
L’estrema destra si rafforza con il voto in Germania mentre in tutta Europa l’avanzata del populismo è il segnale di protesta più visibile contro il sistema. Ne parliamo con Andrew Spannaus.
«Una rivolta populista è giustificata e anche inevitabile in una società democratica». Fra i pochi ad aver previsto l’ascesa di Trump, il giornalista-analista statunitense Andrew Spannaus esplora nel suo ultimo libro, La rivolta degli elettori. Il ritorno dello Stato e il futuro dell’Europa (Mimesis Edizioni), le ragioni socio-economiche che hanno portato alla formazione degli attuali movimenti populisti.
Andrew Spannaus, la mancanza di democrazia nel processo di costruzione dell’Unione Europea e la graduale imposizione di un modello neo-liberista sono all’origine delle formazioni populiste?
La struttura attuale dell’Unione Europea si fonda su decisioni prese esclusivamente a livello istituzionale, senza il sostegno dei cittadini degli Stati membri. Quando in passato gli stati hanno organizzato dei referendum, essi sono spesso falliti, inducendo le élite europeiste a cambiare tattica. Il risultato è che gran parte dell’architettura istituzionale oggi è stata costruita attraverso precipitosi voti parlamentari o per mezzo della sola regolamentazione dell’Unione Europea, senza che ciò sia stato oggetto di un dibattito politico vero.
L’imposizione di un modello neo-liberista non è fuor di dubbio investita del supporto della maggior parte dei cittadini europei. Una gravosa austerità, i salvataggi concessi al settore finanziario e la proibizione di interventi statali sono politiche in linea con la globalizzazione finanziaria, imposte tuttavia contro la volontà popolare.
L’Unione Europea e l’euro trassero origine dalla necessità geopolitica di limitare una possibile supremazia tedesca?
La cooperazione europea cominciò subito nel dopoguerra, ma la trasformazione dell’architettura dell’Unione Europea attraverso il Trattato di Mastricht e, successivamente, l’adozione della moneta unica segnarono la decisione di eliminare gradualmente la sovranità nazionale. Una delle principali finalità geopolitiche consisteva nell’impedire che la Germania riunificata guidasse la ricostruzione industriale dell’Europa dell’Est. In fin dei conti, la Germania rappresenta ancora la maggior economia dell’Unione Europea, mentre tutta l’Europa è stata dirottata verso un modello neo-liberista che può essere esclusivamente implementato, in maniera efficace, attraverso pressioni sovranazionali.
Condivide la connotazione negativa con la quale la stampa è solita bollare i partiti populisti?
Per troppi anni i governi hanno eseguito gli ordini di una ristretta élite, della cui idea di crescita e globalizzazione hanno beneficiato soltanto coloro che si trovano ai vertici. L’appello agli istinti più bassi come il razzismo è il prodotto deteriore ed evitabile degli errori commessi dalla classe di governo nel corso degli ultimi anni. Senza la disaffezione pervasiva nei confronti del sistema, gli elementi più estremi potrebbero facilmente essere marginalizzati.
Considera le imminenti elezioni tedesche come un test riguardo lo stato di salute del populismo in Europa? Ritiene che il partito Alternative für Deutschland (AfD) potrebbe risultare determinante?
Il totale dei voti dell’AfD è molto lontano da quello dei due partiti maggiori, ma la sua ascesa ai vertici del secondo gruppo nella politica tedesca è senza dubbio significativa. L’AfD è il tipico esempio di un dilemma compiutamente populista: attinge cospicuamente dal malcontento economico, ma porta anche avanti problematiche sociali di estrema destra. Ciascun Paese è diverso, ma ciò che è chiaro in tutta l’Europa è che vi sono problemi molto seri che nessun Paese può permettersi di ignorare. In Germania, ad esempio, la recessione dell’Est e i milioni di poveri cagionati dalle riforme Hartz IV costituiscono terreno fertile per sentimenti anti-sistema.
Lei ha scritto che l’Italia ha anticipato una tendenza diffusasi poi nel mondo occidentale. Come le sembra oggi la situazione socio-politica italiana?
Nel 2013 l’Italia è stata sorpresa dal numero di voti ottenuti dal MoVimento 5 Stelle alle elezioni politiche, una reazione sia a decenni di evidente corruzione politica che a qualche anno di assurde, controproducenti politiche di austerità che hanno annientato il mercato interno. Si era presentata l’opportunità di intraprendere un serio cambiamento, ma una combinazione di opportunismo politico e la rigidità delle istituzioni internazionali hanno comportato che molto poco è stato fatto per affrontare i problemi sociali ed economici dell’Italia (che ultimamente non sono molto diversi da quelli degli altri Paesi). Il MoVimento 5 Stelle può o meno vincere le prossime elezioni, ma il fatto stesso che esso sia ancora in corsa rappresenta il fallimento dei partiti tradizionali nel conformare le loro politiche alla realtà.
