López Obrador può far saltare la guerra alle droghe di Trump
L’epidemia degli oppioidi che fa strage di statunitensi ha un impatto devastante anche in Messico, principale fornitore. I due Paesi hanno intensificato la cooperazione, ma il nuovo presidente messicano ha in mente una strategia in totale controtendenza rispetto all’approccio degli Usa
L’epidemia degli oppioidi che fa strage di statunitensi ha un impatto devastante anche in Messico, principale fornitore. I due Paesi hanno intensificato la cooperazione, ma il nuovo presidente messicano ha in mente una strategia in totale controtendenza rispetto all’approccio degli Usa
L’epidemia degli oppioidi, che l’anno scorso ha fatto quasi 49.000 morti per overdose negli Stati Uniti, è una crisi che si estende ben oltre i confini americani. E che coinvolge in particolare il vicino Messico.
I gruppi criminali messicani sono i primi fornitori di eroina negli Stati Uniti e, secondo l’agenzia antidroga americana, sono responsabili anche di gran parte dei traffici illegali di fentanyl – un farmaco analgesico molto più potente della morfina – che superano la frontiera meridionale. Il Messico contribuisce ad alimentare il consumo di oppioidi negli Stati Uniti. D’altra parte, però, l’alta domanda americana di droghe ha l’effetto di inasprire i livelli di violenza in Messico. Si tratta insomma di un problema binazionale e bidirezionale, che assume forme diverse ma che si fomenta a vicenda.
La crisi della violenza in Messico
Quasi tutta l’eroina che giunge negli Stati Uniti proviene dal Guerrero, uno Stato montuoso e rurale nel Messico del sud. Il tasso di povertà del Guerrero è uno dei più alti dell’intera nazione, e l’unica fonte di reddito – specie per gli abitanti della sierra – è rappresentata spesso dalla coltivazione del papavero da oppio, favorita dal clima caldo e dalle alte montagne che nascondono i campi alla vista dei militari inviati per le fumigazioni. Guerrero rientra anche tra gli Stati più violenti del Messico: i dati indicano che i municipi guerrerensi che producono più oppio – almeno a giudicare dagli ettari distrutti – sono anche quelli in cui il numero di omicidi è maggiore rispetto agli altri.
Negli Stati Uniti, intanto, il mercato delle droghe sta cambiando e il fentanyl sta prendendo il sopravvento sull’eroina. Rispetto a quest’ultima il fentanyl offre il vantaggio principale di essere completamente sintetico e quindi semplice da produrre anche in laboratori improvvisati senza dover più dipendere dal raccolto e dalla lavorazione del papavero. È inoltre molto compatto e dunque facile da contrabbandare. Non è preferito poi solo dai trafficanti ma anche dai consumatori, che lo ricercano per la sua maggiore potenza.
Questa trasformazione sta già avendo degli effetti sul mercato messicano. La recessione dell’eroina ha provocato un crollo dei prezzi del papavero, mettendo in crisi i contadini del Guerrero. Un chilo di gomma di oppio oggi viene venduto a circa 8000 pesos (370 euro), meno della metà rispetto all’anno scorso: una cifra che basta appena a coprire i costi di produzione. A rimetterci non sono soltanto i campesinos poveri ma anche i gruppi criminali attivi nel business dell’oppio.
Una decina d’anni fa il Guerrero era controllato dal Cartello dei Beltrán Leyva ma gli sforzi del governo messicano hanno portato all’uccisione o all’arresto di tutti i suoi leader. Lo scorso giugno gli Stati Uniti hanno ad esempio condannato a 49 anni di carcere Édgar Valdez, uno degli uomini al vertice dell’organizzazione, estradato nel 2015. La fine del monopolio del Cartello dei Beltrán Leyva ha favorito la nascita di molte gang di dimensioni ristrette, che sono entrate in competizione violenta fra loro per garantirsi un posto nel mercato transnazionale dell’eroina, più redditizia della cocaina e più semplice da contrabbandare: l’eroina infatti può essere prodotta in Messico, mentre la cocaina deve essere prima trasportata dal Sudamerica.
Ora che il prezzo della gomma di oppio è in calo e l’eroina non permette grandi profitti a causa del fentanyl, queste gang stanno cercando di recuperare le perdite sugli investimenti dedicandosi a furti, sequestri ed estorsioni, sottoponendo la popolazione ad ancora nuove brutalità. Come riporta Alejandro Hope, uno dei massimi analisti di sicurezza in Messico, nei primi cinque mesi del 2018 ci sono stati 1099 omicidi nel Guerrero, il 15% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
La richiesta di fentanyl sembra avere una relazione anche con la brusca impennata di violenza nel Colima, uno Stato messicano prima relativamente pacifico che negli ultimi anni è diventato quello con il più alto tasso di omicidi per numero di abitanti dell’intera federazione. Colima, affacciato sull’Oceano Pacifico, ospita l’affollato porto di Manzanillo, cruciale tanto per il commercio internazionale quanto per il traffico di stupefacenti. Manzanillo è il punto d’attracco per le navi cargo dall’Asia, soprattutto dalla Cina, che trasportano tra le merci più disparate anche i precursori necessari a sintetizzare le metanfetamine e il fentanyl.
