Oggi in India è festa nazionale per il Gandhi Jayanti, il compleanno del Mahatma Gandhi. L’uomo simbolo della nonviolenza nasceva 144 anni fa e dal suo martirio è osannato a livello planetario come un santo. Non senza eccezioni.

L’enormità e la straordinaria influenza che Gandhi ha avuto e continua ad avere nella politica e nella società contemporanea credo siano due aspetti sui quali non si possa che concordare.
Riprendendo dalla tradizione hindu il concetto di ahimsa, tradotto letteralmente dal sanscrito come nonviolenza, Gandhi ha impresso sulla lotta per l’indipendenza dell’India un marchio di miracolosità della pace come arma di distruzione di massa delle iniquità, metodo nobile e di successo in grado di piegare il Male alla giusta volontà del Bene.
Dall’esperienza del 1947, o meglio, dal racconto ormai epico che viene fatto del movimento nonviolento indiano, attivisti e politici di mezzo mondo hanno raccolto spunti a piene mani, esportandolo negli Usa di Martin Luther King come nel Tibet del Dalai Lama.
Il fascino della nonviolenza – spesso affiancata al concetto di wu wei, non azione, del taoismo cinese, col sinolgo dentro di me che urla “non c’entra assoluatemente niente piantatela!” – ha la controdindicazione significativa di proiettare un’ombra di gloria sull’effettiva complessità della Storia, fatta di santi postumi ma anche di personaggi molto più prosaici e violenti, convinti che i diritti non solo debbano essere pretesi ma, a un certo punto, anche conquistati con la forza.
Le Black Panthers e Malcom X, i freedom fighter tibetani sostenuti dalla Cia ed eroi dell’indipendenza come Bhagat Singh (ricordato in India per l’anniversario della nascita una manciata di giorni fa) condividono lo stesso destino di comprimari, schiacciati dall’epopea della vittoria esclusiva del gandhismo e dei suoi eredi.
Anche per questo Gandhi nella stessa India vanta una serie di critici piuttosto agguerriti, a cominciare dai naxaliti e dagli intellettuali di sinistra fino ad arrivare all’estremismo dell’hindutva di destra, entrambi convinti che lo scontro fisico – i primi con l’establishment capitalista, i secondi con le minoranze musulmane – non solo sia inevitabile, ma anche giusto.
A loro si aggiungono, timidamente, alcuni gruppi femministi, che trovano limitante la concezione che Gandhi aveva delle donne come anime pure e religiose, negandone quindi un ruolo attivo, autonomo e produttivo nella società, assieme alla condotta autoritaria tenuta nei confronti della moglie, figura totalmente subalterna al carisma del marito; i critici all’esaltazione dell’economia rurale, opposta al progresso dell’industrializzazione che in quegli anni prendeva piede nei paesi asiatici mettendo le fondamenta per una crescita stabile.
Insomma, provando ad andare oltre all’aura di santità del Mahatma e cercando di sviscerare un po’ il pensiero e la vita dell’uomo Mohandas Karamchand Gandhi ci sono molti elementi che permettono interpretazioni opposte e che credo rafforzino la memoria di una delle personalità più importanti del secolo scorso.
Sulla figura di Gandhi si sono scritti chili e chili di pagine ma qui, avvantaggiati dal peso specifico nullo del web, vi consiglio di leggere un famosissimo pezzo di Christopher Hitchens, questa bella intervista allo storico Ramachandra Guha, che ha appena iniziato una mastodontica biografia di Gandhi in tre volumi, e infine questo elenco degli undici voti del Mahatma.
Se poi vi va, sotto i commenti sono aperti a tutti.
Oggi in India è festa nazionale per il Gandhi Jayanti, il compleanno del Mahatma Gandhi. L’uomo simbolo della nonviolenza nasceva 144 anni fa e dal suo martirio è osannato a livello planetario come un santo. Non senza eccezioni.