Puntuale come il destino, venerdì scorso, è arrivato il prevedibile ripensamento del dittatore del Gambia, Yahya Jammeh, che ha rigettato il risultato delle elezioni del primo dicembre. All’indomani del voto, l’ex uomo forte di Banjul aveva riconosciuto la sconfitta elettorale congratulandosi con l’avversario, il candidato del partito di opposizione (UDP) Adama Barrow, e dichiarando di essere pronto a far ritorno al villaggio natio per dedicarsi alla sua fattoria.
Poi, lo scorso 9 dicembre, mentre la popolazione era ancora esultante per la fine di 22 anni di dittatura e speranzosa nell’inizio di una nuova era per il Gambia, Jammeh ha pronunciato un discorso alla televisione di stato nel quale ha rigettato i risultati della Commissione elettorale, giudicandola rea di aver tradito la sua fiducia per aver viziato il voto con “errori inaccettabili”.
Inoltre, il ‘Nerone d’Africa’ ha messo nel contenzioso anche l’esile distacco con cui Barrow si è aggiudicato la vittoria. Inizialmente, sembrava che l’imprenditore avesse ottenuto 50mila voti in più del suo avversario, poi dopo vari riconteggi lo scarto tra i due contendenti si è ridotto a meno di 20mila preferenze.
Dunque, Jammeh vuole tornare alle urne e nel frattempo ha tentato di assicurarsi la fedeltà dei militari promuovendo 250 ufficiali dell’esercito, dilaniato da tempo da rivalità interne. In questo senso, l’attenzione si concentra sul capo delle Forze armate, il generale Ousman Badije che, nonostante sia stato indicato da un portavoce di Barrow come un sostenitore del presidente eletto, è considerato un fedelissimo di Jammeh.
Badije ha comunque fugato ogni dubbio presentandosi con una spilla di Jammeh sull’uniforme ai colloqui con i leader della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), per trovare una soluzione alla crisi politica. Nondimeno, martedì scorso, ha dichiarato alla Reuters di sostenere il comandante in capo Jammeh.
Un sostegno che ha consentito al dittatore di far presidiare da unità scelte gli snodi nevralgici della capitale Banjul, dove, secondo le testimonianze riportate dai media africani, regna la classica calma che precede la tempesta.
Le reazioni di biasimo al voltafaccia di Jammeh sono state unanimi, a cominciare dal Senegal, all’interno del quale il Gambia forma virtualmente una enclave. Il ministro degli Esteri senegalese, Mankeur Ndiaye, ha dichiarato in una nota ufficiale che “il presidente uscente deve rispettare senza condizioni la scelta democratica liberamente espressa dal popolo gambiano e garantire la sicurezza e l’integrità fisica del presidente appena eletto”.
Il capo della diplomazia di Dakar ha rivolto anche un appello alla collaborazione per far rispettare i risultati dello scrutinio presidenziale del primo dicembre all’Unione Africana, all’ECOWAS e all’ONU, che hanno raccolto l’invito di Ndyae condannando unanimemente la condotta di Jammeh.
Anche gli Stati Uniti chiedono il rispetto del risultato elettorale, mentre Adama Barrow continua a dichiararsi “il presidente democraticamente eletto della Repubblica del Gambia”, esortando Jammeh a rispettare la volontà popolare, dando seguito al processo di transizione del potere.
Come risposta, il dittatore ha annunciato di voler ricorrere alla Corte suprema per invalidare il risultato delle presidenziali del primo dicembre. Tuttavia, dopo che nel giugno dello scorso anno Jammeh ha licenziato due dei sette giudici, la Corte al momento non è insediata e non può quindi pronunciarsi. Nel frattempo, da tre giorni, le forze di sicurezza hanno preso il controllo della sede della Commissione elettorale indipendente di Banjul.
L’operato di Jammeh rischia ora d’infiammare la contrapposizione politica nel Paese africano, dove martedì è giunta una delegazione dell’ECOWAS guidata dal presidente liberiano e premio Nobel per la pace, Ellen Johnson Sirleaf, per mediare tra le parti ed evitare un’escalation della crisi.
Il presidente dell’Ecowas, Marcel de Souza, in un’intervista rilasciata all’emittente francese Rfi, ha affermato che “nessuno può mettere in dubbio la volontà del popolo che si è espresso. Adama Barrow è il presidente eletto, punto”. Il diplomatico non ha escluso l’ipotesi di un intervento militare in Gambia nel caso in cui la situazione nel Paese dovesse degenerare, ma ha tuttavia precisato che un’eventuale decisione spetterebbe ai capi di Stato e di governo dei Paesi Ecowas, che si riuniranno domani in Nigeria.
La maggior parte degli analisti ritengono che il ripensamento di Jammeh sia la conseguenza di alcune dichiarazioni rese da membri dell’opposizione, che avrebbero chiesto di processare il dittatore per gli abusi commessi durante i suoi 22 anni di presidenza. Da evidenziare, che alla fine di ottobre, Jammeh aveva annunciato il ritiro del Gambia dalla Corte penale internazionale (CPI).
In tal senso, Jammeh starebbe quindi alzando la posta in gioco, per ottenere dall’ECOWAS garanzie sulla sua immunità, come controparte della sua uscita di scena. E se non altro, un primo risultato l’ha ottenuto, quello di riunire i leader dell’organizzazione regionale africana intorno a un tavolo per negoziare con lui.
Puntuale come il destino, venerdì scorso, è arrivato il prevedibile ripensamento del dittatore del Gambia, Yahya Jammeh, che ha rigettato il risultato delle elezioni del primo dicembre. All’indomani del voto, l’ex uomo forte di Banjul aveva riconosciuto la sconfitta elettorale congratulandosi con l’avversario, il candidato del partito di opposizione (UDP) Adama Barrow, e dichiarando di essere pronto a far ritorno al villaggio natio per dedicarsi alla sua fattoria.