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Expo, calcio, boxe, Formula Uno: lo “sportwashing” di Riad


L'Arabia Saudita, come la Cina una decina di anni fa, utilizza il calcio e l'organizzazione dei grandi eventi come soft power, per far dimenticare le violazioni dei diritti civili e ripulire l'immagine internazionale del Paese.

L’Arabia Saudita, come la Cina una decina di anni fa, utilizza il calcio e l’organizzazione dei grandi eventi come soft power, per far dimenticare le violazioni dei diritti civili e ripulire l’immagine internazionale del Paese.

L’Arabia Saudita, come la Cina di dieci anni fa. La seconda, prima di tutti, cominciò un’azione di soft power sfruttando l’organizzazione di grandi eventi mondiali e puntando sul vero oppio dei popoli, il calcio. Nel giro di due anni, infatti, organizzò le Olimpiadi, 2008, e l’Expo di Shanghai, 2010. In barba a tutte le critiche sui diritti civili, in particolare per il trattamento riservato a Tibetani e Uiguri. Addirittura fece passare la fiaccola olimpica nelle due regioni “autonome”, non prima di averle per bene “bonificate” con l’esercito, reprimendo qualsiasi giusto e legittimo anelito di ribellione alla soppressione. 

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