Poche ore dopo l’espulsione dei diplomatici russi, Berlino ha dato il via libera a Nord Stream 2, gasdotto ad alto valore geopolitico. È la conferma della strategica ambiguità coltivata nei rapporti con Mosca. Che nell’Europa post-Brexit potrebbe riorientare l’intera politica estera della Ue
Berlino – Aggregandosi all’ondata di espulsioni di diplomatici russi in risposta al caso Skripal, Berlino ha voluto posizionarsi velocemente a fianco del Regno Unito. La Germania ha così sottolineato di essere un membro di primo piano della Nato, confermando la propria fedeltà all’alleanza atlantica.
Tuttavia, al di là delle formalità diplomatiche, lo scenario resta più contraddittorio di quanto sembri. A poche ore di distanza dalle espulsioni del personale di Mosca, infatti, è arrivata la (quasi) definitiva approvazione tedesca del raddoppio del gasdotto Nord Stream. La pipeline è da anni l’infrastruttura più emblematica dell’ambivalente rapporto tra Germania e Russia.
Il Nord Stream parte dalla provincia di Leningrado, attraversa le acque territoriali e le zone economiche esclusive di Finlandia, Svezia e Danimarca, e riemerge poi sulle coste di Greifswald, nel Mecklenburg-Vorpommern. La prima (già doppia) linea Nord Stream è stata ultimata nel 2011 e può trasportare 55 miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno. La nuova doppia linea ne aggiungerà altrettanti e potrebbe entrare in funziona già nel 2019.
Espellendo i diplomatici russi e approvando il Nord Stream 2 a distanza di meno di 24 ore, Berlino ha così confermato la propria strategica ambiguità nei rapporti con il Cremlino, nel solco di una tradizione di diffidente apertura verso Mosca, un atteggiamento che continua a innervare lo sguardo verso est di tutti i governi tedeschi, incluso il nuovo esecutivo Merkel IV.
Non è un caso se, dopo aver incassato la gratitudine di Londra per l’appoggio dimostrato nell’enigmatica vicenda di Salisbury, la Germania si sia subito dichiarata anche «interessata a buone relazioni con la Russia», come ha ricordato lo stesso Ambasciatore tedesco a Mosca, Rüdiger von Fritsch.
La fine della sovrapposizione tra Nato e Ue?
La doppiezza tedesca di fronte all’orso russo è un dato storico che affonda le proprie radici nei delicati equilibri dell’Europa centro-orientale e nella memoria sempre viva delle tragedie che hanno segnato lo scorso Novecento.
Per i tedeschi, il dialogo con la Russia è diventato una vera e propria dottrina strategica dopo che l’Ostpolitik di Willy Brandt portò alla riunificazione delle due Germanie. Da allora, nell’Auswärtiges Amt resta una regola generale: con il Cremlino si deve sempre e comunque parlare, cercando di evitare il conflitto, ma senza indietreggiare o mostrarsi deboli, stimolando piuttosto un reciproco e timoroso rispetto, a costo di congelare i punti di frizione (com’è avvenuto nel caso della guerra in Ucraina).
In Germania esiste da tempo una geometria collaudata e sostanzialmente equilibrata di due fronti: da una parte c’è la ferma critica contro il governo Putin (espressa dai settori più evidenti della politica e dai media generalisti tedeschi), dall’altra parte ci sono posizioni tendenzialmente filorusse che arrivano da aree politiche e culturali tanto importanti quanto eterogenee (si va dalla tradizionale amicizia con Mosca della socialdemocrazia di stampo schroederiano, si passa dalla vicinanza al Cremlino di due partiti ideologicamente opposti come la Linke e Alternative für Deutschland, si arriva all’interessata collaborazione con la Russia da parte di settori della Fdp, Cdu e della Csu bavarese, spesso allineati alla realpolitik del gotha industriale della Germania).
Se per anni questa ambivalenza tedesca è rimasta in secondo piano, ora, invece, è destinata ad assumere un significato decisivo nella geopolitica europea. In tempi di Brexit, infatti, è sempre più evidente che ci sia un potenziale scollamento di quella che è stata a lungo la sostanziale coincidenza delle posizioni di Nato e Ue. L’uscita dall’Unione europea di uno dei due player dell’asse anglo-americano, peraltro in concomitanza con la particolare confusione del nuovo corso trumpiano negli Usa, avrà inevitabilmente delle conseguenze geostrategiche.
Nel momento in cui la strutturale inimicizia tra Regno Unito e Russia uscirà dal quadro dell’Unione, infatti, crescerà esponenzialmente il ruolo di Berlino nel definire l’orientamento europeo nei rapporti con Mosca. In questo senso, il caso Skripal è già un primo banco di prova. Per ora, la naturale vicinanza tra Berlino e Londra e la persistenza del vincolo della Nato (che per la Germania resta assolutamente irrinunciabile) ha fatto sì che il governo Merkel si sia dimostrato immediatamente vicino all’esecutivo di Theresa May, seguendo il copione della più automatica alleanza atlantica.
