Momenti di grande tensione per la Turchia post-Gezi: mentre l’Italia celebra l’anniversario della nascita della Repubblica, in questi giorni l’intera popolazione turca ne commemora uno più recente, ma altrettanto importante – l’inizio di una rivolta mai ufficialmente terminata, e le sue (in)evitabili vittime. Rivolta che ha anche inaugurato un nuovo ciclo nella Storia della Turchia.

Per commemorare il primo anniversario del movimento forse più incisivo dell’era AKP, gli attivisti storici delle rivolte di Piazza Taksim avevano invitato i cittadini a manifestare pacificamente alle 19 di Domenica 1 Giugno nel luogo simbolo delle rivolte, il quartiere di Taksim per l’appunto, e nelle altre principali città turche, muniti simbolicamente di libri e fiori per rievocare scene da ‘68, in modo da ricordare l’intento pacifico e non violento (dalla parte dei manifestanti) delle manifestazioni del 1 Giugno 2013. La commemorazione dell’inizio, e della più o meno silenziosa continuazione delle rivolte durante l’ultimo anno, voleva anche essere un omaggio per ricordare gli otto manifestanti morti per mano della repressione del governo Erdogan.
Il premier, come da copione, ha vietato ogni tipo di concentrazione durante il week-end del 1 Giugno, minacciando che chi avesse manifestato sarebbe stato arrestato. E le denunce dei web activists su Internet e social networks non hanno tardato a rispondere a simili restrizioni, parallelamente ai temerari che, sfidando l’ultimatum Erdogan, sono comunque scesi in piazza per l’anniversario di Occupy Gezi.
Proprio sul web, la tensione era già palpabile poche settimane prima dell’effettivo “G”-Day. Migliaia gli internauti, soprattutto ragazzi e studenti, cominciano a chiedersi e a chiedere perplessi via post e tweet cosa aspettarsi da manifestanti e governo.
Su Facebook e Twitter si tirano le somme di un anno turbolento: rivolte, repressione poliziesca, elezioni, rabbia, delusione, ansia per le vicine elezioni presidenziali, vittime e la più recente catastrofe – la tragedia dei minatori. Ciò che ha subito la giovane generazione turca in quest’ultimo anno è sicuramente difficile da digerire, e ancora più difficile da riassumere in due righe di status o 150 caratteri di un tweet. Eppure questo é l’unico modo ormai permesso – quando il governo Erdogan non lo rende illegale – di sfogarsi e manifestare senza ritorsioni fisiche. Ma ancora più frustrante per questi giovani è vedere che dopo un anno di sofferenze e lotta, il cerchio si richiude amaramente al punto di partenza: con la feroce repressione del governo Erdogan.
I 25mila agenti dislocati per tutta Istanbul sono intervenuti con brutalità nei quartieri di Istiklal, Cihangir, Kadikoy, con lacrimogeni, cannoni ad acqua e pallottole di gomma per impedire ai manifestanti di avvicinarsi a Taksim.
La polizia ha anche preso di mira i giornalisti, dando di nuovo raggiungendo un nuovo livello di repressione: il corrispondente della CNN Ivan Watson, ad esempio, è stato arrestato in diretta da un gruppo di poliziotti in borghese.
Su Twitter, esattamente come un anno fa, sono state pubblicate migliaia di foto di violenze della polizia: manifestanti con la testa insanguinata, soffocati dai lacrimogeni, adolescenti ammanettati.
Nonostante lo scandalo tangentopoli, la violenza governativa durante le proteste e un’annata particolarmente turbolenta per l’AKP, Erdogan ha vinto comunque le amministrative del 30 marzo scorso e si candiderà alla presidenza il prossimo Agosto.
La crisi di Gezi Park ha però sicuramente, e definitivamente, dannegiato l’immagine internazionale dell’attuale regime.
L’unica certezza è che il 1 Giugno di ogni anno futuro sarà una data difficile da ricordare, una cicatrice nella memoria collettiva della Turchia. Le manifestazioni, nonostante la tenacia e il coraggio di singoli attivisti e gruppi di studenti, possono in fin dei conti esser facilmente represse e cancellate – temporaneamente. Ma cancellare altrettanto facilmente il ricordo di simili eventi dalla memoria delle nuove generazioni non sarà semplice, nonostante il pugno di ferro del premier Erdogan.
L’unica forza che permetterà ai giovani di andare avanti sarà lo slogan utilizzato esattamente un anno fa, simbolo delle proteste – Diren Gezi, oggi come non mai più propriamente riadattato in Diren Turkiye (Resisti Turchia) visto che Gezi, in un significato più globale, si riferiva già lo scorso anno alla Turchia – nonostante sia iniziato con il pretesto di difendere un semplice parco, in realtà metafora dell’intera nazione turca.
Come riassume Nil in uno dei suoi tweet, “In fondo chi prendiamo in giro, sappiamo tutti perfettamente che non eravamo qui per lo sgombero di un parco, in gioco c’era qualcosa molto più grande di una Piazza o di un parco”.
Momenti di grande tensione per la Turchia post-Gezi: mentre l’Italia celebra l’anniversario della nascita della Repubblica, in questi giorni l’intera popolazione turca ne commemora uno più recente, ma altrettanto importante – l’inizio di una rivolta mai ufficialmente terminata, e le sue (in)evitabili vittime. Rivolta che ha anche inaugurato un nuovo ciclo nella Storia della Turchia.