Macron si è impegnato da tempo a intervenire in caso di uso di armi chimiche in Siria. E dopo essersi ritagliato un ruolo in medio oriente, non vuole tirarsi indietro. La via verso la sua prima guerra – in coppia con Trump – è lastricata di incognite militari e politiche. E di opportunità
Parigi – Una linea rossa per delimitare il confine dell’intervento armato, da oltrepassare nel caso in cui venga appurato l’utilizzo di armi chimiche da parte del regime di Assad. Questo lo spauracchio agitato negli ultimi mesi dal presidente Macron, che si ritrova a dover mantenere fede agli impegni promessi dopo l’attacco con agenti tossici avvenuto a Douma il 7 aprile e costato la vita a più di 70 persone. Mentre gli Stati Uniti di Donald Trump sembrano essere ormai pronti a lanciare un attacco in Siria, resta ancora da accertare l’utilizzo di sostanze chimiche da parte di Damasco.
«Nei prossimi giorni annunceremo la nostra decisione» ha detto il leader francese martedì sera, in una conferenza stampa congiunta con il principe saudita Mohammad bin Salman, sbarcato a Parigi per una visita di due giorni. Macron ha dichiarato che «continuano gli scambi di informazioni tecniche» con i partner internazionali, soprattutto «britannici e americani», con il fine di determinare l’esatto contesto in cui è avvenuto l’attacco.
Nel caso di un’eventuale operazione militare, l’obiettivo sarà colpire esclusivamente le “capacità chimiche” del presidente siriano Bashar al Assad, evitando qualsiasi tensione con i principali alleati della Siria: Mosca e Teheran. Consapevole dei rischi che un intervento potrebbe causare nel contesto regionale, Macron ha sottolineato l’importanza di evitare una escalation di violenza nella zona.
Una linea chiara ma prudente, dettata dal bisogno di mantenere una posizione decisa nei confronti di Damasco e, al tempo stesso, evitare una degenerazione della crisi. Alle minacce lanciate via Twitter dal presidente statunitense Donald Trump, il Cremlino ha risposto ricordando la “situazione già fragile” della zona. A questo si aggiunge la difficoltà nell’individuare gli obiettivi indicati da Macron e il conseguente pericolo di andare a colpire altri siti.
La dottrina della linea rossa evocata a più riprese da Macron è ormai diventata l‘emblema degli avvertimenti lanciati dall’occidente. Un punto di non ritorno, una minaccia diplomatica che fino ad oggi non sembra aver impensierito l’interlocutore mediorientale.
Il concetto di linea rossa era già stato usato nel 2012 dall’allora presidente statunitense Barack Obama. Per mediare all’interno del Partito democratico, Obama fissò questo confine, promettendo che una volta superato ci sarebbero state delle “conseguenze enormi”. L’anno successivo, in seguito ai bombardamenti nel Ghouta con il gas Sarin che fecero più di 1400 morti, Washington fu sul punto di lanciare un’offensiva insieme a Londra e a Parigi contro la Siria, per poi ripensarci all’ultimo momento.
Una scelta che è stata più volte rivendicata con orgoglio da Obama, anche se molti osservatori l’hanno commentata negativamente accusando l’ex presidente di aver lasciato un ampio margine di manovra alla Russia. L‘inversione di marcia americana bloccò il premier britannico Cameron e gettò il presidente francese Hollande in un isolazionismo che gli costò molto caro sul piano internazionale.
Sebbene la situazione attuale sia nettamente differente rispetto a quella di cinque anni fa, Macron non vuole correre rischi e preferisce agire nel quadro di un contesto multilaterale. Una posizione dettata soprattutto dagli evidenti limiti della Francia nel dossier siriano, ad oggi dominato dalle tensioni tra Washington e Mosca.
Il veto posto dalla Russia al Consiglio di sicurezza dell’Onu non permette un intervento condotto sotto la bandiera delle Nazioni unite, per questo è ancora da vedere quali attori potrebbero scendere in campo e con quali modalità. «Se l’alleanza con i nostri partner lo esige, risponderemo presente» ha detto il principe saudita bin Salman martedì sera a Parigi, dando la disponibilità del suo Paese.
Tuttavia, Macron non vuole tornare sui suoi passi. In Siria il leader francese si gioca la sua credibilità internazionale al fianco dei principali attori impegnati nella crisi. Sulla questione mediorientale, il capo dell’Eliseo è riuscito a ritagliarsi un suo spazio attraverso un’intensa attività diplomatica, fatta di incontri e colloqui con i diversi rappresentanti regionali.
Un’implicazione militare della Francia rappresenterebbe un passo in avanti rispetto a quanto fatto da François Hollande. «Quando fissi delle linee rosse, se non sai farle rispettare allora decidi di essere debole» diceva Macron al Figaro lo scorso giugno. Scendere in campo al fianco degli Stati Uniti permetterebbe inoltre al presidente francese di rafforzare i rapporti con il suo omologo statunitense, con il quale si è ormai instaurata una buona intesa diplomatica. Nell’ultima settimana i due leader si sono sentiti al telefono due volte e il 24 aprile Macron sarà a Washington per il suo primo viaggio da capo di Stato.
Resta poi da determinare le modalità con cui la Francia attuerebbe la sua offensiva. L’opzione aerea riguarda i caccia Rafale equipaggiati con missili Scalp, che potrebbero decollare dalle basi in Giordania o negli Emirati Arabi Uniti. L’ipotesi di un coinvolgimento della marina francese, invece, vedrebbe l’utilizzo della fregata Aquitaine, attualmente posizionata nel Mediterraneo orientale e pronta a colpire da acque internazionali.
Macron si prepara così a far entrare la Francia nel primo conflitto del suo mandato. La determinazione mostrata su questo tema potrebbe portare Parigi a svolgere un ruolo di primo piano nel conflitto.
@DaniloCeccarell
Macron si è impegnato da tempo a intervenire in caso di uso di armi chimiche in Siria. E dopo essersi ritagliato un ruolo in medio oriente, non vuole tirarsi indietro. La via verso la sua prima guerra – in coppia con Trump – è lastricata di incognite militari e politiche. E di opportunità