Tala S. è una ragazza liceale come tante: studia, esce con gli amici, costruisce pian piano il proprio futuro. Ma il suo nome, di evidente origine araba, lascia presagire una difficile eredità identitaria. Nonostante vada a scuola come qualsiasi altro suo coetaneo, è infatti il luogo in cui frequenta le lezioni a renderla una liceale fuori dal comune.
Tala frequenta il liceo americano di Gaza, nei Territori Palestinesi. Come la maggior parte dei suoi coetanei, vede la recente guerra a Gaza con occhi diversi rispetto all’opinione generale, quella dei “grandi”, che siano i grandi del mondo o semplicemente gli adulti di Gaza. E ci tiene a farsi portavoce di visioni fuori dal coro, che in fondo non sono altro che lo specchio di tutta la giovane generazione palestinese.
“La differenza tra la mia generazione e quella dei miei genitori è che si è finalmente passati dal ripetersi ‘Solo Dio può cambiare questa realtà di morte’ a ‘Siamo noi la speranza per cambiare questa realtà’ – spiega la giovane studentessa; “I giornalisti stranieri continuano ad intervistare adulti e anziani, facendo pensare che tra la gente di Gaza prevalga lo sconforto. E’ vero che sembra non esistere tregua al conflitto, vediamo solo morte, distruzione e rifugiati per le strade. Ma è anche vero che se non siamo noi stessi a sperare di poter cambiare le cose, a ribellarci – e non parlo in termini “violenti” – e a combattere con l’intelligenza contro le armi, lo status quo rimarrà perenne”.
I Territori Palestinesi, ed in particolar modo la Striscia di Gaza, vantano una delle popolazioni più giovani al mondo secondo dati ONU. Proprio per questo motivo la recente guerra ha colpito – fisicamente e psicologicamente – principalmente gli under 18, la fascia statisticamente più a rischio proprio perché così sviluppata; non solo bambini ma anche adolescenti, la futura generazione a cui toccherà a breve tenere sulle spalle il fardello del continuo conflitto israelo-palestinese, e la sua eventuale (anche se poco concreta) soluzione, ha un ruolo in primo piano all’interno del quadro.
Tra i giovani gazawi è sempre più diffusa la convinzione che non saranno certo gli attori politici o le lobby a fermare il conflitto, ma la cultura, l’istruzione, gli studenti di oggi, i consapevoli cittadini di domani.
Lo conferma la già fortissima immagine della ragazzina palestinese che dopo un raid aereo che ha distrutto la sua casa si precipita sui resti della propria abitazione per cercare di recuperare i libri di scuola. Almeno quelli. Nonostante si accorga di essere fotografata, continua imperterrita la ricerca, cercando di salvarne quanti più possibile. Una scena che ricorderebbe il film “Storia di una ladra di libri” paradossalmente ambientato nella Germania nazista ai tempi del genocidio del popolo ebraico.
La foto ha fatto il giro del mondo, diventando virale su Internet e social networks e immagine manifesto della nuova gioventù palestinese.
“Sono stanca di sentire mia madre ripetere: ‘Siamo un popolo già morto, perchè continuano ad ucciderci? – continua Tala – lei dice che i giovani stanno morendo psicologicamente: parlando con loro sembra di parlare con un settantenne senza aspettative né speranze. L’unica ambizione è avere almeno l’elettricità per due ore durante il giorno. Ma questo è ciò che pensano gli adulti, e probabilmente la comunità internazionale che a causa dei media ci dipinge come un popolo senza speranza. Ma loro ci hanno mai chiesto cosa pensiamo? Ci hanno mai messo alla prova? Una speranza l’abbiamo eccome, ed è la nostra educazione. Avremmo fatto tutti come la ragazzina della foto, ormai nostro idolo perchè sembra essere l’unica immagine sincera che possa rappresentare la nostra generazione.
Salvare la Palestina dalla distruzione significa recuperare i libri dalle macerie; quella foto per noi è una metafora che magari serve solo a commuovere i lettori occidentali e pubblicare una storia melodrammatica che faccia vendere, ma per noi vale molto di più. E’ una sveglia che ci aiuta a prender coscienza del nostro potenziale per chiudere il conflitto.
Tala infine ricorda uno scambio con il liceo di Boulder, Colorado, circa un anno fa: ” I ragazzi americani si lamentavano di quanto fosse inutile e noioso andare a scuola; certe volte non ci si rende conto del valore di ciò che si ha e di quanto si è fortunati”.
Si è parlato per giorni dei bambini indifesi uccisi dai droni israeliani, degli adulti che vengono spesso intervistati come campione dai reporter in loco, ma quasi mai della popolazione 13-25 anni.
“A noi tocca il fardello più pesante, e saremmo pronti a caricarcene se solo ce ne dessero la possibilità attraverso un’adeguata istruzione. Datemi pure della fan delle teorie del complotto, ma non mi sembra un caso che Israele abbia bombardato proprio le nostre aule scolastiche…siamo noi il futuro, e senza noi la Palestina non esisterà più. Ecco come si distrugge non solo un popolo ma un’intera identità nazionale. Uccidendo la cultura e gli studenti”.
Tala S. è una ragazza liceale come tante: studia, esce con gli amici, costruisce pian piano il proprio futuro. Ma il suo nome, di evidente origine araba, lascia presagire una difficile eredità identitaria. Nonostante vada a scuola come qualsiasi altro suo coetaneo, è infatti il luogo in cui frequenta le lezioni a renderla una liceale fuori dal comune.