In caso di vittoria alle prossime presidenziali che si terranno il 10 Agosto prossimo, il premier Recep Tayyip Erdoğan, in sella dal 2003, potrebbe superare il record di longevità politica del padre della Repubblica di Turchia Atatürk. In un clima d’instabilità internazionale, fondamentale per il premier sarà il voto curdo.

Non sembra ci siano dubbi sul fatto che l’attuale primo ministro Recep Tayyip Erdoğan sarà il prossimo presidente della Repubblica di Turchia, raccogliendo il testimone di Abdullah Gül, in carica dal 2007. Lo dicono i sondaggi (che lo danno in testa con una forbice tra il 52% ed il 56%), lo s’intuisce dalla scarsa forza d’urto dei suoi sfidanti ma soprattutto ne è un’indiretta testimonianza la prova di forza delle elezioni amministrative del 30 Marzo scorso quando, nonostante lo scoppio della ‘tangentopoli turca’, l’imperversare della guerra fratricida contro l’ex alleato Fethullah Gülen e lo scoppio nell’estate 2013 del più vasto movimento di opposizione all’Akp e ad un governo della storia contemporanea della Turchia, il premier s’era comunque imposto con un risultato più che confortevole (43% delle preferenze).
Carisma e successi economici: gli ingredienti della longevità politica di Erdoğan
Dopo più di un decennio di esercizio e logorìo nell’agone politico, il premier turco è oramai pronto a vestire anche i panni del presidente della Repubblica.
Erdoğan punta a superare il 50% già al primo scrutinio e non è escluso che ci riesca. Se non dovesse riuscirci però sembra difficile non vederlo accedere al soglio più alto delle cariche istituzionali il 24 agosto prossimo, data dell’eventuale secondo turno dello scrutinio.
Il successo di Erdoğan non si può più solo spiegare adducendo i pluricitati successi economici (pure importanti all’inizio dell’avventura politica dell’Akp). Fondamentale infatti in questi ultimi difficili mesi caratterizzati da tentativi diversi di minare alla base il suo potere è infatti il carisma dello stesso premier che continua ad incarnare le paure e le speranze dell’elettorato islamico-conservatore e delle forze economiche che hanno trasformato indelebilmente il paese nell’ultimo decennio.
La sua capacità di trasformazione, il suo lessico politico, l’audacia camaleontica di trarre vantaggio dagli ostacoli e dalla difficoltà dell’esercizio del potere, un progetto politico e di società condiviso da una buona fetta della società turca, questi ed altri ingredienti sono alla base della sua longeva carriera ai più alti livelli della politica, carriera che ora, in caso di elezione, potrebbe portarlo nell’empireo dell’universo della storia turca a fianco alla figura tutelare del padre della patria turca, Mustafa Kemal Atatürk.
Erdogan ed il partito che dirige, l’Akp (Partito della giustizia e dello sviluppo), dominano infatti la scena politica sin dal 2003 e niente esclude che possa continuare a farlo ancora per lungo tempo. Nel suo discorso di candidatura Erdogan ha palesato le sue intenzioni di gettare le basi per una ‘nuova Turchia’ dove “solo il popolo deciderà”. Tra le linee del suo discorso si può leggere la sua volontà di rimpiazzare il sistema parlamentare esistente con un sistema semi-presidenziale che darebbe maggior peso politico e incisività alla figura del presidente e garantirà il peso di quest’ultimo sull’esecutivo.
Gli sfidanti, il voto alevita e curdo
Sembrano ridotte al lumicino invece le speranze degli altri candidati: si tratta di Ekmeleddin İhsanoğlu, supportato dall’inedita alleanza tra i kemalisti del Chp e i nazionalisti dell’Mhp e di Selahattin Demirtaş, co-leader del pro-curdo Partito curdo democratico del popolo (Hdp). In un eventuale ballottaggio İhsanoğlu sembrerebbe profilarsi come il principale contendente di Erdoğan e questo per il suo profilo accademico e diplomatico costruito negli anni da segretario dell’Organizzazione della Conferenza islamica (Oic).
Molti analisti sono d’accordo sul fatto che la sua candidatura, in quanto proveniente dall’area islamico-conservatrice, potrebbe sottrarre voti all’attuale premier ma è anche vero che la figura di İhsanoğlu non mette d’accordo tutti, soprattutto la base kemalista ma anche gli Aleviti, bistrattati dai diversi governi islamici e desiderosi di veder riconosciuta a livello politico la propria comunità (che possiede un serbatoio di voti non indifferente, trattandosi di una comunità che conta quasi 13 milioni di membri). Per questo motivo parte del voto degli Aleviti potrebbe andare al leader pro-curdo.
Fondamentale sarà invece il voto curdo – i Curdi rappresentano oramai il 15-20% della popolazione della Turchia – soprattutto nel caso di un ballottaggio. Non è un caso che il 10 Luglio scorso il parlamento turco abbia votato un progetto di legge che assicura la protezione giuridica dei principali responsabili implicati nei negoziati con il PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan), un progetto di legge per molti “elettoralista” ma che dimostra nondimeno l’importa che si stanno ritagliando i Curdi a livello nazionale in Turchia ed anche internazionale in quanto le strategie di alleanze tra PKK, le Unità di difesa del popolo curdo siriane (YPG) ed i peshmerga curdi d’Iraq sembrano l’unico baluardo in grado di contrastare l’avanzata inesorabile degli eserciti jihadisti del califfato islamico. In un contesto internazionale in pieno subbuglio (postumi della guerra a Gaza, situazione che precipita in Siria e Iraq), il partenariato geostrategico con i Curdi sembra un punto fermo anche per il probabile futuro presidente della repubblica turca.
In caso di vittoria alle prossime presidenziali che si terranno il 10 Agosto prossimo, il premier Recep Tayyip Erdoğan, in sella dal 2003, potrebbe superare il record di longevità politica del padre della Repubblica di Turchia Atatürk. In un clima d’instabilità internazionale, fondamentale per il premier sarà il voto curdo.