Gli Stati Uniti si sono impegnati a fornire 15 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto all’Unione europea nel 2022 per ridurre la dipendenza dalla Russia. Ma l’accordo potrebbe non essere realizzabile
Venerdì scorso gli Stati Uniti si sono impegnati, lavorando assieme ai loro “partner internazionali”, a fornire 15 miliardi di metri cubi di gas liquefatto all’Unione europea nel 2022. Servirà a mitigare la dipendenza energetica del blocco dalla Russia, e quindi a ridurre l’impatto economico e sociale di un’eventuale interruzione delle forniture di gas. Non basterà, tuttavia, a convincere Bruxelles ad allinearsi a Washington sulla messa al bando degli idrocarburi russi, che aumenterebbe di molto la pressione sul regime di Vladimir Putin.
Tre settimane fa l’America ha vietato gli acquisti di petrolio, gas e carbone dalla Russia, con l’obiettivo di privare il Cremlino di una fonte di entrate fondamentale. È una mossa che l’Europa non intende fare, perché non in grado di sostituire le importazioni di combustibile da Mosca: solo di gas naturale, ne acquista 155 miliardi di metri cubi all’anno, quasi il 40% sul totale proveniente dall’estero. Rinunciando ad agire, però, sta contribuendo indirettamente al finanziamento dell’invasione dell’Ucraina: ogni giorno i Paesi europei comprano gas, petrolio e carbone dalla Russia per 1 miliardo di euro circa.
L’accordo tra Washington e Bruxelles, al di là della sua importanza per i rapporti politici bilaterali, potrebbe non rivelarsi realizzabile nel concreto. Pur essendone i primi esportatori al mondo, infatti, gli Stati Uniti non possono, da soli, fornire tutto quel gas liquefatto all’Europa. Né, comunque, gli impianti sul territorio dell’Unione riuscirebbero a riceverne e a processarne grossi volumi aggiuntivi a causa di un deficit di capacità.
Quindici miliardi di metri cubi di gas equivalgono a 1,5 miliardi di piedi cubi al giorno; la capacità di liquefazione degli Stati Uniti ammonta suppergiù a 12,7 miliardi di piedi cubi al giorno. Ma i sette terminali di esportazione di cui il Paese dispone sono già prossimi alla saturazione, e nell’immediato non potranno spingersi molto più su. Entro la fine del 2022 dovrebbero entrare in servizio nuove unità di liquefazione, e ulteriori strutture sono attese negli anni seguenti; fino a quel momento, però, l’America non potrà aumentare l’offerta di gas liquefatto sul mercato. Gli altri produttori di peso come il Qatar vivono una situazione simile.
L’accordo, inoltre, potrebbe non realizzarsi anche per una ragione economica. Il Governo americano non può ordinare alle compagnie energetiche private di vendere il loro gas in Europa. Né le imprese devono rispondere alla Casa Bianca, ma ai loro azionisti. Questi ultimi potrebbero risentirsi e smettere di considerare gli Stati Uniti un paese affidabile dove fare business qualora la direzione politica imposta da Washington danneggiasse le entrate delle aziende e quindi la ripartizione dei dividendi. Le società gasifere vendono il loro combustibile dove c’è più convenienza e dove le possibilità di profitto sono maggiori: non è detto che quel “dove” sia l’Europa, perché i prezzi del gas sono generalmente più alti sul mercato dell’Asia nord-orientale, zona di grandi importatori come il Giappone e la Corea del Sud.
La crisi energetica europea, che ha fatto schizzare il valore del gas su livelli record, ha modificato gli equilibri del commercio di gas liquefatto: nei mesi scorsi diverse metaniere che puntavano all’Asia hanno cambiato rotta per dirigersi in Europa, attirate dal guadagno. Non è detto tuttavia che si tratti di una mutazione strutturale. Innanzitutto perché la domanda asiatica del passato inverno ha risentito delle temperature miti: ora però la regione deve prepararsi alla prossima stagione fredda, e l’aumento della sua richiesta farà salire i prezzi e forse innescare una competizione globale per le (limitate) forniture di gas liquefatto.
E poi perché l’Unione europea sta puntando molto sulla transizione ecologica, che implica un distacco dai combustibili fossili (come il gas) in favore delle fonti rinnovabili. Prima di impegnarsi nella costruzione di nuovi impianti di esportazione, le aziende americane vogliono garanzie sulla stabilità della domanda europea: un grosso terminale può costare anche 1 miliardo di dollari e, per entrare in funzione, deve passare per anni di autorizzazioni e lavori; le imprese non vogliono sostenere investimenti tanto grandi senza la certezza di un ritorno a lungo termine. Nell’accordo tra l’amministrazione Biden e la Commissione europea viene per l’appunto fatta una precisazione eloquente: cioè che Bruxelles e i membri dell’Unione lavoreranno per garantire una domanda di 50 miliardi di metri cubi all’anno di gas liquefatto americano almeno fino al 2030 “a condizione che i prezzi riflettano i fondamentali di mercato di lungo termine e la stabilità di offerta e domanda”.
Gli Stati Uniti si sono impegnati a fornire 15 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto all’Unione europea nel 2022 per ridurre la dipendenza dalla Russia. Ma l’accordo potrebbe non essere realizzabile