La Turchia ha formalmente espresso il desiderio di entrare a far parte dei Brics+. Se ammessa, diventerebbe il primo paese della NATO, oltre che candidato all’adesione per l’UE, a diventare membro dei BRICS.
A confermarlo è stato Omer Celik, portavoce del partito al governo, Adalet ve Kalkinma Partisi (AKP), che, nonostante non siano ancora stati compiuti passi concreti per l’adesione, ha affermato “un processo è in corso”. La richiesta formale di adesione della Turchia al gruppo sarà infatti discussa al prossimo vertice dei BRICS+ che si terrà a Kazan, capitale della Repubblica di Tatarstan, in Russia, ad ottobre.
Brics+ è l’organizzazione internazionale delle economie emergenti fondata nel 2009, di cui fanno già parte Brasile, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, India, Iran, Russia e Sudafrica. Il blocco dei BRICS si contraddistingue per uno spirito fortemente antioccidentalista e l’adozione di un approccio revisionista nei confronti dell’ordine liberale a guida statunitense, che offre alternative a istituzioni globali come il Fondo Monetario Internazionale e la World Bank percepite come inique e sbilanciate a favore dell’Occidente.
Questa mossa diplomatica rappresenta un punto di svolta nei rapporti che Ankara intrattiene con i suoi alleati Nato, e lascia presagire un possibile allontanamento della Turchia dalla sua storica alleanza con i partner occidentali.
Una decisione annunciata
La notizia di questi giorni non è una sorpresa, infatti questa decisione è il culmine di un processo in corso da tempo. La testata americana Bloomberg, che aveva anticipato la notizia, scrive che in realtà la richiesta di adesione è già stata fatta molti mesi fa. Il primo segnale era arrivato già nel 2018 al vertice dei BRICS a Johannesburg, in Sudafrica, dove la Turchia si sedette solo come osservatrice. Più di recente al G7 italiano, tenutosi a Borgo Ignazio a metà giugno, Erdogan, che partecipava come invitato, chiese al presidente brasiliano Lula durante un incontro di appoggiare la sua richiesta di ingresso nei BRICS. Nello stesso mese il suo ministro degli Esteri, Hakan Fidan, si recò in visita in Cina un altro paese chiave per ottenere l’accesso nei BRICS.
Questa scelta inoltre è stata causata anche dalla crescente frustrazione di Ankara per le negoziazioni di accesso all’Unione Europea iniziate nel 2005 e tutt’ora in corso, che si sono dimostrate estremamente lente e inconcludenti, solamente un capitolo sui 16 finora aperti è stato completato. I principali intoppi sono dovuti al mancato soddisfacimento dei criteri di Copenaghen, specialmente in materia di diritti umani, libertà di stampa e democrazia, ai cattivi rapporti con la Grecia e alla situazione di tensione a Cipro. Considerando poi anche le recenti spaccature con alcuni membri della NATO riguardo l’adesione di Finlandia e Svezia e l’acquisto del sistema missilistico antiaereo russo S-400, l’avvicinamento turco ai BRICS non costituisce di certo un colpo di scena.
La Realpolitik di Erdogan
Questa mossa diplomatica in realtà si inserisce in un più ampio contesto di politiche intraprese dal presidente turco da vari anni mirate esclusivamente al perseguimento dell’interesse nazionale. “La Turchia può diventare un Paese forte, prospero, prestigioso ed efficace se migliora le sue relazioni con l’Est e l’Ovest allo stesso tempo”, ha dichiarato Erdogan a Istanbul, enfatizzando l’importanza di mantenere una politica estera equilibrata in sintonia con la posizione geografica del paese che costituisce un ponte naturale tra Oriente e Occidente.
Le ragioni dietro questa scelta sono numerose. Dal punto di vista economico la Turchia, che possiede un robusto settore manifatturiero, otterrebbe l’accesso ad enormi mercati per i suoi prodotti e servizi (secondo la Banca Mondiale i BRICS contano il 45,6% della popolazione mondiale e il 28,6% del GDP globale), e potrebbe rafforzare le sue capacità tecnologiche e il suo sviluppo infrastrutturale grazie ai nuovi investimenti in particolare cinesi e russi. Inoltre, la Turchia aspira a diventare un hub energetico cruciale per le esportazioni di gas dalla Russia e l’Asia centrale. Il partenariato economico con i BRICS garantirebbe una maggiore diversificazione delle relazioni commerciali e di conseguenza una maggiore indipendenza dalle istituzioni finanziarie occidentali. Sotto un’ottica geopolitica la mossa diplomatica di Ankara riflette le ambizioni del paese di coltivare legami con tutte le parti in un mondo multipolare come quello attuale, e garantisce alla Turchia un maggiore spazio di manovra rispetto ai suoi storici alleati atlantici al fine di perseguire i propri interessi strategici e ottenere un ruolo più attivo nei processi decisionali sul piano internazionale.
Un grattacapo per l’Occidente
Se ammessa, la Turchia diventerebbe il primo paese della NATO, oltre che candidato all’adesione per l’UE, a diventare membro dei BRICS. E non stiamo parlando di un membro della NATO qualsiasi, quello turco è il secondo esercito più grande dell’alleanza. I BRICS+, che al contrario dell’UE, non fanno particolari richieste di riforme e revisioni interne prima di ammettere un nuovo membro all’alleanza, esercitano da tempo una grande attrazione per le medie potenze regionali, come la Turchia, che vogliono acquisire una maggiore rilevanza; infatti, a fare compagnia nella lista d’attesa alla richiesta turca ci sono ben altri 30 Paesi. L’entrata della Turchia verrebbe percepita come un successo diplomatico sia per Pechino, sia per Mosca, che desiderano ammettere il gigante asiatico per minare l’apparente coesione dell’alleanza atlantica e contrastare l’egemonia economica occidentale.
Tuttavia, non bisogna saltare a conclusioni affrettate, la Turchia continua a adempiere ai suoi obblighi come membro chiave della NATO ed è molto improbabile che allenti i rapporti con l’Unione Europea, che dal punto di vista commerciale rimane un partner irrinunciabile. Difatti, Ankara sta compiendo sforzi paralleli per rilanciare al contempo i negoziati di adesione all’Ue. Questo rimane un “obiettivo strategico”, ha affermato Fidan la scorsa settimana dopo aver partecipato a colloqui informali con le sue controparti dell’UE per la prima volta in cinque anni.
Nonostante la Turchia abbia ancora dei legami stabili con la NATO e l’UE, questa decisione dovrebbe far scattare un campanello d’allarme in Occidente, poiché il colosso anatolico in virtù della sua collocazione e del suo peso demografico, economico e militare costituisce un attore fondamentale per la sicurezza/difesa dell’UE, la gestione delle rotte migratorie e la stabilizzazione del Mediterraneo e del Medio Oriente. Il mondo occidentale e l’UE in primis si trova di fronte alla necessità di sviluppare una strategia a lungo termine per instaurare un dialogo più disteso e costruttivo con questo partner cruciale al fine di evitare che si allontani ulteriormente.