Mercenari serbi, kosovari e albanesi spuntano ovunque ci sia da combattere una guerra cruenta.
Combattenti esperti, veterani di 7 conflitti armati nei Balcani tra il 1991 e il 2001 – a seconda di come si contano – prestano ora servizio come mercenari in tutto il Medio Oriente.
Secondo l’International Centre for Studies of Radicalism, circa il 6% dei combattenti stranieri in Iraq e in Siria provengono dai Balcani. L’ipotesi più accreditata è che la maggior parte partecipi alle guerre in corso per motivi più economici che religiosi.
Si tratta di un serio problema di sicurezza nei Balcani, e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, gli USA e le altre potenze occidentali hanno lanciato l’allarme nell’agosto 2014, denunciando un forte incremento del numero di combattenti balcanici impegnati in conflitti armati, soprattutto in Medio Oriente.
Le Nazioni Unite hanno chiesto ai governi balcanici di prendere misure per contrastare il fenomeno del reclutamento di mercenari nei loro paesi. In risposta, molti paesi hanno introdotto nel loro codice penale modifiche che vietano l’arruolamento in unità militari straniere.
Oggi, in Serbia, Albania, Macedonia, Kosovo e Bosnia-Erzegovina qualsiasi cittadino che si arruolasse come mercenario rischierebbe dai 5 ai 15 anni di prigione.
Queste nuove leggi prevedono anche clausole di salvaguardia per permettere agli eserciti regolari di partecipare alle missioni multilaterali di pace della Nato o delle Nazioni Unite, o a conflitti armati regolati da accordi bilaterali di difesa.
Il primo processo contro combattenti mercenari si è svolto ad agosto 2014 in Kosovo, seguito a settembre da un altro procedimento nella Bosnia-Erzegovina.
In Kosovo, 41 persone sono state arrestate e in seguito 57 accusate di aver preso parte ai conflitti in Siria e in Iraq. Cinque hanno ammesso di aver visitato la Siria ma hanno negato qualsiasi coinvolgimento nei combattimenti. Altri hanno negato di appartenere a gruppi terroristici come l’ISIS.
Un’unità antiterrorismo della polizia kosovara ha arrestato 15 persone nell’ambito di un’operazione contro il reclutamento di mercenari, tra cui 12 imam di alcune moschee del paese, sospettati di essere implicati nell’invio di combattenti in Siria, a quanto pare attraverso la Turchia.
A chiarire le idee ai mussulmani kosovari ci ha pensato anche il presidente della Falcoltà di Studi Islamici di Pristina, capitale del Kosovo, dichiarando ai giornalisti che “la guerra in Siria non è una guerra santa”, una presa di posizione condivisa anche dal Rais Ul-Ulema Sulejman efendi Rexhep, leader della comunità islamica in Macedonia.
La disoccupazione dilagante è considerata un fattore chiave nel successo dei reclutatori, anche se molti combattenti subiscono il fascino della propaganda orchestrata dalle organizzazioni e dai movimenti religiosi attivi nei loro paesi.
Il problema è emerso anche in occasione del ritorno delle salme dei combattenti uccisi in guerra – 4 in Macedonia, 16 in Kosovo e 5 in Albania. A parte questi casi sporadici, non sembrano esserci dati ufficiali riguardo al numero complessivo di mercenari balcanici uccisi nei combattimenti in Medio Oriente.
Nel complesso, la vicinanza all’Islam non è un sentimento grandemente diffuso nei Balcani, raggiunti dalla parola del Profeta durante la dominazione turco-ottomana. L’Albania ad esempio, in cui la maggioranza della popolazione è di fede musulmana, è da molti considerata la nazione più filo americana dell’area.
Tuttavia, la crescente esportazione di mercenari balcanici non si limita all’Iraq e alla Siria. E’ risaputo che un’unità di mercenari serbi aveva affiancato le forze del colonnello Gheddafi in Libia durante la guerra civile scoppiata nel 2011. A quanto pare, la stessa unita è ora impegnata in Siria al soldo del presidente Bashar al-Assad.
Combattenti serbi sono presenti anche nell’est dell’Ucraina a fianco dei separatisti filo russi. Secondo fonti dell’intelligence, 46 serbi sono andati a ingrossare le fila della “milizia popolare” della cosiddetta Nuova Repubblica Russa impegnata nei combattimenti intorno a Luhansk.
Il conflitto in Ucraina sta calamitando elementi delle opposte forze in campo nelle passate guerre balcaniche: soldati albanesi e serbi si affrontano di nuovo dopo 15 anni, i primi nell’esercito ucraino contro i separatisti russi e i secondi tra le fila dei separatisti contro le forze governative ucraine.
Il dato certo è che questi soldati sono in larga parte mercenari mossi dalle opportunità di guadagno e poco interessati a considerazioni religiose o ideologiche.
Se questo è vero, il problema va oltre i conflitti nei quali questi “soldati di ventura” sono coinvolti, e dal punto di vista dei loro paesi di origine, si aggraverà nel momento in cui una pace raggiunta li lascerà senza lavoro.
Immaginiamo, in altre parole, che i combattenti balcanici tornino a casa mercenari incalliti ma con le tasche vuote, più esperti di combattimento e distruzione che di come condurre una vita civile in tempo di pace, e cosa ancora più inquietante, con allarmanti contatti ben consolidati a livello globale …
Mercenari serbi, kosovari e albanesi spuntano ovunque ci sia da combattere una guerra cruenta.