In Francia, la riforma delle pensioni voluta da Macron, che aveva scatenato la collera sociale e bloccato il Paese per settimane, aveva forse trovato un punto di equilibrio
Il direttore d'orchestra Michel Dietlin e i membri dell'orchestra dell'Opera di Parigi eseguono un concerto improvvisato all'aperto all'Opéra Garnier per protestare contro la proposta di riforma del Governo che influisce sullo status speciale dei musicisti statali a Parigi, Francia, 18 gennaio 2020. REUTERS/Charles Platiau
In Francia, la riforma delle pensioni voluta da Macron, che aveva scatenato la collera sociale e bloccato il Paese per settimane, aveva forse trovato un punto di equilibrio
Il direttore d’orchestra Michel Dietlin e i membri dell’orchestra dell’Opera di Parigi eseguono un concerto improvvisato all’aperto all’Opéra Garnier per protestare contro la proposta di riforma del Governo che influisce sullo status speciale dei musicisti statali a Parigi, Francia, 18 gennaio 2020. REUTERS/Charles Platiau
Lo stesso Presidente Emmanuel Macron l’ha definita come la “madre di tutte le riforme”, destinata a snellire un sistema pensionistico giudicato troppo complesso e costoso per le casse dello Stato. Eppure, il progetto elaborato dal Governo francese ha scoperchiato un vaso di Pandora liberando una collera sociale latente che per settimane ha bloccato tutta la Francia.
Una reazione prevedibile vista la portata della riforma, che va a mettere le mani in un intricato dedalo di categorie e regimi per semplificare un sistema diventato ormai insostenibile per il Paese. Secondo i dati Ocse, Parigi presenta una spesa pensionistica pari al 14 % del Pil, contro una media dell’8% tra i paesi membri dell’organizzazione.
Cominciata il 5 dicembre scorso su iniziativa dei sindacati, l’ondata di scioperi e contestazioni si è presto allargata a macchia d’olio in tutto il Paese battendo ogni record di durata. Una protesta eterogenea, che si è declinata in varie forme: dalle ballerine dell’Opéra che hanno manifestato in punta di piedi sulle note del Lago dei Cigni di Čajkovskij, alle toghe lanciate dagli avvocati nelle aule di tribunali, passando per i black out provocati in varie parti del Paese da militanti sindacali che hanno costretto al buio interi comuni.
Per più di un mese gli scioperi delle ferrovie hanno lasciato a piedi migliaia di francesi mettendo a rischio gli spostamenti previsti nel periodo natalizio, mentre nella capitale la chiusura forzata della metropolitana ha reso la vita impossibile ai parigini, costretti a tirar fuori dalle cantine biciclette e monopattini pur di riuscire a raggiungere il posto di lavoro ogni mattina. Una lotta trasversale, in cui persino le raffinerie, i porti e le scuole sono rimasti bloccati, in un clima di tensione sociale che ha visto tornare sulla scena anche i gilet gialli.
A orchestrare la mobilitazione ci hanno pensato i sindacati che, seppur con obiettivi differenti, in un primo tempo sono scesi fianco a fianco nelle strade formando un unico fronte contro il Governo. Da una parte le sigle più oltranziste come la Cgt (Confederation générale du travail) e Force Ouvrière, che richiedevano a gran voce il ritiro in blocco del testo, dall’altra i riformisti capitanati dalla Cfdt (Conféderation française démocratique du travail), favorevoli alla creazione del sistema universale ma contrari alla “età di equilibrio”, una misura inizialmente contenuta nel progetto che alzava la soglia massima per ottenere la pensione piena a 64 anni, due in più rispetto a oggi.
Una manna per le organizzazioni, che dopo essere rimaste in disparte durante le proteste dei gilet gialli hanno ritrovato nuova linfa in una lotta che ha riscontrato un forte sostegno anche nell’opinione pubblica. “I Francesi sulla riforma hanno una visione ambivalente. Vedono che ci sono degli aspetti positivi, ma si accorgono anche di quelli negativi”, spiega Michel Wieviorka, sociologo e presidente della Fondation Maison des Sciences de l’Homme (FMSH) di Parigi. “Inoltre la popolazione si rende conto del fatto che il progetto è stato preparato e negoziato male, con una parte degli attori sindacali rimasti fuori dalle trattative”, afferma l’esperto, secondo il quale oggi c’è chiaramente “una crisi di fiducia tra il potere politico e la popolazione”.
Al centro della contestazione alcune misure contenute nel testo, che dovrebbe entrare in vigore nel 2025 per essere applicato a tutto colori nati a partire dal 1975, mentre per la generazione del 2004 comincerà fin dal primo giorno di lavoro. Il provvedimento principale riguarda la creazione di un “sistema universale a punti”, che andrà a sostituire i 42 regimi speciali attualmente in vigore, all’interno dei quali sono incluse varie categorie, come i marinai, i poliziotti, i portuali, i dipendenti della Banca di Francia e quelli della Sncf (Société nationale des chemins de fer), le ferrovie nazionali. Un totale di 700mila pensionati (4% del totale) nel 2016 secondo i dati del Ministero della Salute e della Solidarietà.
