Cosa succederebbe se tutti i mini partiti locali indiani si coalizzassero formando un terzo polo alternativo al Congress e al Bjp? Sarebbe probabilmente il caos più totale, non molto distante dalla situazione attuale della politica indiana.

Facciamo un breve preambolo su come funziona in India l’aritmetica delle elezioni.
Nelle ultime tornate elettorali si è verificato un fenomeno estremamente interessante: i due storici partiti panindiani – nel senso che erano rappresentati in modo significativo in ogni stato – del Congress e del Bjp hanno visto progressivamente rosicchiarsi il proprio consenso locale da una serie di partiti locali. Questi “partitini” portano avanti istanze molto circoscritte alle questioni del proprio elettorato di riferimento: si va dai partiti regionali – un po’ come la nostra Lega Nord – a quelli di stampo castale, religioso (ad esempio i partiti sikh in Punjab) ed etnico (dravidici nell’India del sud).
La frammentazione del voto su base nazionale ha portato a due conseguenze.
La prima, uno sbilanciamento tra il potere centrale di Delhi – dove si riuniscono parlamentari di tutta l’India – e quello periferico dei parlamentini statali. Detto fuori dai denti, i governi locali tendono a fare un po’ come gli pare, senza tener conto delle conseguenze delle proprie azioni a livello nazionale – gestione dei bacini idrici, sovvenzioni sui beni di prima necessità, opposizione anche violenta alle delibere provenienti da Delhi… – e trovandosi spesso obbligati per via legale, con l’intervento della Corte suprema, ad implementare misure percepite dalla popolazione locale come “impopolari”.
La seconda, quando tutti questi deputati locali si siedono al parlamento centrale a Delhi, ognuno tirando l’acqua al proprio mulino statale, la macchina democratica indiana si inceppa: non si trovano convergenze, le sedute parlamentari vengono sospese continuamente, si sforano i tempi decisionali e si rimane immobili. Mentre i problemi indiani continuano ad aggravarsi e il resto del mondo – specie la Cina, avvantaggiata dall’assenza di dibattito prima di prendere delle decisioni – continua a correre.
Il peso specifico sempre più ingente di queste formazioni locali ha spinto Congress e Bjp, specie in periodo pre-elettorale, ad aprire il mercato delle vacche: cucire alleanze effimere e temporanee per far quadrare il computo dei seggi necessari a vincere le elezioni nazionali, promettendo cariche governative, destinazione di fondi straordinari, tagli alle tasse nazionali e legislazioni favorevoli ai partitini locali, pronti ad assicurare la propria fedeltà e il proprio pacchetto di voti al miglior offerente.
Chiaramente, i diminutivi sono in rapporto alle misure indiane. Uno di questi partitini, il Samajwadi Party (Sp), esiste “solo” in Uttar Pradesh, uno dei 29 stati dell’Unione indiana, ma il primo per popolazione (200 milioni di persone, suppergiù). Il Sp governa l’Uttar Pradesh a maggioranza assoluta. Lo stesso si può dire del Trinamool Party in Bengala, del Biju Janata Party in Orissa, del Shiromani Akali Dal in Punjab e si potrebbe andare avanti ancora per almeno un’altra decina di stati indiani.
Ora, nel 2014 ci saranno le elezioni nazionali e, regola vuole, le vincerà o il Bjp o il Congress. È – quasi – sempre stato così. Tutti si aspettano quindi che i due grandi partiti vadano a pescare dal gruppo di cui sopra, una serie di partiti “freelance” sciolti dall’obbligo teorico di far fede a posizioni ideologiche – tipo “sinistra” e “destra” – curandosi esclusivamente degli affari locali.
Ma proprio oggi si è prefigurata un’opzione inedita: 17 partiti locali si sono riuniti in un summit chiamato dal chief minister del Bihar, Nitish Kumar, che ha esortato le formazioni politiche “democratiche” ad unirsi contro il “fascismo” di Narendra Modi, che assieme al resto del Bp sta portando avanti una campagna elettorale spiccatamente divisiva. Il calderone del terzo polo comprende anche i comunisti (marxisti), che con Prakash Karat hanno spiegato benissimo di cosa si stia parlando in questi giorni:
Narendra Modi dice di essere un nazionalista hindu. Noi non possiamo avere [come primo ministro] un nazionalista hindu, musulmano o sikh. Vogliamo un nazionalista secolare.
L’ipotesi – o più probabilmente il bluff – sarebbe presentarsi alle nazionali come una terza via alternativa ai “fascisti” del Bjp e all’amministrazione deleteria del Congress. Una novità che farebbe saltare il banco aprendo scenari “di larghe intese” – creatura simile al mostro di Frankenstein formata da parti politiche spesso inconciliabili sul piano nazionale – necessari per scongiurare il rischio di far cadere Delhi nelle mani dei nazionalisti.
Il che la dice lunga sulla considerazione che il paese ha del Congress – che ancora non ha scelto un candidato primo ministro – e soprattutto su come la vittoria di Modi, osannato come l’uomo della provvidenza da una parte della middle class e dai conservatori hindu, per il resto del paese – la stragrande maggioranza – rimanga un pericolo per la democrazia.
Cosa succederebbe se tutti i mini partiti locali indiani si coalizzassero formando un terzo polo alternativo al Congress e al Bjp? Sarebbe probabilmente il caos più totale, non molto distante dalla situazione attuale della politica indiana.