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In Giappone il 2016 è stato un anno di colpi di scena. Vediamo cosa riserva il 2017


Tutti l’avevano preannunciato: il 2016, anno della scimmia di fuoco, sarebbe stato un anno capriccioso, imprevedibile. Se alcune tendenze — come la spinta riformatrice del governo Abe in materia di difesa e rafforzamento del comparto militare — erano osservabili già nel 2015, altri eventi — come l’annuncio dell’imperatore Akihito di voler abdicare o la vittoria di Donald Trump a Washington — si sono contraddistinti per il loro notevole carico di sorpresa.

Procediamo con ordine.

Shinzo Abe con attori bambini, i membri del gruppo di idol giapponesi Momoiro Clover Z e altre celebrità dello show-business durante la festa per la fioritura dei ciliegi al parco Shinjuku Gyoen a Tokyo, Giappone il 9 aprile 2016. REUTERS / Toru Hanai

Tutti l’avevano preannunciato: il 2016, anno della scimmia di fuoco, sarebbe stato un anno capriccioso, imprevedibile. Se alcune tendenze — come la spinta riformatrice del governo Abe in materia di difesa e rafforzamento del comparto militare — erano osservabili già nel 2015, altri eventi — come l’annuncio dell’imperatore Akihito di voler abdicare o la vittoria di Donald Trump a Washington — si sono contraddistinti per il loro notevole carico di sorpresa.

Procediamo con ordine.

La leadership di Abe

Il 2016 è stato un anno sotto i riflettori internazionali per il Primo Ministro Shinzo Abe. L’immagine del politico, un po’ impacciato con un cappello rosso con visiera alla Super Mario, noto idraulico dei videogame della Nintendo, con una sfera rossa in mano davanti a decine di migliaia di persone alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Rio de Janeiro è rimasta nella memoria di molti dentro e fuori il Giappone.

Solo dieci anni fa, quando divenne il primo leader giapponese ad essere nato dopo la fine del secondo conflitto mondiale, aveva scelto di dimettersi adducendo motivazioni di salute e consapevole del fatto che il suo tasso di approvazione fosse tra i più bassi della storia del paese. Gaffe e scandali avevano determinato quella che sembrava la fine di una carriera politica promettente.

Oggi, invece, Abe è tra i leader più longevi del suo paese — un po’ come l’Italia — abituato a continui avvicendamenti ai vertici di Nagatacho, l’area di Tokyo dove si trova la residenza ufficiale del Primo Ministro. Lo scandalo sui favori fatti dal suo Ministro dell’economia a una ditta di costruzioni a inizio anno, o i dati economici altalenanti che hanno messo in discussione l’efficacia della «abenomics» hanno scalfito solo in piccola parte la fiducia che i cittadini giapponesi sembrano riporre nel leader conservatore. Lui, Abe, è riuscito a galleggiare, tenendo compatto il proprio partito, accontentando le varie correnti con posti nel governo e tenendosi vicini i probabili avversari e silenziando le posizioni più critiche.

Anche le catastrofi naturali — soprattutto tre terremoti di importante entità, a Kumamoto, nella provincia di Tottori e più di recente nel Nordest già colpito cinque anni fa — hanno aiutato il governo a mettersi in spolvero con risposte tempestive.

A luglio il partito liberaldemocratico di Abe si è preso quasi i due terzi dei seggi nella Camera alta del parlamento, rafforzando ulteriormente il controllo, già ampio, della maggioranza sul parlamento, e raggiungendo i numeri necessari all’approvazione di riforme costituzionali. Nel mirino c’è soprattutto la riforma dell’articolo 9 della Costituzione che impedisce al Giappone di dotarsi di un esercito «convenzionale».

Un ruolo più attivo

Anche senza riforma costituzionale, da quest’anno, i militari giapponesi impegnati all’estero potranno avere un ruolo più attivo nelle missioni internazionali sotto l’egida Onu. In Sud Sudan, dove i soldati delle forze di autodifesa giapponesi sono impegnati a fianco dei caschi blu in operazioni di peacekeeping a seguito di un lungo conflitto civile, i militari del Sol levante potranno partecipare a missioni di ricerca e soccorso in zone ad alto rischio di scontri a fuoco.

Il fronte caldo è comunque in Asia, dove sono soprattutto guardia costiera e aviazione a tenere sotto controllo le continue incursioni cinesi in acque territoriali giapponesi intorno alle isole Senkaku o Diaoyu, contese tra Tokyo e Pechino. E poi l’incognita nordcoreana, che riemerge periodicamente sotto forma di razzi lanciati verso il mar del Giappone o test nucleari. Anche per questo, per l’anno nuovo è previsto un aumento del budget per la difesa. E saranno proprio nella spesa per l’aviazione e la sorveglianza delle coste gli aumenti più decisi.