Ognuna di queste casse ha un trattamento specifico e in molti casi è prevista una pensione anticipata. Ad esempio, il finanziamento del regime per i lavoratori della Sncf, azienda pubblica del trasporto ferroviario, nel 2017 è costato allo Stato 3,3 miliardi di euro e ad oggi permette ai dipendenti di andare in pensione a una media 56,9 anni. Stessa sorte per i lavoratori della Ratp, società che gestisce il trasporto pubblico a Parigi, dove l’età media è di 55,7 anni. L’obiettivo è quello di portare tutti i regimi allo stesso livello, con la promessa che un “euro versato darà gli stessi diritti a tutti”. L’attuale calcolo basato sui trimestri lavorati verrà rimpiazzato da un sistema a punti ottenuti in base alle ore lavorate e indicizzati sugli stipendi.
“Ogni regime speciale è il risultato di una storia particolare, fatta di lotte e mobilitazioni. Per questo è necessario esaminarli uno per uno e non come un blocco unico”, afferma Wieviorka. “Alcuni di loro una volta avevano un senso che oggi hanno perso. Le condizioni di lavoro e il funzionamento di aziende come la Sncf e la Ratp sono cambiati molto nel corso degli anni. In questi casi i regimi pensionistici hanno un costo per la collettività perché necessitano di un finanziamento, e sono percepiti come sistemi ingiusti dalla società. Tuttavia, ci sono altri regimi che devono essere protetti, come i poliziotti, i vigili del fuoco e gli avvocati. Questo il Governo lo sa bene”, spiega Wieviorka. Proprio in quest’ottica l’esecutivo ha fatto delle concessioni ad alcune categorie come il personale viaggiante del trasporto aereo, il corpo di ballo dell’Opéra di Parigi e la polizia. Una mossa che ha reso meno “universale” il progetto, nel tentativo di gettare acqua sul fuoco della protesta.
Tuttavia, sebbene imponente, il muro eretto da sindacati e opposizioni per bloccare l’avanzata del progetto poggiava su fondamenta deboli. Al Primo Ministro Edouard Philippe è bastato togliere uno dei pilastri portanti, quello sull’età di equilibrio, per far crollare una parte della protesta, che è andata progressivamente scemando perdendo lo slancio iniziale.
Ritirando provvisoriamente la misura dal progetto a metà gennaio, il Governo ha accontentato le richieste della Cfdt, che ha proposto come alternativa una “conferenza di finanziamento delle pensioni”: un’iniziativa volta a riunire le parti sociali per trovare i mezzi economici necessari a coprire il sistema pensionistico arrivando a risparmiare 12 miliardi di euro entro il 2027, la stessa somma che avrebbe portato l’età di equilibrio. Un gesto di apertura significativo da parte del premier, che in questo modo è riuscito a fare breccia nel fronte sindacale, portando al tavolo delle trattative la prima sigla nazionale per numero di iscritti.
Tuttavia, per le organizzazioni non si tratta di un assegno in bianco. “Le misure destinate a ristabilire l’equilibrio non dovranno condurre a un abbassamento delle pensioni per preservare il potere di acquisto dei pensionati, né ad un aumento del costo del lavoro per garantire la competitività della nostra economia”, si legge nel messaggio inviato da Philippe ai sindacati. In altre parole, il Governo ha messo dei paletti ben precisi all’interno dei quali sarà necessario trovare una soluzione prima della fine di aprile, prima del voto in Parlamento che dovrebbe arrivare entro l’estate. In caso contrario, Philippe ha promesso che verranno prese a colpi di decreto legge “le misure necessarie per raggiungere l’equilibrio”.
Per Macron quella sulle pensioni è una riforma cruciale in vista delle prossime elezioni presidenziali del 2022. Portando a termine il progetto più importante della seconda fase del suo mandato, il capo dello Stato punta a confermare la sua capacità di riformatore, ma al tempo stesso rischia di soffiare sul malumore dei francesi, alimentando il clima di sfiducia nei suoi confronti. Nei prossimi mesi il Presidente continuerà ad avanzare nel tentativo di mantenere quello stesso equilibrio cercato all’interno della riforma e forse non ancora trovato.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
In Francia, la riforma delle pensioni voluta da Macron, che aveva scatenato la collera sociale e bloccato il Paese per settimane, aveva forse trovato un punto di equilibrio
Il direttore d’orchestra Michel Dietlin e i membri dell’orchestra dell’Opera di Parigi eseguono un concerto improvvisato all’aperto all’Opéra Garnier per protestare contro la proposta di riforma del Governo che influisce sullo status speciale dei musicisti statali a Parigi, Francia, 18 gennaio 2020. REUTERS/Charles Platiau
Lo stesso Presidente Emmanuel Macron l’ha definita come la “madre di tutte le riforme”, destinata a snellire un sistema pensionistico giudicato troppo complesso e costoso per le casse dello Stato. Eppure, il progetto elaborato dal Governo francese ha scoperchiato un vaso di Pandora liberando una collera sociale latente che per settimane ha bloccato tutta la Francia.
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