Per la Kanzlerin non sembra ancora arrivato il momento dell’addio. Non è detto però che possa tornare alle urne come vorrebbe. L’idea di una coalizione di minoranza con i Verdi non le piace. Ma il capo di Stato potrebbe convincerla a farsi coraggio e tentare l’avventura
Ieri intervistata dal canale pubblico Zdf Merkel ribadiva con grande fermezza che non ha alcuna intenzione di dimettersi e che rimarrà a guidare il governo per i prossimi quattro anni. Una fermezza datale dalla seguente considerazione: visto il caos politico che si è venuto a creare, nessuno nel suo partito oserebbe ora come ora detronizzarla. Gli elettori non premierebbero un putsch, stante l’attuale situazione. E infatti, notavano i commentatori politici tedeschi, alla conferenza stampa tenuta domenica notte da Merkel, non solo i big della Cdu ma anche quelli della Csu si erano posti come un muro compatto dietro a lei.
La possibilità che Merkel venga incaricata di comporre il prossimo governo, resta dunque più che valida. Più difficile dire quale governo e per quanto tempo veramente lo presiederà.
Se dipendesse esclusivamente da lei, Merkel tornerebbe immediatamente alle urne. Un’ipotesi che, stando ai sondaggi, sarebbe gradita anche al il 61% dei tedeschi che invece, esattamente come Merkel, non vorrebbero un governo di minoranza ma preferirebbero un’altra grande coalizione (magari a tempo determinato, due anni poi si torna a votare). L’idea che dalle urne possa uscire lo stesso rapporto di forze che ha reso impossibile formare una coalizione, non pare sfiorare i più e, cosa assai curiosa, nemmeno Merkel.
L’unico che forse tiene conto di questa variabile è il capo di Stato, per quanto fino a ora abbia motivato diversamente la sua ritrosia al ritorno alle urne. Sia domenica che ieri Frank-Walter Steinmeier ha ricordato a tutti gli attori politici che: «Chi si fa eleggere deve poi assumersi anche le responsabilità che ne conseguono, gravose o meno che siano». E ancora, «I partiti sono al servizio di tutto il Paese e devono agire di conseguenza».
Molti commentatori e osservatori politici hanno voluto leggere nel monito di Steinmeier innanzitutto un messaggio rivolto all’Spd, partito del quale ha fatto parte fino alla sua elezione a capo di Stato. E proprio con il capo dell’Spd, Martin Schulz, si incontrerà per ultimo, giovedì, dopo aver sondato ieri la disponibilità dei Verdi, ma soprattutto dei liberali dell’Fdp, a rivedere le proprie posizioni. Dell’esito di questi due colloqui non è però trapelato nulla. E questo lascia perlomeno intuire che Christian Lindner, il capo dell’Fdp resta sulle proprie posizioni, peraltro messe nero su bianco per i suoi elettori ieri.
Come possa andare invece con Schulz al momento è difficile da pronosticare. Anche se il capo dell’Spd ha già ripetutamente ribadito che la decisione di stare all’opposizione non è passibile di ripensamenti: “Gli elettori devono pur potersi fidare della parola data” aveva spiegato ieri in un’intervista televisiva. E poco importa (a quanto pare) che non tutti nell’Spd siano dello stesso avviso. Fintanto che è lui a guidare il partito è anche lui a decidere.
Se dunque l’Spd resterà ferma su questa posizione e lo stesso farà Lindner (ipotesi più che probabile, visto che la maggioranza degli elettori dell’Fdp ha approvato la sua decisione di far saltare infine il banco degli incontri esplorativi) sarà interessante vedere se Steinmeier riuscirà a convincere Merkel a tentare comunque l’avventura di un governo/coalizione di minoranza insieme ai Verdi.
Si tratterebbe di una situazione inedita a livello federale, o meglio quasi inedita, visto che in passato ci sono già stati tre governi federali di minoranza (1966, 1972, 1982), seppur brevissimi e sempre in seguito all’abbandono del governo di un partner di coalizione. Diverso il discorso a livello regionale. Il più recente governo di minoranza è stato quello nel Nordrhein-Westfalen dove Spd e Verdi hanno governato dal 2010 al 2012 e nel primo periodo anche piuttosto bene.
Un appello a prendere il coraggio a quattro mani e a tentare l’avventura di un governo di minoranza, l’aveva fatto già un mese fa dalle colonne del periodico di politica interna ed estera Blätter lo storico Rudolf Walther. Il concetto di mancanza di alternative e la convinzione che questo tipo di governo non possa che portare a una instabilità continua sono a suo avviso semplici pregiudizi.
Basta guarda verso alcuni paesi dell’Europa del nord, proseguiva Walther. Per esempio in direzione Danimarca dove dei 32 governi che si sono susseguiti dalla fine della guerra a oggi, 28 si sono retti su una coalizione di minoranza (per quanto l’ultimo sia saltato e ora c’è una governo a tre con una maggioranza in parlamento). Stesso discorso vale per la Svezia. Anche li i governi di minoranza sono all’ordine del giorno come dimostra il fatto che a partire dal 1970 ve ne sono stati solo tre retti da una maggioranza (ma non per questo più stabili, visto che i primi due, 1976/78, 1979/81 sono durati appena due anni).
Inutile dunque, scriveva già un mese fa Walther, prendersela con l’Spd. I socialdemocratici non fanno altro che prendersi la libertà che spetta loro per ottemperare alle aspettative di una politica di matrice socialdemocratica che i suoi elettori nutrono. Venendo ai fatti di questi giorni ha dunque ragione Andrea Nahles, capogruppo Spd al Bundestag nel dire: “Non possiamo essere il partito che organizza coalizioni in casi disperati”. Così come ha avuto ragione il capo dell’Fdp Lindner a dichiarare domenica notte: “Meglio non governare che governare in modo sbagliato”.
Resta ora solo da vedere se Merkel avrà il coraggio di buttare il cuore oltre l’ostacolo oppure preferirà andare sul sicuro, sempre che il ritorno alle urne sia la mossa più sicura.
Per la Kanzlerin non sembra ancora arrivato il momento dell’addio. Non è detto però che possa tornare alle urne come vorrebbe. L’idea di una coalizione di minoranza con i Verdi non le piace. Ma il capo di Stato potrebbe convincerla a farsi coraggio e tentare l’avventura