Ma resta evidente che la Germania, al pari di altri partner europei, non voglia perseguire un’inimicizia esasperata con il Cremlino: non nella dimensione auspicata da Londra, non ora che il Regno Unito sta volontariamente abbandonando Bruxelles. Niente esclude che, nel futuro post-merkeliano che verrà, la Germania possa guardare con maggiore interesse a posizioni come quelle della vicina Vienna.
Negli scorsi giorni, l’Austria, che è membro Ue ma non è membro Nato, ha convintamente scelto di non partecipare alle espulsioni dei diplomatici russi, rivendicando il proprio storico ruolo di “ponte tra est e ovest” e manifestando così prospettive euroasiatiche sempre più pronunciate.
Il Nord Stream come concreto strumento diplomatico
All’interno del riassetto geopolitico europeo post Brexit, il raddoppio della pipeline Nord Stream rafforzerà ulteriormente la posizione della cosiddetta “Führung aus der Mitte” tedesca (“guida dal centro”). Data l’incertezza dello scacchiere internazionale, l’esito di questa tendenza non è per nulla scontato.
Ma è chiaro che, con la portata energetica del Nord Stream 2, la Germania potrà puntare ad affermarsi definitivamente come snodo centrale di gran parte della distribuzione via tubo di gas russo, bypassato quasi totalmente diversi stati dell’Europa centro-orientale e imponendosi come congiuntura infrastrutturale irrinunciabile per l’Europa occidentale e meridionale.
Gli interessi che ne derivano sono compositi e, anche per questo motivo, il Nord Stream 2 sembra destinato a vedere la luce nonostante le veementi proteste di paesi come Polonia, Rep. Ceca, Estonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Slovacchia e Romania, che hanno paventato “conseguenze geopolitiche potenzialmente destabilizzanti”.
Di fronte alle critiche al Nord Stream (1 e 2) il governo tedesco continua a schermarsi dietro alla giustificazione secondo cui si tratterebbe di un progetto esclusivamente commerciale tra compagnie private. Si tratta di un escamotage narrativo: la Nord Stream AG vede la partecipazione di aziende tedesche come Uniper e Wintershall (una sussidiaria di Basf), ma, soprattutto, il consorzio del gasdotto è al 51% di proprietà dalla Gazprom, una compagnia formalmente privata ma riconducibile direttamente al governo russo.
E, anche nel caso il progetto possa essere definito come unicamente commerciale, resta curioso che la Germania ne neghi comunque la natura geopolitica, dopo che proprio il governo Merkel è stato in prima fila nel chiedere ai partner europei di punire la Russia con sanzioni economiche in occasione del conflitto ucraino.
L’ambiguità tedesca sulla questione Nord Stream, appunto, è una scelta strategica in nome del proprio diretto interesse nazionale. Il prezzo del gas russo resta competitivo rispetto a quello del gas naturale liquefatto (Gnl), in particolare per le aziende tedesche che hanno un continuo bisogno di energia a basso costo per potersi affermare sul mercato globale.
Non solo: la Germania punta razionalmente a utilizzare l’imponente pipeline come infrastruttura diplomatica stabilizzatrice che vincoli la stessa economia russa al proprio super-cliente tedesco. Lo scopo è creare delle condizioni di diretta convenienza reciproca che nessuno dei due Paesi possa avere interesse a rompere a cuor leggero, all’interno di un equilibrio che non venga messo in discussione dal costante attrito tra Mosca e gli stati dell’Europa centro-orientale.
Certo, sarebbe sbagliato credere che la Germania sia totalmente sorda di fronte alle proteste dei Paesi orientali dell’Ue, sia perché l’equilibrio dell’Unione allargata resta vitale per Berlino, sia perché il volume di affari tra l’economia tedesca e i vicini dell’est è troppo importante per creare un’eccessiva spaccatura (ad esempio con partner come Polonia e Rep. Ceca).
Ma l’ambivalenza dell’Ostpolitik della Germania, per ora, è destinata a perdurare ugualmente, almeno fino a quando non si rafforzerà una strategia unica dell’Unione europea in merito a dossier cruciali nei campi della politica estera, della sicurezza energetica e della difesa comune.
@Lorenzomonfreg
Poche ore dopo l’espulsione dei diplomatici russi, Berlino ha dato il via libera a Nord Stream 2, gasdotto ad alto valore geopolitico. È la conferma della strategica ambiguità coltivata nei rapporti con Mosca. Che nell’Europa post-Brexit potrebbe riorientare l’intera politica estera della Ue