La risposta con cui a metà dicembre il presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi ha gelato la domanda di esprimersi al Parlamento Irlandese in merito alla lettera, che il suo predecessore Jean Claude Trichet inviò il 19 novembre 2010 all’allora ministro delle Finanze irlandese Brian Lenihan – incoraggiando la richiesta del salvagente europeo avvenuta alla fine dello stesso mese e da cui il paese uscì tre anni dopo – non è popolare in Irlanda, pur enunciando un dato esatto nella forma: non si prevede che la BCE risponda ad assemblee elettive di singoli stati, perchè risponde, nelle forme previste, al Parlamento Europeo.
Il dibattito europeo su Atene, che rimanda ovviamente ad un periodo recente per l’Irlanda, sta dividendo perfino il governo: l’11 febbraio il Ministro alle Finanze, Michael Noonan, ha preso le distanze dal Ministro all’Agricoltura, Simon Coveney, che aveva ipotizzato un avvicinamento alle posizioni della Grecia. L’attualità greca non lascia indifferente la politica irlandese e le forze di sinistra, inclusa quella movimentista del People Before Profit e quella repubblicana nazionalista dello Sinn Féin: in occasione di un incontro per il cinquantenario della morte di Malcolm X, questo 18 febbraio il Socialist Party ha chiamato a raccolta le opposizioni sociali, auspicandone l’unificazione. Un altro appuntamento delle sinistre è fissato a Dublino per il prossimo 7 marzo 2015 da organizzazioni di studenti e vi interverrà Richard Boyd Barrett, del “People Before Profit”: al centro ci sarà il legame tra realtà come “Syriza” e “Podemos” (emerse in paesi, Grecia e Spagna, che hanno conosciuto l’austerity) e la situazione irlandese.
Una osservazione fuori dai denti che si sente spesso a Dublino è che nelle banche, invece dei bonus di nuovo in rialzo, premi più legati all’andamento dell’economia a lungo termine farebbero passare la voglia di “giocare troppo” a strati sociali per cui sono stati apprestati, più efficacemente che per altre fasce della società, cuscinetti come il salvataggio pubblico delle banche avviato il 30 settembre 2008 e l’istituzione, il 21 dicembre 2009, della “Nama” (“National Asset Management Agency”) che per necessità di far cassa e ripagare il bailout ha rivenduto, a prezzi inferiori al valore reale, strutture e debiti privati che s’era accollato e che gli acquirenti hanno rivenduto subito con guadagni a due cifre. E’ evidente, in questi giorni, un innalzamento dell’ostilità di parte della popolazione verso le scelte del governo in materia di servizi: sabato 21 febbraio, a Dublino, quasi diecimila persone hanno marciato fino alla prigione di Mountjoy, contro la condanna a 28 giorni di alcuni manifestanti, mentre il giorno precedente si era diffusa la voce, poi non confermata all’inizio della settimana successiva, che Derek Byrne e Paul Moore – arrestati per l’accusa di aver ostacolato l’installazione dei contatori dell’acqua – fossero entrati in sciopero della fame. Tutti hanno presente il 2005 e le proteste allora nell’ovest della repubblica (per i progetti della Shell) che acquisirono gran forza per gli arresti e per la convinzione mostrata dai detenuti nel difendere questioni di principio.
Se al Fine Gael ed al Labour si rimprovera il liberismo, quanto a consensi non va meglio il vecchio Fianna Fáil, centrodestra sociale maggioritario per decenni, prima della crisi: la gente non dimentica che, a soli cinque giorni dalla garanzia statale per le banche, enormi buchi di bilancio nella Anglo Irish, in Irish Nationwide e in altre banche erano ampiamente sottostimati dal Dipartimento alle Finanze. Nel tempo della cosidetta ‘tigre celtica’, condizioni eccezionali permisero al Fianna Fáil di introdurre condizioni fiscali favorevoli agli investitori e contemporaneamente di mantenere garanzie per i deboli, i più esposti però alla precarietà di questo equilibrio.
Uno dei punti critici dell’economia nella repubblica non è tanto nella forte detassazione di cui parecchie multinazionali fruiscono, quanto negli incentivi alle imprese, tra cinque e sei miliardi l’anno di cui le piccole e medie imprese irlandesi non riescono ad avvantaggiarsi, a causa di dimensioni ridotte, per cui alcuni rimproverano all’istituto governativo per la crescita, “Enterprise Ireland”, di dirigere le risorse dei contribuenti più verso il mercato esterno che in quello interno, rinfacciando ad UE ed FMI di aver anche incoraggiato debordanti privatizzazioni.
Nell’insieme dell’economia irlandese, la fragilità più significativa – persistente mentre il ritmo attuale di crescita mira alla piena occupazione nel 2018 – si trova nel fraintendimento che gli attuali governanti hanno ereditato intatto nonostante le lezioni recenti: l’assunzione che i venti favorevoli che spirano di nuovo da USA, UK e Eurozona possano essere dati per scontati a lungo, tendenza insidiosa per un sistema che sulle circostanze esterne ha puntato tutto, con sconti fiscali, sostegni pubblici agli investimenti esteri e con l’asso nella manica irlandese, le esportazioni. L’Irlanda nel lungo termine è esposta anche alle oscillazioni della disponibilità e dei prezzi dell’energia, essendo dipendente dall’esterno al novanta per cento in tale campo.
Il 24 gennaio, fonti statali hanno stimato in quasi dodici miliardi di euro il valore dei titoli sovrani irlandesi che dovrebbero essere acquistati nel quadro del Quantitative Easing avviato dalla BCE, diciannove miliardi di euro sono stati raggranellati dal “Nama” nel suo lento recupero del salvabile della crisi privata ed in questo febbraio sta per ottenere altri otto miliardi, in operazioni minori che richiedono più tempo. Una cifra rende le dimensioni dello sforzo pubblico nel recupero dei debiti, il Nama ha speso trentadue miliardi, che solo in parte sta recuperando, grazie al rinnovato appetito di Irlanda: gli investitori inglesi ed americani tornano ad apprezzare la tassazione favorevole, la ridotta burocrazia e il calo dell’euro, nel paese più giovane di Eurolandia, in più di lingua inglese.
I contrasti nell’immagine che la tigre celtica mostra, nel ridiventare esempio incoraggiante per la UE, hanno raggiunto estremi esemplari un mese prima di Natale, quando ben prima delle feste la ripresa dei redditi spinse spettacolarmente i consumi, ma, contemporaneamente, molti quartieri spegnevano gli alberi inaugurati in piazza, in segno di solidarietà a Jonathan Corrie, deceduto per il freddo in una centralissima via di Dublino: la sua triste scomparsa ha evidenziato che, nella capitale del paese con la crescita più rapida d’Europa, il numero dei senzatetto è salito del venti per cento in un solo anno, secondo stime di un paio di settimane fa sarebbero un migliaio solo nell’area di Dublino, e ventimila persone sono nella lista d’attesa delle abitazioni popolari della città. A metà gennaio il Ministro delle Finanze, Michael Noonan, aveva auspicato che la parte irrecuperabile dei costi della bolla bancaria, legata a quella immobiliare, possano essere limitati da quaranta a trentacinque miliardi. Trattandosi di cifre vicine ad un quinto del debito irlandese, si capisce che il dibattito sui fondi indisponibili in welfare e educazione è piuttosto vivace nella repubblica.