Dove va l’Europa?
Migrazioni, Ucraina, cooperazione Nato/Ue, politica economica, sicurezza e difesa, rapporti con la Cina, i Balcani e con l’Unione Africana, ma soprattutto la questione mediterranea. Il Consiglio europeo di fine giugno ha cercato di indicare una rotta alla nave europea
Ad un anno dal voto per il rinnovo del Parlamento Europeo il Consiglio europeo che si è tenuto a fine giugno offre una chiave di lettura essenziale per comprendere il posizionamento dell’Unione nello scacchiere globale e sulle questioni cruciali di questo nostro tempo.
I lavori si sono caratterizzati per un’agenda ambiziosa e i risultati, nel loro insieme, rappresentano il “punto nave” e indicano la rotta della nave europea. Sebbene dalle nostre parti vi sia stata la percezione che solo di migrazione si sia parlato, in realtà il menù è stato parecchio più ricco. Ucraina, scambio di opinioni sulla cooperazione Ue-Nato e sulla sicurezza euroatlantica con il Segretario generale della Nato, situazione economica e conseguenze dell’Inflation Reduction Act statunitense, sicurezza e difesa, rapporti con la Cina, relazioni esterne con il vicinato meridionale, con i Balcani occidentali, con l’Unione Africana, senza trascurare la situazione di Cipro e quella a nord del Kosovo e i rapporti con la Turchia.
Temi sui quali talvolta il Consiglio ha introdotto novità, talaltra ha ribadito o rafforzato una posizione, altre volte ha preso atto della difficoltà di una sintesi.
La "questione mediterranea"
Sulle migrazioni, l’Unione continua a duellare al proprio interno sulla combinazione tra i principi, fondativi dei Trattati, di solidarietà e responsabilità. Le conclusioni del Presidente del Consiglio Europeo sulla dimensione esterna della migrazione confermano che l’Unione rischia di rimanere ferma al solito bivio. Se, da un lato, vi è determinazione comune a smantellare le attività dei trafficanti di esseri umani, sul contrasto alle cause profonde delle migrazioni, sulla comune opinione che la migrazione richieda una risposta europea, restano, d’altro canto, aperte le questioni del ricollocamento dei migranti e delle diverse forme di solidarietà che alcuni paesi sono disponibili ad esprimere (ma diverse dall’accoglienza).
A quasi un decennio dalla strage di Lampedusa, che scosse le coscienze europee, i 27 non sono riusciti a prendere le misure su un tema ultrasensibile sul piano elettorale e dalla cui gestione comune, però, non si può prescindere se non si vuole infragilire il processo di integrazione europeo.
Il tema resta, al fondo, la postura dell’Unione rispetto al Mediterraneo. Alla “questione mediterranea”, fatta di minacce asimmetriche, di sfide globali e di opportunità strategiche nel rapporto con una delle aree geopolitiche più volatili del pianeta, ma che apre la strada al rapporto strategico con i paesi africani (a questo proposito, l’opzione prescelta è quella di sostenere la presenza dell’Unione Africana nei consessi internazionali e in particolare nel G20).
L’impressione complessiva è che l’Unione europea sia come strattonata tra una proiezione nordica e una meridionale e mediterranea, dimenticando l’insegnamento di Aldo Moro: “nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa ed essere nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”.
Il nodo resta quello dei rapporti con il vicinato meridionale. Un risveglio di questa proiezione potrebbe essere lo sviluppo del pacchetto di partenariato globale con la Tunisia fondato sui pilastri dello sviluppo economico, degli investimenti e del commercio, della transizione verso un’energia verde, della migrazione. L’ipotesi è quella di rafforzare e sviluppare questo modello di collaborazione strategica e reciprocamente vantaggiosa con i partner della regione. Del vicinato mediterraneo, spesso si dimentica che fanno parte anche i paesi dei Balcani occidentali e la posizione espressa dal Consiglio ha inteso essere inequivocabilmente a favore della prospettiva di adesione di questi Paesi alla Ue accelerando il processo di allargamento sebbene condizionato al merito e alle riforme. Restano, nel Mediterraneo orientale, aperti il problema di Cipro, su cui l’Unione chiede la rapida ripresa dei negoziati, e il tema strategico dei rapporti con la Turchia.
Il sostegno all'Ucraina per una pace globale
Se quello migratorio ha messo in evidenza il lato debole e poco decisionista dell’Unione, la questione Ucraina ha dato la prova che, nonostante la farraginosa meccanica istituzionale, l’Europa - quando vuole - sa e può decidere; come peraltro già dimostrato al tempo della pandemia.
Il Consiglio ha, infatti, ribadito all’Ucraina e alla sua popolazione, “per tutto il tempo necessario”, pieno sostegno militare, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico. Un sostegno risoluto alla causa ucraina per una pace globale, giusta e duratura, che deve basarsi sul rispetto della indipendenza, sovranità e integrità territoriale ucraine entro i confini riconosciuti a livello internazionale. E la risolutezza non ha fatto difetto nel sottolineare gli sforzi che l’Unione è pronta a compiere attraverso il meccanismo di protezione civile europea e nel ribadire il sostegno alla ricostruzione e alla ripresa dell’Ucraina. Non sono mancate le condanne alla Russia e alla sua guerra di aggressione; condanne estese all’Iran e alla Bielorussia per il sostegno militare offerto alla Federazione Russa attraverso la fornitura di droni (Iran) e l’uso del territorio (Bielorussia). Tutto ciò, mentre è stato appena adottato in ambito europeo l’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Sullo sfondo c’è il l’incoraggiamento all’Ucraina a proseguire il processo di riforme in atto con la prospettiva dell’adesione all’Unione Europea.
