Macron spezza l’imbarazzante immobilismo dell’occidente schierandosi a fianco dei curdi siriani. La sua proposta di mediazione è respinta con fermezza da Ankara. L’attivismo diplomatico dell’Eliseo punta a sostituire la carente leadership Usa in Siria. Ma non è privo di rischi
Parigi – Un sostegno politico e diplomatico, ma non militare. Questa in sostanza l’offerta messa sul tavolo dell’Eliseo lo scorso giovedì dal presidente Macron durante un incontro con una delegazione delle Forze democratiche siriane (Fds), coalizione arabo-curda formata da militanti dell’Ypg e rappresentanti della società civile.
Parigi ha proposto la sua mediazione nel conflitto che da diverse settimane vede l’esercito turco impegnato contro le milizie curde nel nord della Siria con l’operazione Ramoscello d’ulivo. Un gesto di distensione non apprezzato da Ankara, che ha immediatamente respinto la proposta.
La Francia rompe così l’immobilismo della comunità internazionale nei confronti dei curdi siriani, compiendo un timido passo verso il dialogo tra le parti. Dopo aver combattuto i terroristi dell’Isis contribuendo in maniera significativa alla loro ritirata, le milizie curde dell’Ypg hanno subito l’attacco delle forze di Ankara, senza ricevere il benché minimo aiuto dagli alleati occidentali. Per la Turchia questo gruppo è una costola del Pkk, organizzazione politico-militare considerata come terroristica dal governo centrale.
Macron ha dato tutto il suo sostegno ai rappresentanti della Fds, senza però precisare i contorni dell’impegno francese. Una posizione forse male interpretata dai membri della delegazione curda, che al termine del colloquio hanno annunciato l’invio di forze militari francesi sul posto.
«Il presidente Macron ci ha confermato il sostegno politico e militare della Francia in un momento critico» ha dichiarato a Le Monde Redur Khalil, uno dei componenti della delegazione ricevuta dal presidente, secondo il quale «La Francia rafforzerà la sua presenza militare a Manbij per mettere al sicuro l’insieme delle regioni protette dalla Fds». La cittadina situata nel nord della Siria è entrata nel mirino dell’esercito turco dopo la presa di Afrin, avvenuta lo scorso 19 ottobre.
Parole smentite poche ore dopo dall’Eliseo, secondo il quale “La Francia non prevede nessuna nuova operazione militare sul campo nel nord della Siria al di fuori della coalizione internazionale anti-Isis”. Per Parigi la priorità resta la lotta contro la minaccia terroristica dello Stato Islamico, ancora molto forte nella regione.
Una precisazione che non è bastata a calmare gli animi ad Ankara, dove il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha mal digerito la mossa del suo omologo francese. «Voi potete sedervi ad un tavolo con un’organizzazione terroristica, ma la Turchia la combatte come ha fatto ad Afrin» ha tuonato Erdogan, ricordando che il suo Paese «non ha bisogno di mediatori». Il leader turco ha poi lanciato la sua minaccia alla Francia e a tutto il mondo occidentale, affermando che «prima o poi capiranno il loro errore».
Una doccia fredda arrivata in un momento in cui le relazioni tra i due Paesi sembravano essersi normalizzate, soprattutto dopo la recente visita del presidente turco a Parigi.
La politica estera di Macron continua sulla linea caratterizzata da un espansionismo diplomatico volto al dialogo e al confronto. Ricevendo un gruppo di rappresentanti curdi a Parigi, il presidente francese ha mosso la sua prima pedina nel delicato scacchiere mediorientale. L’obiettivo è quello di riuscire a fare entrare nel dossier siriano anche la Francia, che fino ad oggi ha ricoperto un ruolo marginale.
L’interesse di Parigi verso la questione curda spezza l’imbarazzante silenzio del mondo occidentale che in queste ultime settimane si stava facendo sempre più pesante, aprendo uno spiraglio su un impegno più concreto da parte degli alleati delle forze curde. Come già fatto per i dossier riguardanti la Libia, il Sahel e il Libano, Macron è intenzionato ad assumere la leadership del blocco occidentale, riconsegnando alla Francia un ruolo di primo piano nello scenario internazionale. Il rischio è quello di ritrovarsi solo, senza l’appoggio degli alleati, schiacciato dalle potenze regionali all’interno di un gioco che potrebbe rivelarsi pericoloso per Parigi.
Per riuscire nel suo progetto, l’Eliseo farà leva sulla lotta allo Stato islamico, nemico comune di tutti gli attori in gioco nell’area. Con i curdi impegnati a contenere l‘offensiva turca, le milizie islamiste potrebbero riguadagnare terreno, tornando ad occupare alcune zone. Secondo il dipartimento di Stato americano, infatti, l’iniziativa militare turca “ha offerto una finestra all’Isis per cominciare a riformarsi in certi settori”.
In questo gioco di equilibri, il presidente francese punta sul vuoto che nei prossimi mesi potrebbe lasciare il suo omologo statunitense, Donald Trump. «Usciremo dalla Siria molto presto, lasciamo che siano gli altri ad occuparsene ora» ha detto il capo della Casa Bianca durante un suo intervento in Ohio. Il Pentagono, però, non sembra essere della stessa opinione, visto che ha più volte ribadito l’impegno di Washington nella regione. Lo stesso Rex Tillerson, poco prima di essere destituito dal suo incarico di segretario di Stato, ha ribadito che «Gli Stati Uniti manterranno una presenza militare in Siria» contro l’Isis.
Intanto, cresce la tensione per le sorti di Manbij. Ankara è intenzionata a far avanzare i suoi uomini fino al piccolo centro situato nel nord della Siria, poco prima del confine con la Turchia, dove sono presenti anche le truppe statunitensi.
«Abbiamo messo una virgola, dobbiamo mettere il punto finale» ha detto Erdogan, promettendo di continuare «fino alla distruzione finale di questo corridoio di terrore». Un piano che potrebbe subire delle modifiche nel caso in cui Parigi entrasse militarmente all’interno dello scenario regionale.
@DaniloCeccarell
Macron spezza l’imbarazzante immobilismo dell’occidente schierandosi a fianco dei curdi siriani. La sua proposta di mediazione è respinta con fermezza da Ankara. L’attivismo diplomatico dell’Eliseo punta a sostituire la carente leadership Usa in Siria. Ma non è privo di rischi