La decisione della Corte costituzionale tedesca di non vietare il partito di estrema destra NPD ha dato il via a un acceso dibattito.
E’ la seconda volta che si è provato a vietare il partito di estrema destra NPD (Nationaldemokratische Partei Deutschlands), ed è la seconda volta che il responso dell’Alta Corte è stato no. E questo nonostante i giudici di Karlsruhe (dove ha sede la Corte costituzionale tedesca) abbiano confermato che gli obiettivi dell’NPD sono anticostituzionali, che il partito è dichiaratamente razzista e che fa uso di slogan, parole d’ordine e un vocabolario pescati dal lessico nazista. Ecco un esempio: “Tedesco è esclusivamente colui che ha sangue tedesco nelle vene. Chiunque altro rimarrà sempre un corpo estraneo, non importa da quanto risiede in Germania”. Detto e constatato tutto ciò, gli alti giudici hanno deciso che NPD è troppo piccolo, ha un seguito irrisorio (1,5 percento), e dunque non può rappresentare un pericolo per la democrazia. Ne consegue che non c’è bisogno di vietarlo e che la società ha anticorpi sufficienti per contrastare il rischio insito a questa decisione.
La decisione è stata comunicata settimana scorsa ha dato il via a un acceso dibattito. Ecco due posizioni che possono essere intese come paradigmatiche: una contraria, l’altra a favore della decisone della Corte costituzionale.
Heribert Prantl, direttore editoriale del quotidiano progressista Süddeutsche Zeitung ed esperto di questioni costituzionali e giuridiche, scrive per esempio: “La sentenza è plausibile ma ciò nonostante tristemente sbagliata. L’NPD avrebbe dovuto essere vietato proprio perché attualmente un partito piccolo e ininfluente. Un divieto ora avrebbe fugato qualsiasi dubbio su un divieto emesso a protezione dei partiti medio grandi e con l’intento liberare il terreno da un possibile loro concorrente. Inoltre, prendendo a esempio un partito piccolo, dilaniato al suo interno e ciò nonostante molto velenoso, si sarebbe potuto dimostrare che, indipendentemente dalle dimensioni di una formazione politica, esiste una linea rossa che non va superata, e chi la supera perde i privilegi in capo a un partito”. Secondo Prantl il divieto dell’NPD avrebbe svolto una importante funzione preventiva.
Di tutt’altro avviso è, molto sorprendentemente, il giornale della Sinistra, Tageszeitung, TAZ (nell’impostazione simile al manifesto). Li Konrad Litschko argomentava: “Molti hanno sperato nella decisione della Corte costituzionale di vietare l’NPD. Sarebbe stato ai loro occhi un segnale importante contro il dilagare della radicalizzazione, dell’aperto disprezzo verso i profughi e le istituzioni democratiche. Ma gli alti giudici hanno deciso diversamente, e hanno fatto bene. Hanno fatto bene perché la richiesta di vietare NPD scaturiva da presupposti sbagliati. Il divieto dell’NPD non avrebbe fermato la mano omicida dell’NSU (formazione neonazista che ha insanguinato per una decina d’anni il paese con omicidi contro stranieri, n.d.a). (…) Inoltre i giudici hanno fatto bene a ricordare che, vietare un partito è tra le misure più gravose e dunque assolutamente eccezionali, alle quali la Corte può ricorrere. Bisogna soppesare attentamente questo passo. (…) La speranza dei Bundesländer, cioè delle regioni, in un divieto dell’NPD suona quasi come una resa: che ci pensi Karlsruhe. Il fatto che gli alti giudici abbiano invece deciso di ritornare la palla ai Länder è lo smacco finale per i ministeri regionali degli Interni”.
A parte il fatto che come fa notare sempre la TAZ, strada facendo è l’AfD (Alternative für Deutschland, n.d.r.) a collezionare un successo dopo l’altro e che, soprattutto nei Länder dell’est, ricorre anche a un vocabolario molto simile a quello dell’NPD. Anche il numero di atti di violenza xenofoba sono aumentati, solo che i protagonisti non sono sempre simpatizzanti dell’NPD.
Attualmente l’NPD non ha più un deputato nei parlamenti regionali, mentre a livello comunale conta 340 consiglieri. Tutt’altro scenario si presenta invece per l’AfD, un partito assai ambiguo per quel che riguarda il proprio credo. Lo dimostra anche un recente “scivolone” verbale e le sue conseguenze. In un convegno tenutosi settimana scorsa a Dresda, Björn Höcke, capo dell’AfD in Turingia e noto per posizioni radicali, si è scagliato contro il monumento dell’Olocausto situato nel centro di Berlino, dichiarando: “Siamo l’unico paese al mondo che si permette di avere un monumento della vergogna nel cuore della propria capitale”. In tedesco la frase suona più sibillina e può essere intesa anche così: “Siamo l’unico paese al mondo che si permette di avere un monumento vergognoso nel cuore della capitale”. Una interpretazione, quest’ultima favorita anche dal fatto che Höcke ha un deciso cambio di rotta di 180 gradi nella narrazione storica. Questa volta non hanno protestato solo gli altri partiti, anche esponenti dell’AfD hanno criticato la dichiarazione. Marcus Pretzell, marito di Frauke Petry, una dei leader del partito, ha scritto via social media che Björn Höcke – non nuovo a queste esternazioni – diventa vieppiù un problema di immagine per il partito. Bisognava ragionare su eventuali conseguenze, tra queste anche l’espulsione. E così, questo lunedì si è riunito il direttorio dell’AfD, per decidere il destino di Höcke. Alla fine hanno però il gruppo contrario all’espulsione.