Lo Stato di Colima viene indicato dagli esperti come territorio del Cartello Nuova Generazione di Jalisco (Cjng), l’organizzazione criminale più potente in Messico. Pur in assenza quindi di quel vuoto di potere che generalmente precede lo scoppio di dispute territoriali, sembrerebbero esserci comunque degli scontri in corso tra il Cjng e il Cartello di Sinaloa proprio per il controllo del porto.
Messico e Stati Uniti insieme, forse
L’epidemia degli oppioidi è una crisi bifronte e, in quanto tale, necessita di un approccio bilaterale tra Stati Uniti e Messico. Donald Trump, che ne ha parlato come di un’emergenza sanitaria nazionale, ha però continuato con la sua retorica aggressiva, attaccando il Messico e insistendo sulla necessità di costruire un muro al confine.
Ma è notizia del 15 agosto scorso che i governi di Washington e Città del Messico formeranno una équipe investigativa unica, con base a Chicago, che avrà l’obiettivo di colpire i capi e le reti finanziarie delle organizzazioni messicane che contrabbandano oppioidi negli Stati Uniti: sarà composta da membri della Dea, l’agenzia antidroga americana, e della Procura generale messicana.
La cooperazione contro i cartelli tra Stati Uniti e Messico è già molto stretta. I due Paesi si scambiano informazioni, si supportano nelle operazioni di cattura dei boss e facilitano le procedure di estradizione. Il meccanismo che fa da cornice a questa collaborazione è l’Iniziativa Mérida, avviata nel 2008 e finora finanziata da Washington con 2,9 miliardi di dollari. Nell’anno fiscale corrente il Congresso ha stanziato 145 milioni in fondi da destinare al Messico per contrastare il traffico di droghe oltre la frontiera.
Sebbene la cooperazione militare e strategica sia già a livelli molto alti, un portavoce della Dea ha dichiarato che non era mai successo che una delegazione messicana così corposa si recasse negli Stati Uniti per discutere di un programma comune per colpire i narcotrafficanti. Sembra l’ennesima conferma del fatto che – nonostante l’ostilità mostrata in pubblico da Trump, che di certo non aiuta la partnership – i legami tra Stati Uniti e Messico continuano a stringersi senza fare troppo rumore.
Lo si era già notato analizzando la questione migratoria: la strategia di contenimento dei flussi della Casa Bianca comincia in Messico, specialmente ora che i due vicini stanno discutendo – con molta difficoltà – di un accordo che trasformerebbe il Messico in un “Paese terzo sicuro”, obbligandolo a gestire le richieste d’asilo di tutti i migranti che transitano sul suo territorio.
A dicembre però si insedierà a Los Pinos un nuovo presidente, il nazionalista di sinistra Andrés Manuel López Obrador. López Obrador ha fatto sapere che intende rivedere tutti i meccanismi di cooperazione con gli Stati Uniti, inclusa l’Iniziativa Mérida, e riscrivere le regole della “guerra alle droghe”: vuole dare meno peso all’aspetto militare e maggiore attenzione invece alle politiche sociali e di sviluppo economico. Ha anche intenzione di concedere l’amnistia per i reati minori in modo da cercare di riconciliare un Paese in cui sono stati commessi oltre 31.000 omicidi nel 2017.
In merito alla crisi degli oppioidi, López Obrador ha anticipato una strategia in totale controtendenza con il tradizionale approccio della Casa Bianca. Quest’estate Washington ha finanziato studi e fornito tecnologie a Città del Messico per ottenere stime più accurate sull’effettiva estensione delle coltivazioni di papavero e sulla quantità di eroina prodotta nel Paese. I dati serviranno, in ultima istanza, a dirigere meglio gli sforzi di distruzione dei campi.
López Obrador sta invece pensando di regolare la produzione di oppio per scopi medicinali, in modo da abbattere l’economia illegale, ridurre la violenza e continuare comunque ad assicurare un reddito ai contadini, specialmente in Stati come quello di Guerrero in cui tutti i programmi di sostituzione delle colture hanno fallito. Un’iniziativa di legge su questo tema, non nuovo in realtà, è già stata inviata al Senato federale per essere discussa.
L’amministrazione Trump teme che le politiche di legalizzazione possano favorire un maggiore flusso di sostanze verso gli Stati Uniti. Ma, se il mercato sta passando dall’eroina agli oppioidi sintetici, allora anche la priorità data allo sradicamento del papavero dovrà essere ricalibrata su questa nuova realtà.
Il Messico ha intanto aumentato la ricompensa per chi sappia fornire informazioni utili alla cattura di El Mencho, leader del Cjng, che avrebbe cominciato ad investire nella produzione di fentanyl già dal 2014. La prossima amministrazione Obrador non sembra invece interessata a continuare la caccia ai grandi boss del narcotraffico: è la cosiddetta kingpin strategy, che ha dato risultati misti ma che piace tanto a Washington.
Seconda parte dell’inchiesta sull’epidemia degli oppioidi che fa strage di nordamericani. Leggi la prima parte qui
L’epidemia degli oppioidi che fa strage di statunitensi ha un impatto devastante anche in Messico, principale fornitore. I due Paesi hanno intensificato la cooperazione, ma il nuovo presidente messicano ha in mente una strategia in totale controtendenza rispetto all’approccio degli Usa
L’epidemia degli oppioidi, che l’anno scorso ha fatto quasi 49.000 morti per overdose negli Stati Uniti, è una crisi che si estende ben oltre i confini americani. E che coinvolge in particolare il vicino Messico.
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