Dopo Fukushima il Giappone avrebbe trovato una nuova fonte energetica, promettente e pericolosa.
Per più volte nella storia, il Giappone si è mostrato capace di rialzarsi rapidamente dalle catastrofi naturali e dalle devastazioni della guerra. Con la ferita di Fukushima ancora aperta, il governo ha dovuto fronteggiare il difficile compito di mutare radicalmente il profilo energetico del Paese.
Spinto dall’opinione pubblica, per il 75% favorevole alla chiusura definitiva delle 54 centrali nucleari, il Governo ha varato un programma di diversificazione delle fonti di grande portata. L’ostacolo è coniugare il costo crescente delle fonti fossili, da cui il Paese dipende quasi totalmente, con la necessità di coprire il 23% della richiesta di energia elettrica nazionale soddisfatta dal nucleare fino al 2011.
Il Giappone è il maggior importatore mondiale di gas, il cui peso sul budget nazionale è andato crescendo per il crollo dello yen sulle piazze internazionali e per il legame stretto con il prezzo del petrolio. Attualmente, la chiusura repentina di quasi tutte le centrali nucleari ha portato la quota nel mix energetico nazionale del petrolio, carbone e gas al 90,6%.
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Dopo Fukushima il Giappone avrebbe trovato una nuova fonte energetica, promettente e pericolosa.