Il Festival di Cannes è incontestabilmente il più importante evento cinematografico mondiale, con tantissime stelle sul tappeto rosso ma anche una grande visibilità offerta al cinema “serio” – per mancanza di una parola migliore.

Alcuni dei film più importanti di questa annata 2014 sono stati presentati a Cannes, tra cui nuovi lavori cinematografici da grandi nomi d’essai come il regista mauritano Abderrahmane Sissako, che ha presentato il suo dramma sulla jihad in Mali, Timbuktu; il regista russo Andrei Zvyagintsev, che esplora l’anima russa in un villaggio perduto nel suo Leviathan e il vincitore della Palma d’oro, Winter Sleep, dal regista turco Nuri Bilge Ceylan, che guarda un piccolo cast di personaggi che parlano per oltre tre ore in un albergo in una zona rurale dell’Anatolia e riesce a illuminare dei temi come la divisione fra i ricchi e poveri in Turchia.
Tutti i festival principali hanno bisogno di un po’ di “star power,” così come buoni film, e l’edizione di quest’anno ha suggerito ancora una volta che, purtroppo, queste due cose si possono ogni tanto escludere a vicenda, come ci ha dimostrato il film d’apertura, stroncato dalla maggior parte della critica, Grace di Monaco, un biopic dissonante come con Nicole Kidman nei panni di Grace Kelly.
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Comunque, tutti i grossi quotidiani mondiali avevano in prima pagina una foto della Kidman sul tappeto rosso di Cannes il giorno dopo. La scelta del film era quindi giustificata e, forse involontariamente, suggerisce anche che se alcuni dei film più importanti dell’anno vengono presentati in anteprima mondiale al festival, ciò che è importante tanto quanto l’arte a Cannes è il commercio, perché il cinema è anche un business.
Infatti, la reputazione di Cannes come il più importante evento nel mondo cinematografico e intimamente legato non solo ai film che sono presentati lì ma anche alle persone che sono presente a vederli; parallelamente alle prime dei nuovi film selezionati c’è anche il più grande mercato del cinema che si svolge nello stesso palazzo del cinema e che attira migliaia di professionisti che provano a vendere e comprare dei film di diverse qualità, da Blockbuster non ancora usciti a film di genere e film porno.
L’inclusione di alcuni film in concorso, notevole The Homesman dell’attore-regista Tommy Lee Jones, con Jones e Hilary Swank, Miranda Otto e Meryl Streep, e The Captive di Atom Egoyan e con Ryan Reynolds e Rosario Dawson, sembrava più una concessione ai bisogni del tappeto rosso più che delle necessita artistiche.

Ma per ogni film che sembrava non appartenesse al meglio dell’annata 2014, c’era un altro film che era impressionate e importante, come i tre film gia menzionati nell’introduzione o delle opere come Mommy di Xavier Dolan e Adieu au langage di Jean-Luc Godard, entrambi vincitori del premio della giuria e entrambi drammi giocosi e (semi-)sperimentali.
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Tra le sezioni parallele, programmati indipendentemente della selezione ufficiale e quindi con dei criteri e gusti diversi che ne assicurano la ricchezza, il titolo che cha più colpito questo critico e P’tit Quinquin, che in realtà è una serie televisiva di Arte a quattro episodi, diretto dall’autore francese Bruno Dumont e presentato a Cannes come un unico lungometraggio di 197 minuti. La storia, ordinaria ed estraordinaria allo stesso momento, si svolge in un piccolo villaggio nel nord della Francia, dov’è cresciuto anche il regista, e dove delle persone morte sono ritrovate dentro delle mucche anch’esse morte. Il lavoro dell’ispettore della polizia locale, alquanto maldestro, è seguito da vicino di un gruppo di ragazzi turbolenti. Anche se il progetto è la prima incursione di Dumont in qualcosa di più comico, il tono minimalista e miserabile dei suoi lavori precedenti (Flanders, Humanité) viene fuori più volte e sempre più insistente, trasformando Quinquin (il protagonista) in una farsa tragicomica su come un perdita dell’innocenza conduce invariabilmente a vite e valori corrotti.
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Il Festival di Cannes è incontestabilmente il più importante evento cinematografico mondiale, con tantissime stelle sul tappeto rosso ma anche una grande visibilità offerta al cinema “serio” – per mancanza di una parola migliore.