La leadership riluttante della Cancelliera in Europa ci fa sperare che, dalla sua prossima uscita di scena, possiamo incassare un’inattesa quanto indispensabile spinta al processo di integrazione europea
La mattina del 29 ottobre dello scorso anno, dopo aver perso l’11% dei voti nelle elezioni regionali in Assia, Angela Merkel ha annunciato che, dopo aver terminato il proprio mandato, si ritirerà dalla vita politica.
Prima donna a diventare Cancelliere (anche la più giovane nella storia tedesca), Angela Merkel ha avuto una carriera inarrestabile: prima il Ministero delle Donne e della Gioventù, poi quello dell’Ambiente, fino alla leadership della Cdu, strappata al suo mentore Helmut Kohl. Diventata Cancelliera a spese di Gerhard Schröder nel 2005, da allora ha sempre visto rafforzare la sua popolarità tra gli elettori e la sua leadership nel partito.
Fino a ottobre, quando la Germania ha deciso di cominciare a voltarle le spalle. La Cdu ha subito un crollo enorme, passando dal 38% del 2013 al 27.
“Come Cancelliera e Presidente, mi assumo la responsabilità” della situazione, ha detto Merkel in conferenza stampa. “È chiaro che così non si può andare avanti. L’immagine del Governo è inaccettabile.” Un vero scossone per la Germania e per l’Europa tutta.
Nel 2021 finirà un ciclo durato quasi 16 anni, che ha trasformato la Kanzlerin nella leader più potente ma anche più controversa d’Europa. Scorrendo le copertine delle riviste internazionali dell’ultimo decennio, si sprecano le foto della Cancelliera con i baffetti da Hitler o con la divisa delle SS. In Italia, la sua immagine è quella, quasi caricaturale, dell’inflessibile decisionista tedesco.
Proviamo a mettere ordine tra queste reazioni spesso scomposte: campionessa di attendismo, Angela Merkel è stata per diversi aspetti una promessa mancata proprio per la sua incapacità di ergersi a leader europeo e portare a compimento il progetto dell’Unione.
Quattro in tutto sono stati i suoi mandati, tra luci e ombre.
Le luci.
Negli ultimi anni, l’ascesa di movimenti illiberali anche in seno alla Ue, ha spinto molti a vedere in Angela Merkel l’ultimo baluardo del mondo liberale. Certamente una mitologia piuttosto semplicistica, ma che in gran parte risponde al vero. La Cancelliera è stata un argine contro la destra antieuropea e sovranista, anche all’interno del proprio Paese e della propria coalizione di Governo. Nessuna tentazione di flirtare con l’estrema destra dell’AfD (come hanno fatto i vicini austriaci …progetto decisamente naufragato) e una certa coerenza nel non spostare il proprio asse politico per rincorrere l’elettorato neo-nazionalista. Sulla questione migranti, si è esposta in prima persona, con la cosiddetta Willkommenspolitik (la politica di accoglienza dei rifugiati) e con quel “Wir schaffen das!” (“Ce la facciamo!”), pronunciato all’apice della crisi dei migranti nel 2015. “Sono cresciuta fissando un muro davanti alla faccia” ha detto Merkel al premier ungherese Orbán “Sono decisa a far sì che non ne vengano costruiti altri, finché sono viva.”
Le Ombre.
I tedeschi hanno inventato il verbo “merkeln” per indicare l’incapacità di prendere decisioni o di avere un’opinione su qualcosa. Il neologismo è mutuato proprio dal comportamento che i suoi connazionali attribuiscono ad Angela Merkel nell’azione politica. Quella della Cancelliera è stata in patria e di conseguenza anche in Europa un’azione troppo timida. La Germania non ha mai espresso una posizione forte e decisa su nessuno dei grandi temi europei: l’euro, la difesa, la politica estera.
Molto vincolata alla Realpolitik dell’interesse economico nazionale, fatta di surplus commerciale e attenzione ai conti, l’azione della leader tedesca è stata neutra e a tratti ambigua: andiamo avanti senza scontentare nessuno. Super europeista a parole, nei fatti, ha bloccato, tergiversando, ogni concreto passo avanti nel processo di integrazione. Nel 2011, il polacco Radek Sikorski, al tempo Ministro degli Esteri, affermò di temere l’inazione tedesca più della sua azione (una confessione interessante, visto il passato tra i due Paesi).
