La direzione che la Germania sceglierà sui dossier Esteri, Economia e Clima sarà sempre più importante per definire anche la politica estera dell’Unione europea
Nell’ultima settimana di onori dedicati alla Kanzlerin uscente Angela Merkel non sono mancati eccessi apologetici. Significativo è notare come, contemporaneamente, il nuovo Governo di Olaf Scholz abbia raccolto particolari entusiasmi e speranze in tutta Europa. Se nell’Ue tanti sono infatti abbastanza soddisfatti di quello che è stato il merkelismo, molti vogliono ora che Berlino proponga qualcosa di diverso: un europeismo con più visione, una qualche forma di coraggio politico e meno tentennamenti calcolati. L’interrogativo è se questa speranza abbia o meno fondamento: la Germania saprà assumere un nuovo ruolo in Europa?
La nuova coalizione Semaforo di Spd, Verdi e Fdp porta insieme tre europeismi diversi tra loro ma capaci di integrarsi. L’europeismo della Spd ha una lunga tradizione e si può immaginare che i socialdemocratici possano ora spingere per un maggiore attivismo europeo rispetto ai tempi dell’ultima Große Koalition. A dir poco significativo, inoltre, è che Olaf Scholz abbia vinto le elezioni nelle vesti del ministro delle Finanze che ha abbandonato temporaneamente il pareggio di bilancio e, soprattutto, ha contribuito al percorso dell’esecutivo Merkel verso il Next Generation EU. Lo slancio europeista dei Verdi è forse ancora più forte di quello della Spd ed è, almeno idealmente, il più deciso in tutto lo scenario politico della Germania. Anche la Fdp si è presentata alle ultime elezioni con un programma fortemente europeista, seppur muovendosi tra l’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa e mai sopite prospettive di creare una Ue a due velocità.
Il Governo Scholz ha così formalmente riunito, per ora, tre diverse anime dell’europeismo tedesco (ed europeo): quella socialdemocratica, quella ambientalista e quella liberal-liberista. Il Koalitionsvertrag – il contratto di coalizione del nuovo esecutivo tedesco – conferma innanzitutto che “Gli sconvolgimenti che la Germania deve affrontare non possono essere superati solo a livello nazionale” e dichiara di voler puntare a “un ulteriore sviluppo (dell’Ue) per portare a uno Stato Federale Europeo”.
Bisognerà però vedere come la nuova alleanza tedesca si comporterà alla prova dei fatti. Da tempo il destino del Next Generation EU viene considerato una cartina di tornasole per valutare l’evoluzione di Berlino sul dossier Ue. Nel contratto di coalizione del governo Scholz viene confermata una specifica cautela tedesca rispetto alla mutualizzazione dei destini finanziari europei: “Il Next Generation EU (NGEU) è uno strumento limitato nel tempo e nell’importo, e noi vogliamo che il programma di ricostruzione porti a una ripresa rapida e lungimirante in tutta Europa dopo la crisi. Questo è anche nell’interesse fondamentale della Germania. Gli obiettivi qualitativi e le misure di riforma concordati nel quadro del NGEU devono essere rispettati. Faremo in modo che i rimborsi della NGEU non portino a tagli nei programmi e nei fondi dell’Ue.” La questione resta quindi molto aperta: senza specifiche chiusure ma senza chiare aperture.
Uno dei maggiori rischi per il dossier Ue è che il prossimo Governo tedesco trovi un equilibrio interno per applicare un’agenda di riforme sociali quanto mai necessarie in Germania (si vedano l’aumento del minimo salariale e le nuove politiche abitative) ma non abbia poi la parallela compattezza per perseguire un’europeizzazione degli stessi principi di solidarietà.
In questa dinamica la scelta di Christian Lindner (Fdp) come Ministro delle Finanze acquisisce effettivamente una particolare importanza. Se da un lato è controproducente credere alla vulgata che dipinge Lindner come un semplice falco dell’austerity vecchio stile, dall’altro non è da escludere che il leader dei liberal-liberisti concederà qualcosa di più nelle politiche sociali interne ma vorrà poi frenare eccessive aperture nelle politiche Ue. Una tendenza in parte già confermata dalla scelta da parte del Governo Scholz di Joachim Nagel come successore di Jens Weidmann alla guida della Bundesbank. Nagel è un economista con tessera socialdemocratica, ma è anche espressione della socialdemocrazia più ostile a qualsiasi avventurismo ultra-europeista nelle politiche finanziarie.
Fondamentale in questo scenario diventerebbe l’opera dei Verdi: è nelle loro mani che si trova il solo dossier che davvero potrà cambiare determinati assetti Ue. L’assegnazione al verde Robert Habeck di un superministero di Economia e Clima mostra come e quanto i Verdi avranno spazio per sviluppare la via tedesca agli ambiziosi progetti del Green Deal europeo. Anche qui bisognerà osservare una possibile interazione tra politiche nazionali tedesche ed europee: in Germania gli investimenti per la svolta ecologica ed energetica saranno (più o meno) sottratti allo Schuldenbremse (il freno al debito sospeso per la pandemia, ma che il Governo Semaforo vuole reinserire nel 2023). Fondamentale sarà capire se e con quale impatto questo modello potrà quindi essere applicato anche al Patto di Stabilità Ue.
