Europa. Teheran peraltro è già un partner energetico del Turkmenistan: la Korpeje-Kordkuy attiva dal 1997 consente all’Iran di garantire forniture all’isolata area nordorientale del Paese, e anche la Dauletabad-Sarakhs-Khangiran inaugurata nel 2010 è rivolta verso l’Iran.
Considerazioni opposte di natura geopolitica hanno però portato a un rifiuto da parte di Teheran, intenzionata a sfruttare le proprie risorse energetiche.
Per il presidente-autocrate Gurbanguly Berdymukhammedov, salito al potere dieci anni fa dopo la morte del presidente a vita Saparmyrat Nyyazow, è l’ennesimo buco nell’acqua. Alla guida di un Paese semi-desertico e con poco più di 5 milioni di abitanti, l’arkadag (protettore) punta a capitalizzare al massimo l’attrattiva energetica, fonte di entrate indispensabili per la sopravvivenza del regime interno. I risultati fin qui raggiunti, però, sono quanto mai deludenti. Il Turkmenistan esporta attualmente il proprio gas naturale solamente verso la Cina, avendo fallito nell’obiettivo di diversificare i propri mercati di sbocco.
Alla luce anche del suo scarso peso demografico, il Turkmenistan è il Paese centro asiatico che può destinare la maggior quota della propria produzione annua all’esportazione: l’Uzbekistan, ad esempio, seppur possa contare su una produzione annua di gas naturale quasi della stessa entità, sconta l’elevatissimo consumo interno e l’inefficienza del sistema economico (consuma più metano di Paesi come Francia o Turchia).
Non deve stupire, quindi, che proprio il Turkmenistan si trovi al centro dei principali progetti infrastrutturali che potrebbero vedere la luce in futuro. Primo fra tutti il gasdotto Tapi – Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan, India – con una lunghezza prevista di oltre 1.700 km, che avrebbe l’obiettivo di trasportare oltre 30 bcm di metano all’anno in direzione sud, attraversando il territorio dell’Afghanistan e quello del Pakistan per arrivare in India. Vari fattori, soprattutto questioni legate alla sicurezza e al finanziamento dell’opera, concorrono però a far sembrare il Tapi sempre più un miraggio – o una carta propagandistica che Berdymukhammedov può usare internamente – che un progetto con reali possibilità di essere realizzato.
Anche la costruzione della Linea D del gasdotto Cacgp (la Central Asia-China Gas Pipeline, attiva dal 2009, che consente il trasporto verso la Cina di quasi 35 bcm di gas naturale all’anno) pare essere destinata alla stessa fine, dopo che all’inizio del 2017 la sua messa in opera è stata sospesa a causa di un calo della domanda, privando Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan della possibilità di ampliare le proprie esportazioni verso il mercato della Repubblica popolare cinese.
Dopo la bocciatura dell’Iran, anche la possibilità che il Turkmenistan possa esportare il proprio gas verso il mercato europeo rimane al momento perlomeno aleatoria. E sembra inoltre destinata al fallimento l’idea di realizzare una condotta Trans-Caspica, non fosse che per il mancato accordo dei Paesi costieri (oltre al Turkmenistan, Kazakistan, Russia, Azerbaigian e Iran) sullo status giuridico del Mar Caspio.
Gli sforzi politici e diplomatici messi in campo dai governanti della regione, insomma, non sono bastati a compensare i limiti fissati dalla geografia. Le grandi potenzialità immaginate dopo il dissolvimento sovietico non si sono concretizzate. La transizione tra un’era geopolitica e l’altra si è risolta nel passaggio del testimone dalla Russia (a lungo l’unico sbocco commerciale per il gas naturale regionale è stato la Central Asia-Centre in direzione Mosca) alla Cina come principale attore energetico regionale.
Trovare una via per connettersi al mondo non sarà facile. Per rafforzare la loro capacità d’attrazione i governi dell’area dovrebbero stabilire dei seri progetti di cooperazione energetica, favorendo anche l’adozione di normative legate agli investimenti nel settore più chiare e trasparenti. A livello strategico, sarebbe inoltre necessario arrivare finalmente a un accordo regionale per quanto riguarda lo status giuridico del Mar Caspio, che dal punto di vista geografico può rappresentare per l’Asia Centrale un’autostrada marittima verso ovest.
Gli ostacoli però non mancano e quelli più difficili da superare si chiamano Russia (principale fornitore di metano al continente europeo) e Iran, intenzionato a riuscire a sfruttare per l’esportazione almeno parte della propria immensa dotazione di gas naturale. Anche qualora salissero al potere negli “stan” centro asiatici leader lungimiranti e cooperativi, al momento la strada geografica e strategica pare quindi chiusa.
@davidecancarini
Il progetto turkmeno di portare il suo metano in Europa via Iran è stato bocciato da Teheran. È l’ennesimo flop nel tentativo di sfruttare le immense riserve di gas. Mosca in Asia Centrale ha ceduto lo scettro energetico a Pechino, ma la geopolitica ancora taglia fuori la regione dal mondo
L’Asia Centrale post-sovietica è un corridoio geografico naturale tra est ed ovest, tra Asia ed Europa. L’assenza di sbocchi diretti sul mare e la distanza relativa sia tra i mercati asiatici che da quelli europei rappresentano però dei seri limiti alla sua connettività con il resto del mondo, soprattutto per quanto riguarda l’energia, gas naturale in primis – risorsa di cui la regione è molto ricca.