Soprattutto, durante la crisi dell’euro e con l’emergere della questione greca, Merkel ha evidenziato tutte le proprie contraddizioni e i propri limiti: la Cancelliera si è affidata, soprattutto per ragioni di consenso interno, a una rigida politica normativa, senza affrontare la crisi dell’eurozona attraverso una evoluzione politica del progetto dell’Unione: come non comunitarizzare i debiti, rilanciando così una competitività europea sullo scenario globale? E quali rischi avrebbe corso la Germania, se avesse preteso, ottenendola, la posizione del Ministro unico dell’Economia? Per non parlare degli effetti benefici sulla stessa produzione industriale tedesca, per due terzi indirizzata agli altri Paesi europei, rivitalizzati da un abbattimento dei loro debiti a un livello medio europeo che non avrebbe superato il 90% del Pil.
Oggi, l’Europa paga a caro prezzo questa mancanza di leadership e di coraggio. È vero, le ragioni dell’immobilismo merkeliano vanno anche ricercate nella struttura stessa della democrazia tedesca, disegnata, dopo gli orrori del nazismo, allo scopo di evitare una concentrazione di potere nell’esecutivo. Inoltre, l’opinione pubblica nazionale è frammentata e le continue crisi interne hanno spinto la Cancelliera a esprimere una politica quanto meno divisiva possibile.
Eppure, non è più il tempo della prudenza: e se invece di essere rieletta quattro volte, la Merkel avesse accettato il rischio di perderla, un’elezione, ma ci avesse portato tutti più felici in Europa, non avremmo forse evitato la deriva populista di questi ultimi anni?
L’Europa ha bisogno di una visione di lungo periodo e di un sistema di governance capace di gestirne le opportunità e le crisi. Non possiamo più fare politiche di saldi di bilancio che prescindano dagli effetti sull’economia reale. Serve un progetto nuovo, che trasformi l’Europa in un soggetto politico forte, capace di affrontare le prossime sfide. Nei prossimi mesi, il continente sarà messo a dura prova dalla Brexit (che danneggerà comunque soprattutto gli inglesi, destinati a un futuro da comprimari) e dalla minaccia di una nuova crisi dell’euro (di matrice italiana?) e gli attendismi non possono più funzionare.
Angela Merkel resterà alla guida della cancelleria fino al 2021, il Ppe ha fatto sapere che l’addio della Kanzlerin è una “questione interna alla politica tedesca”, anche se la sua uscita lascia un vuoto certamente anche in Europa, che va colmato bene.
Angela Merkel, intanto, in Germania, ha passato il testimone ad Annette Kramp-Karrenbauer, ora a capo della Cdu. AKK (come la chiama la stampa tedesca) ha esordito vincendo un’importante elezione nel suo piccolo Stato (Saarland), salendo nei consensi proprio mentre la Cdu crollava negli altri Lander. La chiamano mini-Merkel, anche se su diversi temi è più a destra della Cancelliera. Il suo futuro è ancora incerto. Quello che è certo è che i nuovi leader europei hanno davanti a loro uno scenario molto diverso da quello in cui Angela Merkel ha imposto la sua egemonia riluttante. La frammentazione frutto dalle recenti elezioni europee e le crescenti contrapposizioni ideologiche renderanno sempre più complesso il ruolo di chi guida l’Europa. Adesso servono leader coraggiosi. Non avremo un’altra chance!
@GiuScognamiglio
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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La leadership riluttante della Cancelliera in Europa ci fa sperare che, dalla sua prossima uscita di scena, possiamo incassare un’inattesa quanto indispensabile spinta al processo di integrazione europea
La mattina del 29 ottobre dello scorso anno, dopo aver perso l’11% dei voti nelle elezioni regionali in Assia, Angela Merkel ha annunciato che, dopo aver terminato il proprio mandato, si ritirerà dalla vita politica.