Attraverso l’eccezionalità della svolta green, Berlino potrà eventualmente muoversi verso un’Ue più solidale, ma è chiaro che lo farà solo a patto di uno sforzo reale di tutti i partner europei per accelerare il Green Deal. Vale a dire per accelerare la strutturazione di una nuova rete e filiera di valore europea improntata sull’eco-produttivismo: un’accelerazione che permetta alla Germania (e all’Ue) di continuare a competere con i player extra-occidentali. Ovviamente, perché Berlino (e Francoforte) possano chiedere a tutti i partner europei di impegnarsi nel Green Deal, è necessario che innanzitutto la Germania stessa sappia dimostrare come le sue eccellenze industriali possano trasformarsi, rinnovarsi e valorizzarsi all’interno della grande svolta verde. Come ha riassunto la neo-ministra degli Esteri, la verde Annalena Baerbock: “È chiaro che il percorso verso gli 1,5 gradi (su cui limitare aumento temperature, nda) può essere raggiunto solo se i partner europei e internazionali si uniscono. Ecco perché abbiamo bisogno di un elemento attivo di politica estera per affrontare il cambiamento climatico. Le tecnologie che sviluppiamo in Germania nei prossimi anni devono essere esportate nel mondo.”
Tra i molteplici dettagli dell’accordo di Governo Spd-Verdi-Fdp c’è anche la dichiarata volontà di vincolare il Next Generation EU al rispetto dello stato di diritto. Dettaglio che porta sul tavolo le relazioni di Berlino con Ungheria e Polonia. Sul piano della realpolitik la tendenza del nuovo governo tedesco è intuibile: non preoccuparsi eccessivamente di Budapest ma cercare di trovare un nuovo dialogo con Varsavia. Oltre alla Francia, la Polonia è del resto il solo partner Ue apertamente citato nel Koalitionsvertrag del governo tedesco. Appena entrata in carica, Annalena Baerbock ha fatto un consueto primo viaggio a Parigi e si è poi subito diretta a Varsavia, con una simbolica visita al monumento al Milite Ignoto polacco. Traiettoria che non conferma solo l’irrinunciabile asse franco-tedesco, ma anche la volontà di rilanciare il Triangolo di Weimar. Anche il neo-Cancelliere Scholz si è recato prima in Francia e in Polonia, per poi raggiungere Roma e incontrare il premier italiano Draghi. Se Berlino saprà anche guardare di più verso sud, oltre che verso ovest ed est, l’Ue non potrà che beneficiarne.
L’attenzione di Berlino per Varsavia è intanto certamente legata alle nuove tensioni sul fronte orientale dell’Ue e della Nato. L’uso e abuso dei corpi e delle speranze di persone migranti da parte di Alexander Lukashenko è un’operazione con cui Minsk (e Mosca) vogliono incuneare discordia nell’asse tedesco-polacco e negli equilibri interni all’Ue. Più complessivamente, l’escalation in Europa orientale − in Bielorussia ma ora, soprattutto, in Ucraina − rende chiaro al governo tedesco quanto debba subito occuparsi di specifiche e complesse urgenze geopolitiche. In questo caso bisogna notare come sul dossier Russia si sia già intravista una potenziale differenza tra la cancelleria Scholz e il duo Baerbock-Habeck. I due ministri verdi sono infatti portatori di un’impostazione molto più neo-atlantista verso Mosca: impostazione non solo più combattiva rispetto al metodo merkeliano, ma anche rispetto alle cautele dello stesso Scholz. La domanda è se queste contraddizioni nel nuovo governo tedesco si svilupperanno in una dialettica propulsiva o se bloccheranno le posizioni di Berlino di fronte a un’escalation in cui l’intrecciarsi tra politica estera Ue e razionalità strategica Nato sta raggiungendo una nuova intensità.
Se il dossier Russia resta un’incognita per il ruolo della Germania in Europa, altrettanto aperto resta quello − forse ancora più decisivo − dei rapporti di Berlino con Pechino. La Cina è da 5 anni il primo partner nell’aggregato import-export della Germania. Più di 1/3 del volume di scambio Ue-Cina appartiene alla Germania. Come verrà gestito il futuro tedesco di questo equilibrio/squilibrio economico sempre più complesso? Sarà possibile anche qui un disallineamento tra una cancelleria Spd più conciliante e un ministero degli esteri (e dell’economia) verdi più combattivi? E quale ruolo potrà avere la Fdp, che è un partito molto critico con Pechino ma, al tempo stesso, anche molto attento agli interessi materiali del mondo industriale tedesco?
A questi interrogativi non ci sono ancora risposte pratiche, ma una cosa è certa: con la fine del congelamento geopolitico merkeliano, la direzione che la Germania sceglierà su questi dossier sarà sempre più importante per definire la politica estera dell’Ue. La ripetizione nel Koalitionsvertrag del Semaforo dell’introduzione della tanto agognata maggioranza qualificata per le decisioni Ue in politica estera è un ulteriore passaggio in questa direzione. Le prossime elezioni francesi, i rapporti tra Berlino-Varsavia e la stabilizzazione (o meno) dello scenario politico italiano definiranno un primo quadro dell’Ue del prossimo anno. Gli stimoli esterni − geopolitici e geoeconomici − che l’Unione Europea e la stessa Germania dovranno affrontare nel futuro prossimo saranno tali da rendere irrinunciabile una nuova visione politica dal respiro strategico. L’alternativa sarà invece un declino infine definitivo e irrecuperabile della capacità dell’Ue di essere un player credibile e globale. Al di là di quello che saprà fare internamente alla Germania, il successo o il fallimento del nuovo Governo Scholz dipenderà in ultima analisi dalla capacità di rispondere a una sfida che si svolgerà ben oltre i confini nazionali tedeschi.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
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