Tokyo è stata però attivissima anche sul fronte della diplomazia. Il G7 di Ise, Giappone centrale, gli appelli all’elettorato britannico per dire no alla Brexit, i frequenti incontri con la diplomazia russa, gli accordi economici con l’India di Modi, gli avvicinamenti al presidente filippino Rodrigo Duterte e al prossimo inquilino della Casa Bianca Donald Trump, il vertice di metà dicembre con Vladimir Putin, le prove di dialogo con Cina e Corea del Sud. L’imperativo è mantenere relazioni amichevoli con tutti per favorire ambienti favorevoli al business. In alcuni casi, come con la Russia, al di là della cooperazione economica ci sono questioni storiche: la «restituzione» di alcune isole — le Curili — a nord dello Hokkaido, e la firma di un accordo di pace, a 71 anni dalla fine della seconda guerra mondiale.

Akihito, le donne e il Tpp: sorprese e possibili sviluppi

Il 13 luglio sembrava una giornata come le altre. E invece quando la Nhk per prima svelò la notizia secondo la quale l’imperatore del Giappone, il «simbolo della nazione», intendeva lasciare il trono prima della scadenza naturale del mandato, milioni di giapponesi piombarono in uno stato a metà tra l’incredulità e lo shock, con i siti internet di notizie ingolfati dai troppi accessi.

Akihito, succeduto nel 1989 al padre Hirohito rimasto sul trono del Crisantemo per 62 anni, è infatti considerato da molti il primo «imperatore del popolo», rampollo controcorrente della famiglia imperiale. A lui si attribuiscono meriti come l’essere stato il primo erede al trono a sposare una borghese, il primo a rompere la barriera che separa i sovrani dal proprio popolo e li segrega nelle mura del palazzo imperiale di Tokyo, viaggiando in Giappone e all’estero, facendo arrivare la propria voce ai propri sudditi nei momenti più bui degli ultimi anni, il primo a pubblicare trattati scientifici oltre che poesie. Primo imperatore ad accettare nei fatti la propria umanità — il padre era in fondo stato costretto ad ammetterlo alla fine della guerra per restare sul trono — e ad ammettere di «avere più l’età per sostenere il peso del suo lavoro». A 82 e diversi problemi di salute Akihito vorrebbe ritirarsi e lasciare al suo erede Naruhito. In questo ha precedenti illustri: l’abdicazione era diffusa prima della modernità. Con la restaurazione Meiji del 1868, il sovrano tornò a essere fulcro dello stato e fu «condannato» a restare sul trono fino alla morte.

Per studiare una exit strategy il governo ha nominato una commissione di esperti che dovranno valutare una riforma alla legge che regola la successione al trono del Sol levante. Una riforma sarà discussa nel prossimo futuro. E potrebbe rallentare la riforma costituzionale di Abe. Ma la stretta sui media e sull’educazione pubblica forniranno comunque un vantaggio notevole all’amministrazione conservatrice per portare avanti la propria agenda.

Altro capitolo da rivedere è la Trans-Pacific Partnership, l’accordo di libero scambio tra 12 paesi del bacino del Pacifico, su cui il governo ha investito molte energie negli ultimi anni. L’elezione di Trump ha rimesso tutto in discussione, con possibili ripercussioni sull’export delle grandi aziende giapponesi e, di riflesso, sulla crescita economica giapponese.

Sorprendente, e da tenere d’occhio per il prossimo anno, è l’ascesa di alcune donne in politica. Al governo metropolitano di Tokyo le cose, sotto Yuriko Koike, prima Governatrice della storia della capitale, sembrano essere su un percorso di rottura rispetto alle amministrazioni precedenti. Koike ha avviato un giro di vite sui lavori per le Olimpiadi del 2020 rivelando giri di commissioni gonfiate e strutture inutili. Con lei, nel corso dell’anno, sono emerse altre figure femminili in posti di rilievo nel mondo politico, come Tomomi Inada, Ministro della difesa, e Renho Murata, leader del Partito democratico, primo partito di opposizione al blocco conservatore di Abe. La loro ascesa ha incrinato il dominio maschile nella politica giapponese. E nel 2018, quando il mandato dell’attuale primo ministro scadrà, potrebbero essere loro le candidate alla guida del governo nazionale.

Le elettrici giapponesi si aspettano molto da loro, in particolare, una maggiore attenzione alle questioni di pari opportunità e welfare. Qualcosa si è mosso. Per ora però, la rivoluzione di genere sembra ancora un miraggio. La stessa first lady Akie Abe ne ha parlato negli ultimi giorni. «Il modo di pensare degli uomini non è cambiato»  ha spiegato a Bloomberg. «Le donne giapponesi sono frenate dalla pressione sociale di una società maschilista in cui sono costrette a dimostrare di essere carine invece di capaci». Per rompere questo «muro» servirà una spinta nuova. Che potrebbe venire dagli stranieri.

@Ondariva

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