Potenziare competitività e produttività
Ai leader europei risulta chiaro che senza una governance economica rafforzata e rinnovata, senza un programma che renda la Ue protagonista economico globale, ogni ambizione diventerà velleità, ogni buon proposito vano desiderio. Da qui la spinta a potenziare competitività e produttività, rafforzando la politica industriale, favorendo la crescita, riducendo gli oneri amministrativi e le dipendenze strategiche, specie nei settori più sensibili. C’è l’aspirazione a diventare un player fondamentale sull’intelligenza artificiale cogliendone le immense opportunità e la preoccupazione di affrontare i rischi connessi. E sarà importante accelerare i lavori sul regolamento riguardante la IA e anche su quelli relativi all’industria a zero emissioni nette e alle materie prime critiche. La questione dell’autonomia produttiva e della non dipendenza da catene del valore troppo lunghe pone il tema della diversificazione delle fonti di approvvigionamento, anche in materia di medicinali e dei componenti più critici. L’entrata in funzione del tribunale unificato dei brevetti e la spinta del brevetto unitario potranno stimolare innovazione e competitività.
Ai capi di stato e di governo europei non sfugge l’impatto prospettico della questione demografica sulla competitività del continente e per questo hanno invitato la Commissione a presentare un pacchetto di misure idonee.
In gioco c’è la resilienza e la sicurezza economica dell’Unione i cui interessi vanno difesi coniugando tale protezione con il preservare quell’economia aperta che deve restare uno dei tratti distintivi dell’Unione stessa. Un tema che diventa scivoloso in un momento in cui l’Unione deve valutare gli impatti in Europa della legge statunitense sulla riduzione dell’inflazione (Inflation Reduction Act- IRA) e l’efficacia delle misure di risposta adottate sia dall’Unione che dai suoi stati membri.
Un programma di medio-lungo periodo che supera l’orizzonte di una legislatura del Parlamento e di un mandato della Commissione, che si avviano alla conclusione, con un’idea chiara: non c’è destino per una Unione che non si candidi ad essere protagonista economico globale. Senza ciò non vi sarà prestigio in politica estera e forza sulle materie di sicurezza.
Politica estera e di sicurezza
Gli anni recenti ci hanno consegnato la consapevolezza che politica estera e sicurezza si tengono e condizionano reciprocamente e non possono vivere l’una senza l’altra. Ciò ha portato al consolidarsi del progetto di difesa comune europea (da gestire in un modo complementare e integrativo alla presenza nella Nato) e a una bussola strategica che orienterà l’Unione su questioni fondamentali come la cibersicurezza e ciberdifesa, le minacce ibride, la mobilità militare, lo spazio e la sicurezza marittima. Occorre unire sempre di più gli investimenti, la formazione, gli appalti, gli acquisti, per assumersi sempre più le responsabilità di un grande continente da 450 milioni di abitanti e realizzare al meglio lo strumento europeo per la pace. E, perché non dirlo, essere considerati dagli alleati (e dagli avversari) interlocutori forti, pronti e preparati.
Il rapporto con la Cina
Nel gioco delle grandi potenze (se l’Unione ambisce a iscriversi al club), delicata e interessante è la vicenda del rapporto con la Cina, qualificata contemporaneamente come partner, concorrente e rivale sistemico. L’interesse a perseguire relazioni costruttive e stabili viene ribadito in quello che viene qualificato “approccio strategico multiforme” della Ue nei confronti del gigante asiatico. Sul piano economico, consiste nel considerare la Cina partner commerciale ed economico importante dal quale, però, ridurre le dipendenze e i rischi diversificando gli approvvigionamenti senza procedere a un disaccoppiamento. Per il resto, la linea resta quella di promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, di rispetto della politica di “un’unica Cina”, opponendosi comunque a ogni tentativo di modificare con la forza lo status quo di Taiwan, nonché del reiterato invito alla Cina ad esercitare pressioni sulla Russia affinché metta fine alla guerra di aggressione contro l’Ucraina.
Conclusioni
In conclusione, gli esiti del Consiglio Europeo evocano l’idea di un’Unione capace di avere un’agenda chiara e un posizionamento netto sui principali dossier globali e al tempo stesso suscitano la domanda sull’esistenza della determinazione, della volontà politica, delle risorse, della compattezza necessaria a realizzare con forza le strategie delineate e cogliere i traguardi agognati. A questa domanda potrà dare risposta solo il tempo e il voto dei cittadini europei del 2024.
Tra un anno capiremo se la direzione di marcia scelta dai cittadini sarà quella di istituzioni continentali più forti e capaci di decidere, di collocarsi al centro della scena globale, oppure se sarà preferita l’idea del ritrarsi e del rifluire su posizioni più nazionali perché ritenute maggiormente efficaci a proteggere gli interessi dei cittadini.
A Bruxelles e nelle 27 capitali, chi ha a cuore il destino del processo di integrazione europeo ha undici mesi per dimostrare che ci vuole un’Europa maggiore e migliore per gestire le migrazioni, per supportare l’economia dei 27, per contrastare la disoccupazione giovanile, per assicurare una transizione energetica e digitale efficace, ragionevole ed equa, per dare più sicurezza territoriale ed economica ai nostri concittadini, per difendere le loro libertà. Undici mesi possono essere pochi, ma saranno sufficienti se i decisori europei, anche se di tendenze, nazionalità, pareri diversi appariranno “egualmente animati dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra patria Europa” (Alcide De Gasperi, discorso del 21 aprile 1954 alla Conferenza Parlamentare Europea). Già, la nostra Patria Europa. Sarebbe tutto più semplice se i fatti riuscissero a dimostrare a tutti (come è già chiaro a molti) che essa non è in contrasto, ma in fraternità inscindibile con le nostre patrie nazionali.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di Luglio/Settembre di eastwest