Con la presidenza Trump si assisterà ad un significativo deterioramento dei rapporti Usa/Ue?
Donald Trump preferisce lavorare ad accordi bilaterali, in linea con la sua visione di un mondo di nazioni sovrane non controllate da istituzioni sovranazionali. Nonostante ciò, penso che i rapporti Usa/Ue non saranno fortemente danneggiati; Trump è stato finora relativamente inefficace nel convertire il governo Usa alla propria visione, in parte per la sua stessa inconsistenza, in parte per il tentativo concertato dai poteri consolidati di assicurarsi che la nuova amministrazione non abbia buon gioco nel disattendere l’intesa transatlantica concernente globalizzazione e neo-liberismo.
La Legge Glass-Steagall, abolita nel 1999 sotto la presidenza Clinton, non è stata più ripristinata. Crede che con l’amministrazione Trump vi sarà un ulteriore ammorbidimento delle politiche di controllo in materia di banche e finanza?
Trump è stato eletto principalmente a causa dei suoi attacchi alle élite economiche e finanziarie che hanno condotto a rovina l’economia produttiva degli Stati Uniti attraverso la speculazione finanziaria e la globalizzazione. Parte essenziale del suo ascendente risiedeva nelle sue posizioni anti-Wall Street, che alla fine della campagna presidenziale includevano il ripristino della Glass-Steagall. In particolare con l’estromissione di Steve Bannon, la fazione del “nazionalista economico” nell’amministrazione ha perso il suo ideologo di punta e i più influenti responsabili politici sono in verità uomini di Goldman Sachs. Fra un Congresso a maggioranza repubblicana e l’ideologia – tipica di un uomo d’affari – anti-regolamentare di Trump, questa è la ricetta del disastro, ossia controlli meno stretti nella finanza e in altre aree come ad esempio le leggi sul lavoro, piuttosto che il ritorno ad un governo efficace.
Secondo lei, quali sono gli ostacoli che si frappongono alla costruzione di una difesa europea comune?
Le nazioni europee hanno bisogno di decidere quale sia il loro obiettivo. Se si tratta semplicemente di condivisione delle risorse, ciò risulta senz’altro fattibile. Se l’idea è di creare una nuova struttura decisionale, allora sorgono molti quesiti, come ad esempio la posizione da assumere rispetto alla NATO e in che modo le decisioni verrebbero prese. Vi sono chiare differenze nell’orientamento strategico e negli interessi fra i grandi Paesi europei in termini di aree storico-economiche e geografiche. Il rischio insito in una difesa comune è quello di concentrarsi innanzi tutto sulla forma, quando non sono chiari i contenuti delle politiche da perseguire.
In cosa consiste il circolo vizioso innescato dagli aiuti concessi dai governi europei ai Paesi in difficoltà?
Le politiche della Troika sono state un disastro per qualunque Paese colpito dalla recessione. Quando gli aiuti significano fondi per ripagare i debiti piuttosto che mirati a contrastare i veri problemi economici, con condizionalità che causano sofferenze umane, diventa chiaro perché crescano rapidamente movimenti populisti pronti a sfidare l’Unione Europea.
L’Unione Europea può risultare, in taluni casi, controproducente allo sviluppo economico dei singoli Stati?
Il fine geopolitico dell’attuale Unione Europea è stato proprio di limitare la sovranità economica e politica delle nazioni europee. Finché Bruxelles e Francoforte continuano ad operare in ossequio a parametri monetari e assunti neo-liberisti, non v’è ragione di pensare che gli Stati membri possano effettivamente affrontare i loro problemi. La cooperazione finalizzata alla crescita economica si è dimostrata proficua in passato; ma una cooperazione basata sull’imposizione di cattive politiche è semplicemente masochistica.
Quale futuro per l’Europa?
Gli Europei devono iniziare a pensare seriamente al loro futuro, prima di perdere in misura ancora maggiore la loro sovranità in favore di un sistema che attua politiche fallimentari. Le nazioni europee possiedono risorse e capacità eccezionali; ciò nonostante, non vi è alcuna garanzia che sopravviveranno, se saranno prese decisioni sbagliate. Una valutazione onesta degli ultimi 25 anni mostrerà come le élite che dominano la finanza e la politica hanno perseguito i loro presunti interessi, mentre ignoravano le difficoltà della maggior parte della popolazione. Quali probabilità vi sono che il cambiamento possa essere imposto a livello europeo? Finora, credo che i governi nazionali rimangano la migliore speranza per un urgente cambiamento di rotta. Ciò non significa che la cooperazione europea debba arrestarsi, ma che la sovranità nazionale ha ancora un ruolo da svolgere nel mondo.
L’estrema destra si rafforza con il voto in Germania mentre in tutta Europa l’avanzata del populismo è il segnale di protesta più visibile contro il sistema. Ne parliamo con Andrew Spannaus.